Con l’estate arriva la stagione del barbecue, una tradizione che può essere a rischio d’intossicazione. Come riferisce il britannico The Star, nella città inglese di Doncaster, con i suoi quasi 70.000 abitanti, negli ultimi tre anni sono stati registrati 1.479 casi d’intossicazione causata dal batterio Campylobacter. Nei dodici mesi tra aprile 2013 e marzo 2014, sono stati segnalati 475 casi.
Il Campylobacter è un batterio che si trasmette direttamente o indirettamente dagli animali all’uomo e può provocare la campilobatteriosi, una malattia che causa nausea, febbre, crampi allo stomaco e diarrea. La raccomandazione delle autorità sanitarie è di cuocere bene la carne e le salsicce e di tagliarle prima di toglierle dal fuoco, per essere sicuri che nessuna parte sia rosa. Ancora meglio per la salute, cucinare la carne nel forno e poi finire la cottura sul barbecue per insaporirla.
Secondo i dati dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, nell’Ue si segnalano circa 190.000 casi l’anno, ma il numero effettivo è stimato in nove milioni. La carne di pollame cruda è spesso contaminata da Campylobacter, perché il batterio può vivere anche nell’intestino di esemplari sani. La presenza del batterio si riscontra anche in suini e bovini. La principale fonte d’infezione è il consumo di carne di pollo poco cotta o di prodotti alimentari pronti per l’uso che sono stati in contatto con carne di pollo cruda
Secondo la britannica Standard Food Agency, che ha commissionato una ricerca per analizzare le cause dell’aumento di campilobatteriosi a livello nazionale, il Campylobacter è responsabile di 110 decessi l’anno nel solo Regno Unito, per la maggior parte provocati dalla carne di pollo.
Beniamino Bonardi
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Si ok per il rischio batteri o carne poco cotta ma anche sapere da dove arriva la carne (cioè guardarne la tracciabilità) non farebbe male.Sbaglio?
Non vedo come conoscere il paese di origine della carne possa salvaguardare la salute del consumatore…Che poi ognuno sia libero di vincolare i propri acquisti ad una origine geografica specifica, per carità, è legittimo: ognuno faccia come meglio crede…
Io veramente facevo riferimento alla “tracciabilità” così come intesa dalla normativa Italiana ed Europea.Ogni consumatore dovrebbe essere in grado di stabilire cosa mangia e da dove provengono i cibi. Il senso stesso della norma attualmente in vigore è inteso a salvaguardare la salute dei consumatori. Nell’intenzione del normatore il conoscere la provenienza degli alimenti aiuta più o meno come fà il nome di una marca su un prodotto qualsiasi: se si sa che la marca è affidabile di solito il prodotto che si compra lo è. Si può obiettare che talvolta le marche più note si sono rese protagoniste di cose poco piacevoli. Tuttavia io stesso preferisco comprare un prodotto che so da dove viene e da chi è preparato piuttosto che qualcosa di non noto.Le condizioni igieniche e di conservazione che vengono garantite da alcuni produttori, di solito, anche se non necessariamente, mettono al riparo da brutte sorprese.Per il resto concordo: ognuno fà un pò come crede.
Tutto quello che dice è largamente condivisibile, ma non c’entra con la tracciabilità (o meglio rintracciabilità).
La rintracciabilità è garantita dal lotto. Al momento dell’acquisto, il lotto, per il consumatore finale, non da alcuna garanzia di salubrità. Il lotto serve ad identificare univocamente una partita, ed è utile ad esempio nel momento in cui scatta un’allerta, per individuare quali partite debbano essere oggetto di ritiro e/o richiamo e quindi, in questo caso, anche al consumatore per verificare se ciò che ha acquistato sia o meno oggetto dell’allerta. Ma al momento dell’acquisto in senso stretto è un dato che non ha alcuna valenza di salubrità. Quello che lei sostiene è al limite possibile tramite il bollo CE che identifica lo stabilimento di produzione, ammesso che lei si prenda la briga di andare a cercare e successivamente ricordarsi a quali stabilimenti corrispondono i vari bolli…oppure attraverso i dati dell’etichettatura, ma anche qui, siamo fuori dal campo della rintracciabilità…
Onore alla competenza di Alessandro, che ci salva dai luoghi comuni.
Speriamo ci salvi anche dal “Campylobacter”!! Sembrerebbe colpire molto meno di una qualsiasi delle malattie rare..
Dal report EFSA 2013 la Campilobacteriosi è si un problema in Europa ma non è la zoonosi più segnalata in Italia.
Inoltre dalle indagini di riferimento che sono state fatte in merito alla prevalenza di Campylobacter negli animali produttori di alimenti come i polli e sui fattori di rischio che contribuiscono alla prevalenza di Campylobacter nelle popolazioni animali non risultano problematiche rilevanti. Escludendo problemi di diagnosi di laboratorio o di notifica di malattia nell’uomo la campilobacteriosi in Italia non riveste la stessa importanza che viene data negli altri paesi europei.
Rimane un proboema rilevante insieme a Salmonellosi e Listeriosi .