La controversia sulla cancerogenicità del glifosato, l’erbicida più venduto al mondo, ha portato a un nuovo nulla di fatto nella riunione dei 28 rappresentanti dei paesi dell’Unione europea, che dovevano decidere se prorogare o meno l’autorizzazione alla vendita dell’erbicida, in scadenza a fine giugno. Inizialmente la Commissione Ue aveva proposto una proroga standard di quindici anni, ma di fronte alla contrarietà di molti paesi ha proposto un compromesso di nove anni. Non essendo passata neppure questa proposta, il 6 giugno la Commissione europea ha suggerito una proroga di soli 12-18 mesi, in attesa di un parere sulla sicurezza del glifosato da parte dell’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA).
Nemmeno quest’ultima idea, però, ha raggiunto la maggioranza qualificata richiesta, cioè il voto favorevole di Stati rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Ue. Infatti, venti paesi si sono dichiarati a favore, Malta contro, mentre Stati “pesanti” come Italia, Germania, Francia, insieme ad Austria, Grecia, Portogallo e Lussemburgo, si sono astenuti. A questo punto, la parola passa a un comitato d’appello e se neppure qui si raggiungerà la maggioranza qualificata, la decisione finale spetterà alla Commissione europea, che, però, vorrebbe evitare di prendersi la responsabilità di autorizzare una proroga. «Tocca agli Stati membri assumersi le proprie responsabilità», ha dichiarato il portavoce della Commissione europea, Alexander Winterstein, che ha sottolineato come, in caso di proroga dell’autorizzazione, i singoli Stati potrebbero comunque restringere o vietare l’uso dell’erbicida sul proprio territorio, cosa che la Francia ha già annunciato di voler fare.
Il nuovo rinvio è stato salutato come un successo dei cittadini dalla coalizione StopGlifosato, che riunisce 38 associazioni ambientaliste, agricole e della società civile. Secondo la coalizione, «l’unica risposta adeguata è l’applicazione rigorosa del principio di precauzione, con la messa al bando definitiva dell’erbicida. La posizione dei ministri italiani dell’Agricoltura e dell’Ambiente ha permesso di mantenere salda la posizione dell’Italia. Ci auguriamo che questa posizione, se non una ancora più coraggiosa, rimanga inalterata fino in fondo». La controversia scientifica sul glifosato è iniziata nel marzo 2015, quando l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato l’erbicida come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, aggiungendo che ci sono “forti” evidenze che indicano una sua genotossicità, sia per il glifosato puro sia per le formulazioni con altre sostanze. Pochi mesi dopo, in novembre, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha espresso una valutazione opposta, affermando che “è improbabile che il glifosato sia genotossico (cioè che danneggi il DNA) o che rappresenti una minaccia di cancro per l’uomo”.
Il contrasto tra le due Agenzie ha assunto toni aspri, tanto che, nel marzo di quest’anno, lo Iarc ha pubblicato un documento con le risposte alle domande più frequenti sulle motivazioni che hanno portato alla decisione di classificare il glifosato come “probabilmente cancerogeno”. Il 16 maggio, il Joint Meeting on Pesticides Residues (JMPR) – un panel di esperti interni all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e alla Fao – ha dichiarato che “è improbabile che l’esposizione al glifosato tramite la dieta ponga un rischio cancerogeno per l’uomo”. Ora, la Commissione Ue vuole anche il parere dell’ECHA.
Beniamino Bonardi
il mio vivo augurio è che la storia del glifosato finisca qui.