Anche se i riflettori dei media internazionali sono quasi spenti, la situazione in Giappone è tutt’altro che sotto controllo. Undici capi di bestiame provenienti da Minamisoma, una zona a circa 20 chilometri dai confini dell’area di interdizione attorno alla centrale di Fukushima, sono risultati contenere cesio radioattivo in concentrazioni fino a sei volte superiori a quelle consentite, e cioè comprese tra i 1.530 e i 3.200 becquerel per chilo, contro i 500 considerati limite massimo per non avere conseguenze sulla salute umana.
Dove arriva la radioattività in Giappone?
Il caso delle mucche di Miniasoma è il primo che mette in luce una contaminazione nella carne dopo quelle riscontrate in pesci, verdure e tè verde, e anche se gli animali in questione sono custoditi nei laboratori di Tokyo, altri cinque capi dello stesso allevamento sono stati venduti tra il 30 maggio e il 30 giugno; in totale, 1.438 chili di carne contaminata sono stati distribuiti a negozi e ristoranti di 12 prefetture comprese quelle di Tokyo e Osaka. Il Governo, che ha rassicurato i consumatori affermando che piccole quantità di carne con isotopi non possono rappresentare un serio pericolo per la salute, sta ora cercando di rintracciare tutte le carni al cesio e ha ordinato ispezioni a tappeto sulla pelle di tutti i manzi provenienti dalla zona e destinati al mercato, pur ammettendo che i controlli possono essere soltanto a campione.
Controlli e autocertificazioni
Tuttavia, la storia dei manzi al cesio del Giappone è esemplare: gli allevatori avevano infatti affermato, di fronte agli ispettori della prefettura di Fukushima, di non aver utilizzato alcun mangime contaminato per nutrire i capi, ma test successivi hanno messo in luce la presenza, in quegli stessi mangimi, di cesio in concentrazioni fino a 56 volte superiori ai limiti consentiti; non è stata quindi una sorpresa scoprire che gli animali avevano assunto isotopi. Piuttosto, ciò indica che la situazione, ancora una volta, è probabilmente peggiore del previsto.
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Giornalista scientifica