Ilfattoalimentare.it ha posto alcune domande ad Aldo Grasselli (segretario del  SIVeMP , Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica)  sulla situazione dei controlli alimentari in Italia e in Europa, sulle problematiche che devono affrontare gli allevamenti e le aziende italiane con un accenno alla  fantomatica Agenzia per la sicurezza alimentare e al problema delle etichette alimentari.


 

 1) Il recente caso della diossina nei mangimi dei polli e dei maiali in Germania e delle mozzarelle blu evidenziano problemi nel sistema dei controlli europei. Nel primo caso le autorità sanitarie tedesche sono state avvisate con 9 mesi di ritardo. Nella vicenda delle mozzarelle blu, l’azienda tedesca ha impiegato 20 giorni per comunicare all’Italia i marchi dei prodotti coinvolti. Anche l’Italia quando è scoppiato lo scandalo delle mozzarelle alla diossina ha dimostrato gravissime lacune. Queste carenze  non rischiano di invalidare l’efficacia del sistema di allerta europeo?

C’è molta differenza tra una contaminazione da diossine e una colorazione di mozzarelle che si può scientificamente definire innocua. Gli approcci devono essere tempestivi in entrambi i casi, ma obiettivamente possono essere diversi. Nel caso delle diossine in Germania le eventuali responsabilità dovranno essere accertate e sanzionate se hanno messo a rischio i consumatori, anche se un danno alla salute non potrà essere accertato con un preciso nesso di causalità. Il problema delle diossine, e di tutti i residui contaminanti degli alimenti, è la sommatoria negli anni di ogni molecola e delle possibili interazioni con altre molecole nocive assunte nel corso degli anni. Indubbiamente una reticenza e un ritardo nell’allarme possono rendere inefficace il sistema di allerta rapido europeo che, una volta attivato, però funziona bene. Nel nostro paese sono stati rintracciati gli importatori e le partite provenienti dalla Germania, identificate e bloccate quelle provenienti dalle zone interessate prima di essere inserite nel circuito commerciale. Quando le crisi si risolvono in pochi giorni, senza rischi per i nostri consumatori, ci possiamo ritenere soddisfatti.

2 – In Germania il problema della diossina nei mangimi era noto da mesi e qualcuno ha taciuto, in Italia ci sono trattamenti illeciti per ingrasso dei bovini, perché non se ne parla?

Il compito dei servizi veterinari consiste nel cercare e documentare le prove dei trattamenti illeciti. Altri organismi investigativi, anche sulla base delle indicazioni fornite dai veterinari, debbono perseguire con indagini chi porta avanti disegni criminosi verso la salute pubblica e il benessere animale. Nel caso degli allevamenti bovini i piani di monitoraggio hanno dato buoni frutti. Non dobbiamo però dimenticare che la logica del profitto trova sempre nuove formule per aumentare la produttività degli animali. Parlare genericamente di “allevamenti dopati” è scorretto e danneggia il lavoro e il buon nome della stragrande maggioranza degli allevatori onesti. Le mele marce si devono trovare possibilmente senza fare polveroni. Parlare invece di una maggiore attenzione investigativa degli organi di polizia è auspicabile, per intercettare i canali della commercializzazione dei farmaci anabolizzanti. Queste indagini si basano soprattutto sulle intercettazioni telefoniche che però sono  state demonizzate e quasi azzerate per ragioni politiche.

3 – Quali sono oggi i problemi più pressanti negli allevamenti? Benessere, nuove infezioni, controlli, assistenza veterinaria …

Negli allevamenti si registra in genere un buon un livello di benessere e di igiene, tuttavia il servizio veterinario deve valutare insieme all’allevatore tutte le criticità. I mangimi, i farmaci, le strutture, le deiezioni, la fertilità, le rimonte, le malattie infettive, le tecnopatie da allevamento, sono fattori che devono essere controllati. I farmaci, ad esempio sono indispensabili per curare le patologie, ma devono essere impiegati in modo trasparente, in dosaggi appropriati e rispettando i tempi di sospensione. Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza sta diventando importante e deve essere affrontato anche in allevamento. Quando si attraversano periodi di grave crisi economica si deve stare attenti anche alle scorciatoie proposte agli imprenditori in difficoltà. I viaggi degli animali richiedono soste che gravano sui costi, se però i camion non si fermano gli animali soffrono, si debilitano e possono ammalarsi più facilmente e trasferire infezioni da una regione all’altra.

 4 – C’è spazio per allevamenti di qualità ( polli allevati all’aperto a crescita lenta, bovini  non trattati, vacche non stressate …….) oppure  i maggiori costi sono   improponibili per il mercato?

Il mercato è saturo di prodotti di qualità standard mentre mancano produzioni di eccellenza, legate al territorio, effettuate con tecniche tradizionali. Indubbiamente gli alimenti a chilometro zero, biologici e lavorati in maniera artigianale possono avere un prezzo più elevato, ma esiste un mercato disposto a spendere di più per prodotti qualitativamente migliori. Sul piano della sicurezza e della salubrità, invece, è bene ribadire che tutti i cittadini devono poter acquistare prodotti sicuri e innocui.

5 – Coldiretti insiste sull’indicazione di origine dei prodotti da riportare sull’etichetta come si fa adesso per bovini, uova, polli. Sapere che la carne di maiale o il salame è fatto con animali olandesi o italiani può cambiare qualcosa?

Si chiarirebbe che in Italia non produciamo grandi quantità di maiali ma che siamo dei maestri nel produrre qualità, nella trasformazione delle materie prime in infinite varianti di alimenti di altissimo valore gastronomico. Il “made in Italy” ha la sua forza nel “know how” e nelle condizioni microclimatiche del nostro paese. Ormai una buona parte delle materie prime necessarie alle produzioni/trasformazioni nazionali provengono dall’estero. Se non difendiamo la sapienza produttiva non difenderemo neppure le produzioni. Le soluzioni ci sono: se si legano gli alimenti al territorio, se le produzioni vengono millesimate (e non nascoste al fisco), i prezzi salgono e si ottengono margini elevati sulle piccole quantità che siamo in grado di produrre rispettando benessere animale, ambiente e consumatori.

6 – L’Italia è forse l’unico paese dell’Unione europea senza un’Agenzia per la sicurezza alimentare. I politici non la vogliono secondo lei è una grave carenza per il sistema?

In Italia chi gestisce la valutazione, la gestione e la comunicazione del rischio alimentare, ritiene opportuno non adottare il principio europeo di separazione delle varie funzioni tra istituzioni o organismi indipendenti. Forse però sarebbe opportuno affidare i nuovi temi come le patologie alimentari di origine microbiologica e parassitaria, di natura allergica e oncologica ad un’entità nazionale capace di porsi interrogativi, valutare i rischi e dare risposte appropriate. Un forte polo scientifico nazionale per la valutazione del rischio delle filiere alimentari marine, agricole e zootecniche, sarebbe un elemento di garanzia per i consumatori,  ma anche per le imprese che devono reggere la concorrenza che proviene dall’estero o inserirsi in spazi di mercato internazionali.

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