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L’esposizione dei cittadini europei al bisfenolo A, uno degli interferenti endocrini più discussi, sta diminuendo

L’esposizione dei cittadini europei al bisfenolo A (BPA) uno degli interferenti endocrini più discussi, sta diminuendo, nonostante dal 2006 (anno dell’ultimo pronunciamento dell’EFSA) a oggi sono emerse nuove possibili fonti, che devono ancora essere valutate appieno. In attesa di risultati definitivi e di nuove indicazioni, aumenta la mole di dati che sembrano inchiodare il composto alle sue responsabilità in un numero elevato di malattie e disturbi di diversa natura.

 

Pubblicata a fine luglio e attesa da molti anni, l’ultima versione del rapporto dell’EFSA sul BPA inizia con un messaggio rassicurante: nei neonati e nei bambini fino ai tre anni, l’esposizione media è di 375 nanogrammi per chilogrammo di peso (ng/Kg), cioè un valore che non raggiunge l’1% del limite consentito e inferiore di circa 30 volte a quello registrato nel 2006; anche per gli adulti la situazione è buona: il tasso medio è infatti di 132 ng/Kg di peso, con una diminuzione di 11 volte rispetto sempre al 2006.

 

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L’assorbimento principale di BPA per gli adulti avviene soprattutto attraverso le sostanze plastiche usate come sigillante negli alimenti in scatola

Per giungere a questi valori, gli esperti dell’EFSA hanno preso in considerazione due tipi di dati: quelli derivanti dalle stime dell’esposizione a tutte le possibili fonti di BPA (compresa la carta termica, che da sola potrebbe arrivare a costituire fino al 15% del totale, e poi l’aria, la polvere, i giocattoli, i sigillanti dentali e altri dispositivi medici, i cosmetici e altro ancora, quantificabili singolarmente) e poi li hanno integrati con i dati reali della concentrazione urinaria di BPA riferita in numerosi studi. Tra i risultati più significativi si segnala la conferma del fatto che l’assorbimento principale di BPA per i bambini tra i tre e i dieci anni avviene attraverso tutta la dieta, così come accade per gli adulti, i quali assumono BPA soprattutto tramite la carne e gli alimenti in scatola.

 

Ora il documento, ancora non definitivo, è stato messo a disposizione del pubblico per commenti e aggiunte fino al 15 settembre, e poi verrà rielaborato fino ad assumere la sua forma definitiva, la cui pubblicazione è prevista per i prossimi mesi. Nel frattempo si spera di colmare alcune lacune come quelle esistenti sulla carta termica, ubiquitaria ma non ancora studiata in maniera soddisfacente, soprattutto per quanto riguarda l’assorbimento cutaneo.

 

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I ricercatori dell’Università del Michigan di Ann Arbor hanno verificato su quasi 3.400 bambini, il possibile nesso tra BPA e obesità infantile

Nel frattempo si moltiplicano gli studi che pongono interrogativi sempre più inquietanti sul BPA. Uno di questi, condotto dai ricercatori della Harvard University e pubblicato su Human Reproduction, ha messo in luce i possibili effetti della sostanza sull’ovocita umano. Gli autori hanno chiesto a 121 donne che stavano tentando la fertilizzazione in vitro di donare degli ovuli, e ne hanno raccolti 352. Hanno quindi messo gli ovociti in coltura e li hanno trattati con BPA, scoprendo che quest’ultimo causava una serie di anomalie nei cromosomi, induceva una sorta di maturazione anticipata e altri fenomeni normalmente associati all’infertilità e allo sviluppo di feti malformati. Anche se non è detto che le anomalie viste in vitro si verifichino in vivo, hanno voluto precisare gli autori, questi dati meritano un approfondimento e una cautela ulteriore da parte delle donne in età fertile.

 

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La presenza di BPA è talmente diffusa che risulta impossibile evitare in contatto e l’assorbimento

In un’altra ricerca pubblicata anch’essa nelle ultime settimane, questa volta su Pediatrics, i ricercatori dell’Università del Michigan di Ann Arbor hanno verificato, su quasi 3.400 bambini, il possibile nesso tra BPA e obesità infantile. In totale, il 18% dei partecipanti era obeso. Su tutti, il 25% che aveva livelli superiori di BPA nelle urine aveva una probabilità più che doppia rispetto agli altri di entrare nei parametri che definiscono l’obesità infantile, fatto che suggerisce che i bambini che hanno più PBA in corpo siano anche quelli più a rischio di diventare obesi. Questi dati – hanno ricordato gli autori – ne confermano altri pubblicati negli anni scorsi, e pongono pesanti dubbi sul BPA come promotore di obesità. Anche se l’impiego è in calo e molti paesi vietano la presenza del composto in alcuni oggetti come stoviglie per i bambini e biberon in policarbonato, la presenza di BPA è talmente diffusa che risulta impossibile evitare in contatto e l’assorbimento. Tuttavia, è sempre possibile compiere scelte oculate e, soprattutto quando si tratta di bambini, cercare di non dare loro alimenti che siano stati conservati in plastiche e lattine trattate con BPA.

 

Agnese Codignola

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Foto: Photos.com

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BPA Coalition
5 Settembre 2013 10:40

L’articolo fa riferimento ad un recente studio sul possibile nesso tra BPA e obesità. I ricercatori stessi spiegano che lo studio non fornisce alcuna prova che l’esposizione al BPA causi obesità infantile. Lo studio semplicemente mostra una correlazione statistica tra bambini che presentano livelli più elevati di BPA e obesità infantile. Per questa ragione e’ importante evitare ogni conclusione affrettata che si potrebbe trarre da questo tipo di ricerca http://www.bpa-coalition.org/bpa-and-obesity-weighing-the-facts/