L’indice Fao che misura i prezzi medi degli alimenti nel mondo ha appena stabilito un nuovo record. Il costo del “paniere Fao” (che si basa su grano, mais, riso, oli vegetali, prodotti lattieri, carni e zucchero) ha superato il picco già raggiunto nel giugno 2008. «Stiamo vivendo il principio di una nuova crisi alimentare. Ottanta paesi sono già ora in una situazione di deficit alimentare, e il continuo aumento dei prezzi può essere assai pericoloso», spiega il Relatore speciale Onu per il diritto all’alimentazione Olivier de Schutter. Le aree più a rischio sono il Sahel e l’Asia centrale, oltre ai tanti paesi minacciati da povertà e mala-politica, dal Monzambico all’Etiopia, dal Bangladesh alla Corea del Nord. «Per questo non dobbiamo ripetere gli errori del 2008».
«Nel 2008 è mancata trasparenza sull’ammontare delle riserve e la possibilità di coprire i deficit degli uni con i surplus degli altri. Il panico si è impadronito dei mercati, causando reazioni come quelle di alcuni governi che hanno imposto restrizioni alle esportazioni. Nell’aprile 2008 il prezzo di una tonnellata di riso era di 600 dollari, contro i 150 di inizio anno. I grandi importatori di riso, come le Filippine, non potevano più acquistarlo sui mercati, mentre i grandi esportatori, come la Tailandia, avevano sospeso le loro esportazioni. Il problema non era la carenza di riso, ma il fatto che coloro che detenevano gli “stock” non erano disposti a vendere», ha dichiarato De Schutter a L’Echos.
Anche oggi non ci troviamo di fronte a una carestia globale. Quando si accumulano notizie negative sul clima, come gli incendi in Russia, l’ondata di caldo in Ucraina, le piogge eccessive in Canada, alcuni operatori preferiscono non vendere, mentre gli acquirenti si agitano nel tentare di comprare il più possibile. E i prezzi si impennano. Per esempio, lo scorso luglio la Russia ha bloccato le esportazioni di grano per la siccità e il prezzo è raddoppiato in tre settimane. Una tonnellata di grano quotata €100 a luglio, ne vale ora 220 e potrebbe presto salire a 300.
All’origine della speculazione sui prezzi alimentari c’è il mercato dei derivati, strumenti finanziari il cui valore dipende dall’andamento di un’attività sottostante, che può riguardare anche le materie prime alimentari. Dopo il 2005, con la liberalizzazione dei mercati dei derivati negli Stati Uniti, sono intervenuti fondi d’investimento, fondi pensionistici e altri fondi speculativi – dotati di un potere finanziario considerevole ma privi di expertise sui mercati agricoli – che hanno dato il via a una sorta di “economia dell’azzardo” basata su una logica meramente speculativa. Si gonfiano “bolle economiche” sul mercato dei derivati, mediante lo scambio di titoli di vendita delle merci future a prezzi che esulano dal mercato reale. E quando la bolla scoppia, guai per tutti.
Un ulteriore fattore è l’aumento della produzione di bio-carburanti. Le riserve mondiali di cereali attese per i 2011 ammontano a 427 milioni di tonnellate, 63 milioni in meno rispetto al 2009. Tale perdita dipende in buona parte alla destinazione dei cereali per produrre bio-combustibili: in USA si prevede quest’anno di destinare a etanolo il 38,3% del mais raccolto (contro il 30,7% del 2008).
Dopo la crisi del 2008 l’agricoltura è riapparsa nelle priorità di molti governi, ma gli investimenti tardano a mostrare i loro effetti. Quanto ai Paesi poveri, fino a oggi si è materializzato soltanto il 20% dei 20 miliardi di dollari promessi al G8 de L’Aquila nell’aprile 2009. Già nel 2003, al vertice di Maputo, i paesi aderenti all’Unione Africana avevano concordato di dedicare all’agricoltura almeno il 10% del bilancio. Solo alcuni hanno rispettato questo impegno, ma ciò che conta è la destinazione effettiva del denaro. «Se anche un Paese investe il 10% del suo budget, ma in colture destinate esclusivamente all’esportazione, la situazione dei prezzi resterà critica. È invece necessario rispondere ai bisogni dei consumatori locali», denuncia Olivier de Schutter.
«Molti degli investimenti successivi al 2008 sono stati rivolti alle grandi coltivazioni nei Paesi in via di sviluppo, mirate a soddisfare le richieste dei mercati internazionali. Per le popolazioni locali, questi investimenti rappresentano una nuova, disastrosa minaccia: quella di venire espropriati delle loro terre. Gli investimenti invece devono sostenere la microagricoltura su scala familiare: aiutare le cooperative, migliorare le vie di comunicazione e le infrastrutture…,». Tanto più che in molti di questi paesi la popolazione raddoppia a ogni generazione e la ripartizione dei campi è sempre più sacrificante.
Il Relatore speciale Onu per il diritto all’alimentazione indica tre strade da seguire in contemporanea:
1) incoraggiare i Paesi a ricostruire le proprie riserve alimentari. «Se le riserve vengono gestite con le confederazioni agricole locali, i produttori e i consumatori saranno protetti rispetto alla volatilità dei prezzi. Le riserve potrebbero venire gestite su scala regionale, coinvolgendo più Paesi che s’impegnino alla mutua assicurazione sul rischio di raccolti carenti. Questa idea è emersa in America centrale, ma anche nel Sud-Est asiatico, dove esiste una banca centrale del riso».
2) fissare un limite alle speculazioni basate sui prezzi alimentari. Ciò significa, come negli Stati Uniti, introdurre un limite alle esposizioni degli investitori istituzionali sulle singole materie prime. Così, per esempio, Goldman Sachs o Deutsche Bank non potranno detenere più di un certo numero di titoli basati sul grano o sul mais, in modo da limitare l’influenza dei loro ordini d’acquisto suii prezzi delle materie prime agricole.
3) imporre la trasparenza su tutte le operazioni di scambio dei titoli derivati, come intende fare il Commissario europeo per il Mercato interno Michel Barnier. Attualmente, il 92% di tali operazioni avviene nella totale opacità.
La “decisione di Marrakech”, che ha accompagnato gli accordi per la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), ha previsto che quando la bilancia dei pagamenti di uno Stato risulti deficitaria per un’impennata dei prezzi delle derrate alimentari, il paese possa beneficiare di un’assistenza temporanea. Questa misura non è mai stata adottata poiché, tra il 1995 e il 2005, i prezzi delle materie prime agricole hanno proseguito un declino strutturale avviato negli anni ’80. Ma la situazione è ora cambiata, e il ricorso agli aiuti temporanei merita dunque di venire riconsiderato.
Per approfondimenti:
– la crisi alimentare in arrivo: “UN body warns of food price shock”, di Javier Blas, Financial Times, 5.1.11; “World moves closer to food price shock”, di Gregory Meyer, Javier Blas, Jack Farchy, Financial Times, 12.1.11
– intervista 17.8.10 a Olivier de Schutter, Afronline, Sud Quotidien (Senegal), Les Echos (Mali), L’Express de Madagascar, Addis Fortune (Etiopia)
– la speculazione finanziaria: Fao.
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade