Dal 1 gennaio al 19 ottobre di quest’anno il Sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi (Rasff) ha trasmesso 87 notifiche riguardanti la presenza di novel food non autorizzati nel cibo. Questo termine indica sostanze, alimenti o ingredienti “nuovi”, che non fanno parte della tradizione culinaria europea e che, una volta autorizzati, possono comparire nell’elenco degli ingredienti degli alimenti in commercio. I prodotti “salutistici” e gli integratori alimentari, in particolare, possono contenere sostanze, estratti, semi, polveri di cui non abbiamo mai sentito parlare, o che fino a poco fa non avevamo mai visto utilizzare in cucina. Pensiamo per esempio al baobab, alla spirulina, ai semi di chia o all’olio di krill…
La loro presenza sugli scaffali è regolamentata da una normativa specifica: il Regolamento UE sui novel food. Il testo stabilisce per tutti i prodotti e le sostanze alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo “significativo” come alimenti, al 15 maggio 1997 all’interno dell’Unione Europea, che prima di essere messi in commercio devono ricevere il benestare dell’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare). Approvazione che arriva dopo un processo di verifica riguardante diversi aspetti: il nuovo prodotto non deve essere tossico (eventualmente sono fissate delle soglie massime di assunzione), deve essere etichettato correttamente e, se va a sostituire un alimento preesistente, non deve essere svantaggioso dal punto di vista nutrizionale.
“La legislazione sui novel food – spiega Luca Bucchini, esperto di normativa e sicurezza alimentare – si basa sul principio di tutela dei consumatori e mira a garantire l’inserimento di prodotti alimentari nuovi e vantaggiosi, senza che venga meno la sicurezza. L’uso di qualsiasi ingrediente nuovo è quindi vietato finché questo non riceve una specifica autorizzazione.” Sono sottoposti al regolamento gli insetti e le loro parti, gli alimenti provenienti da Paesi lontani, come il baobab o il noni (Morinda citrifolia), le sostanze e gli estratti ricavati da fonti già note ma non utilizzati prima in forma isolata – per esempio il licopene estratto dal pomodoro, le proteine di patate o l’olio del nocciolo di prugna – e gli alimenti prodotti con nuove tecnologie che potrebbero interferire con le caratteristiche nutrizionali. Per esempio le sostanze prodotte tramite colture cellulari ottenute da organismi già noti e utilizzati, o la carne coltivata in laboratorio a partire da cellule di bovino (leggi qui).
Fra le segnalazioni del Rasff troviamo più volte la presenza di Cbd (cannabidiolo), sostanza con effetti rilassanti estratta dalle foglie e dalle infiorescenze della canapa. L’olio di Cbd si ricava mescolando questa sostanza con un olio alimentare. La situazione è piuttosto ambigua perché i semi di canapa, nelle varietà garantite a basso livello di Thc e quindi prive di effetto stupefacente, sono ammessi come ingredienti negli alimenti, tal quali, come olio o come farina (leggi qui). Tutto ciò che si ricava dalle foglie e dalle infiorescenze, invece, non può essere utilizzato negli alimenti. Anzi, recentemente il Ministero della salute ha emanato un decreto, poi ritirato prima che entrasse in vigore (leggi qui), nel quale il Cbd veniva classificato fra i medicinali stupefacenti, escludendone il possibile utilizzo per alimenti o integratori e riservandolo ai farmaci. “Il Cbd era utilizzato come integratore con funzione rilassante – precisa Bucchini – poi è stato classificato come novel food. Integratori alimentari a base di Cbd, oltre a essere disponibili in rete, sono tuttora molto utilizzati negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove la normativa lo permette. In Europa, invece, nonostante la canapa sia una pianta tradizionale, non si riconosce l’utilizzo di questo ingrediente nell’alimentazione, cosa che in effetti non è mai avvenuta in passato. D’altra parte anche negli Stati Uniti, dove questa sostanza è autorizzata, ci sono molti dubbi sulla sua sicurezza. Senza dimenticare che è stato trovato più volte olio di Cbd contaminato da Thc, quindi con possibili effetti stupefacenti.”
Il parere di Federcanapa, associazione di produttori, è chiaro: “Premesso che qualsiasi estratto di Cbd a basso tenore di Thc va escluso dalle tabelle degli stupefacenti, sosteniamo che la sua destinazione d’uso andrebbe decretata in base alla concentrazione del principio attivo: a basse concentrazioni dovrebbe essere ammesso anche come semplice alimento o aroma, mentre un estratto a concentrazioni intermedie dovrebbe essere classificato come novel food e solo ad alte concentrazioni il suo impiego può essere ammesso esclusivamente come farmaco.”
Un’altra pianta segnalata è Ilex guayusa, originaria dell’Amazzonia e parente dell’erba mate (Ilex paraguariensis ), con la quale in Sud America si prepara una bevanda tradizionale. Le foglie di Ilex guayusa sono molto ricche di caffeina e il suo uso negli alimenti o negli integratori non è ancora autorizzato.
Uno dei casi più interessanti è però quello degli alimenti a base di insetti. L’utilizzo di questi animali a scopo alimentare, in teoria, sarebbe possibile anche in Europa, come accade tradizionalmente in molti Paesi dell’Asia, dell’Africa e del Sud America, però, prima di mettere in commercio un alimento a base di insetti, i produttori devono dimostrarne la sicurezza con analisi chimiche e studi tossicologici, che considerino tutti i possibili rischi. “Per mettere a punto tutte le certificazioni richieste servono quasi 100mila euro – precisa Luigi Ruggeri, che nel bolognese alleva insetti per la lotta biologica e a scopo zootecnico–. Il nostro allevamento ha tutte le autorizzazioni sanitarie, ma manca ancora l’ultimo passaggio: il benestare per il consumo umano. La Fao sostiene il consumo di insetti edibili come alternativa sostenibile alla carne, ma l’iter dei permessi al momento è bloccato. Non credo che chi ha introdotto in Europa i kiwi o gli anacardi abbia dovuto affrontare un iter burocratico di questo tipo.”
La situazione appare piuttosto ambigua e molto complessa. La bava di lumaca, per esempio, anche se non era certo usata come alimento prima del 1997, è l’ingrediente principale di un gran numero di “sciroppi” per la tosse, che non rientrano nella categoria dei farmaci ma in quella degli integratori alimentari (approvati e riconosciuti dal ministero della Salute), prodotti che sono considerati del tutto analoghi agli alimenti e soggetti alla stessa normativa. Forse perché le lumache, da lungo tempo, sono tradizionalmente consumate come alimenti?
“Il problema dei novel food riguarda in particolare gli integratori – dice Bucchini –, perché in Italia non esiste un vero e proprio piano di controllo nazionale di questi prodotti. Ci sono aziende che lavorano bene e altre che utilizzano sostanze non consentite, oppure non rispettano le dosi autorizzate, così si rischia da un lato di trovare prodotti privi di efficacia perché la sostanza attiva è presente in quantità troppo piccola, e dall’altro di andare incontro a sovradosaggio”.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.