Il 24 marzo 2022, Restaurant Brands International (Rbi) – la multinazionale canadese-americana proprietaria di Burger King, Popeyes, Tim Hortons e Firehouse Subs, una delle maggiori aziende di ristorazione veloce al mondo, con 27 mila locali in 100 Paesi – ha dichiarato che toglierà i Pfas dagli imballaggi di tutti i suoi ristoranti entro il 2025. La decisione è arrivata in seguito all’indagine condotta dalla rivista statunitense Consumer Reports che descrive come gli involucri con cui vengono incartati panini, patatine e altri cibi di alcuni dei maggiori fast food americani contengano Pfas.
Cosa sono i Pfas?
Chiamate in inglese forever chemicals proprio per la loro persistenza nell’ambiente, i Pfas sono sostanze perfluoroalchiliche, una famiglia di molecole organiche caratterizzate dall’avere la maggior parte degli atomi di idrogeno sostituiti da atomi di fluoro. Hanno una grande versatilità: particolarmente inerti alle reazioni chimiche, resistenti al calore, all’abrasione o all’usura in generale, servono per conferire ai materiali proprietà di antiaderenza e impermeabilità, all’acqua come agli oli. A fronte di quest’utilità, sono ormai note anche le loro potenziali conseguenze sulla salute, come le disfunzioni del sistema immunitario, l’aumento del rischio di insorgenza di alcuni tipi di cancro, disturbi endocrini, problemi allo sviluppo cognitivo e neurocomportamentale dei bambini.
La tossicità
I Pfas conosciuti sono più di 9 mila, ma solo un paio di dozzine sono identificabili attraverso i test più comuni. È quindi complesso riconoscere il tipo esatto di Pfas presente in un prodotto. Il contenuto di fluoro organico rappresenta quindi il modo più semplice per verificare la presenza di Pfas in un materiale, dato che tutti i Pfas lo contengono, ciononostante, scienziati e autorità non hanno ancora stabilito il livello massimo di fluoro organico che può essere presente negli imballaggi senza che questi diventino tossici. In California, per esempio, a partire dal 2023 gli imballaggi alimentari dovranno contenerne meno di 100 parti per milione, mentre in Danimarca la soglia è fissata a 20 ppm ed è quest’ultimo limite che è stato indicato come quello auspicabile dagli esperti di Consumer Reports.
I risultati dell’indagine
Nella sua indagine, la rivista ha testato 118 imballaggi alimentari di catene di ristoranti e di fast food e sono state trovate sostanze perfluoroalchiliche in molti tipi di contenitori, da quelli usati per le patatine fritte agli involucri per gli hamburger, dalle ciotole per l’insalata ai piatti usa e getta. Oltre agli imballaggi di McDonald’s, che aveva dichiarato di voler eliminare gradualmente i Pfas entro il 2025, e di Burger King, la cui decisione è stata presa dopo aver ricevuto i risultati dello studio, Consumer Reports ha trovato Pfas anche in imballaggi di catene che avevano dichiarato di non farne più uso, sebbene in questi casi i livelli rilevati siano inferiori alla media degli altri.
Anche i big del fast food
Per quanto riguarda le due catene di fast food che operano anche in Italia, le analisi condotte sui punti vendita statunitensi da Consumer Reports mostrano che, da Burger King, le buste per i biscotti e gli involucri dei French toast sticks presentano un livello di fluoro organico pari a 345,7 ppm; nelle confezioni del Wropper (panino di punta della catena) sono state misurate 249,7 ppm e nella busta dei nuggets di pollo si sono riscontrate 165 ppm. Nel caso di McDonald’s i numeri rilevati dalla rivista sono invece questi: 250,3 ppm di fluoro organico nelle confezioni delle patatine fritte; 250 in quelle dei biscotti; 219 nelle confezioni dei Chicken McNuggets e 195,3 ppm nei contenitori del Big Mac.
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