Continua, negli Stati Uniti, la battaglia sul conflitto di interessi scatenata dalla rivelazione dei beneficiari di 120 milioni di dollari elargiti dalla Coca-Cola. Ultima in ordine di tempo a tornare sui suoi passi è l’Università del Colorado, che ha annunciato la decisione di rendere un milione di dollari, dopo aver saputo che la donazione faceva parte di un progetto per enfatizzare il ruolo dell’attività fisica a scapito di quello delle bevande dolci nell’obesità. Il denaro – ha sostenuto l’università – avrebbe distorto gli studi, orientandone le finalità e, quindi, il messaggio finale.
Dal 2010 in poi la Coca-Cola, ricorda il New York Times ricostruendo i fatti, ha elargito fondi a molti dei protagonisti della supposta lotta all’obesità, dall’American Academy of Pediatrics (3 milioni per istituire il sito Healthychildren.org) all’Academy of Nutrition and Dietetics (1,7 milioni) a molti altri, e nel 2014 ha dato vita a una vera e propria lobby di accademici e ricercatori, il Global Energy Balance Network, oggi da molti considerata lo strumento più subdolo per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media dai danni delle soda.
L’azienda, come risposta all’annuncio, lamenta che siano stati gli aderenti al network a tradire l’intento originario. Secondo il giornale newyorkese alcuni dei vertici, docenti di nutrizione in diverse università, si rifiutano di commentare pubblicamente tutta la vicenda, nonché incidenti come quello del lungo video in cui Steven Blair, ricercatore dell’Università della Carolina del Sud e vice presidente del Network, affermava che non ci sono prove scientifiche per sostenere che l’assunzione di bibite zuccherate sia la causa dell’aumento del peso medio degli americani.
La Coca-Cola ha poi annunciato che devolverà i fondi restituiti all’organizzazione no profit Boys & Girls of America, e ha lanciato una campagna sui social media (facebook e twitter), ancora una volta sottolineando l’importanza dell’attività fisica, e tacendo sul ruolo dell’alimentazione.
Nel dibattito si è fatta sentire la voce di Marion Nestle, nutrizionista dell’Università (pubblica) di New York , da anni in prima fila nelle campagne anti junk food e soda, e instancabile promotrice, anche attraverso diversi libri tra i quali “Soda Politics”, di un’alimentazione più sana. La scrittrice ha ribattezzato il Network la testa d’ariete dell’azienda, incaricata di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle responsabilità delle bevande dolci e in generale del junk food. Non solo. Plaudendo al ripensamento dell’università del Colorado, si è augurata che ora siano anche le altre istituzioni accademiche a seguirla, mettendo fine una volta per tutte al conflitto di interessi che ha inquinato tutto il dibattito degli ultimi anni.
Nello scorso mese di agosto, del resto, il Center for Science in the Public Interest aveva reso nota una lettera firmata da 37 ricercatori e docenti e autorità pubbliche nella quale si definiva il network un nonsense scientifico da quattro soldi.
Forse anche le università si stanno rendendo conto che quei fondi sono controproducenti, e non solo per la salute pubblica.
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Giornalista scientifica
nonostante le linee guida oms
le associazioni dei dentisti e dei medici
non prendono iniziative sul tema del consumo di zuccheri
dott.Giulio Calderoli