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In queste calde settimane di luglio la birra Ichnusa è finita sotto i riflettori, ma non perché l’estate è la stagione principe per chi ama consumare questa bevanda. La più famosa birra sarda (dal 1986 acquisita dall’olandese Heineken) è comparsa su tanti organi d’informazione perché è stata citata in un docufilm del regista Massimiliano Mazzotta sull’inquinamento da fluoro in Sardegna. Il film, intitolato Chemical Bros., fa un viaggio nella filiera della lavorazione della fluorite. Tra i protagonisti di questo viaggio spicca l’azienda Fluorsid, che ha sede nel cagliaritano e ha determinato in passato un grave inquinamento del territorio e delle falde acquifere nell’area intorno al suo stabilimento.

Nel documentario, premiato lo scorso 13 giugno al festival CinemAmbiente di Torino, nella sezione Ambiente e Società, viene per l’appunto citata anche la birra Ichnusa. Lo stabilimento produttivo della bevanda si trova infatti a pochi chilometri da quello della Fluorsid e questo, secondo l’autore del film, la renderebbe a rischio di inquinamento, per la possibile presenza di fluoruri (sali di fluoro) disciolti nell’acqua usata nella sua produzione. A conferma della propria tesi, il regista porta alcune analisi condotte da diversi laboratori su sei campioni di birra comprati al supermercato. Da queste analisi emergerebbe una presenza di fluoruri superiore ai limiti di legge in cinque campioni su sei, con valori molto variabili, da 3,5 a 27,7 mg/l, mentre il limite per l’acqua potabile, e di conseguenza anche per quella utilizzabile nella produzione di bevande, è di 1,5 mg/l.

L’azienda nega però recisamente l’attendibilità di tali dati, specificando che il birrificio effettua regolarmente analisi presso laboratori certificati che garantiscono la sicurezza delle birre prodotte ad Assemini (Ca). Ichnusa precisa, che nel corso degli ultimi cinque anni, il birrificio ha effettuato regolarmente oltre 50 analisi delle acque utilizzate per la produzione della birra, esaminando tutti i parametri, inclusi i fluoruri, e che le tracce di fluoruri rilevate sono risultate in media otto volte inferiori ai limiti di sicurezza per le acque e cinque volte inferiori ai valori medi di fluoro nelle acque italiane.

Per quanto riguarda poi l’origine dell’acqua utilizzata per la produzione della birra, la società ha precisato che questa viene prelevata da cinque pozzi ubicati all’interno del sito produttivo e direttamente collegati a una falda artesiana di profondità. Elemento, questo, che offre ulteriori garanzie di sicurezza su contaminazioni o inquinamento rispetto a una falda superficiale. Inoltre, il birrificio è dotato di un impianto a osmosi inversa che purifica ulteriormente questa materia prima di base per la produzione della birra. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente significativo perché, se anche ci fossero delle contaminazioni, i sistemi di trattamento a osmosi inversa, molto efficienti nel rimuovere ogni composto, le eliminerebbero.

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Negli ultimi cinque anni il birrificio ha effettuato oltre 50 analisi delle acque esaminando tutti i parametri, inclusi i fluoruri

La società esprime poi dei dubbi anche rispetto all’attendibilità scientifica delle misurazioni fatte fare sui suoi prodotti. Le analisi, infatti, sono state condotte su pochi campioni di birra, con risultati molto discrepanti tra loro. Questo si deve probabilmente ai metodi utilizzati che sono creati per essere applicati all’acqua, mentre gli altri componenti della birra interferiscono con le rilevazioni. I dati in possesso di Ichnusa non indicano quindi ragioni di allarme. A questo punto saranno i tecnici dell’Azienda sanitaria locale (che vigila sulla salubrità delle acque per il consumo) e i Carabinieri con il Nucleo anti sofisticazioni (che operano i controlli sui prodotti alimentari non conformi) a fare le opportune verifiche. Una maggior conoscenza degli effetti del fuoro sulla salute può comunque essere utile a prendere decisioni più consapevoli.

Come chiarisce un articolo pubblicato lo scorso 15 luglio sul sito di Altroconsumo, il fluoro è un minerale importante per il nostro organismo, necessario alla formazione e alla salute di ossa e denti. Se ne assumono le dosi corrette solitamente proprio attraverso l’acqua potabile, ma anche tramite l’uso di dentifrici fluorati. La concentrazione minima di fluoro nell’acqua da bere necessaria per esercitare un effetto protettivo sui denti è stimata a circa 0,5 mg/litro. Quando però questa concentrazione è eccessiva, vi è un rischio di fluorosi dentale, che è principalmente un problema legato all’aspetto dei denti. Se poi il consumo di dosi troppo alte si protrae per lunghi periodi può rendere le ossa più fragili.

Bocca con denti in evidenza, mano che sorregge uno spazzolino con manico verde trasparente, nel gesto di lavarli
Il fluoro è necessario per la salute delle ossa e dei denti e viene assunto attraverso l’acqua e alcuni dentrifrici, ma ad alte concentrazioni è pericoloso

Problemi per le ossa (come le fratture) tendono ad aumentare con il consumo quotidiano di acqua potabile contenente fluoro a concentrazioni elevate, superiori a 4 mg/litro, mentre a concentrazioni superiori a 10 mg/litro aumenta il rischio di fluorosi scheletrica. Un limite tollerabile di esposizione a fluoruri basato sul rischio di causare una lieve fluorosi dentale (limite quindi certamente precauzionale) è stato proposto dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare nel 2005: tale valore limite è pari a 1,5 mg/giorno per bambini di 1-3 anni; mentre, per i soggetti di età superiore ai 15 anni, si è stabilito un limite di 7 mg/giorno. Pertanto, sono i bambini a rischiare di più con un eccessivo consumo di fluoro ma, chiaramente, i bimbi non bevono birra. Il fluoro in sé, quindi, costituisce un problema per la salute solo con un’assunzione reiterata e continuativa oltre determinate soglie. Per il resto, sappiamo invece bene che l’alcol, contenuto nelle birre di qualsiasi azienda, è una sostanza pericolosa e per questo ne è raccomandato un uso moderato, ma non può esserne indicato alcun livello di consumo sicuro.

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