La maggior parte di branzini (spigole) e orate servite al ristorante sono di allevamento e spesso provengono dall’estero. La legge non obbliga a scriverlo sul menu, ma alla domanda precisa del cliente il gestore deve fornire una risposta altrettanto precisa.
La necessità di utilizzare sempre di più pesce cresciuto in vasca oppure in gabbie ancorate a mare, è correlata alla scarsità di pescato nel mar Mediterraneo e più in generale altrove. La causa, riconosciuta a livello internazionale e dalla Fao, è l’eccesso di catture: la pesca ha raggiunto livelli insostenibili superando in alcune aree i limiti consentiti.
In Italia il pesce catturato rappresenta solo il 30% del totale. Per noi il Fish Dependance Day, ovvero il giorno in cui finisce il consumo di pescato nostrano e comincia quello d’importato, si colloca intorno al 21 aprile.
Per questi motivi aumenta progressivamente l’importanza dell’acquacoltura che attualmente fornisce la metà del pesce consumato nel mondo, con buone probabilità di arrivare all’85% nel 2050. Nonostante l’orientamento favorevole della UE e le richieste del mercato, l’allevamento di pesci e crostacei in Italia stenta a decollare.
L’acquacoltura crea anche problemi di sostenibilità laddove le farine di pesce destinate a pesci carnivori come salmoni, orate e branzini sono ottenute dalla pesca di aringhe o pesce azzurro di minor valore commerciale. Per aumentare la sostenibilità l’acquacoltura utilizza sempre di più gli scarti della lavorazione del pesce inscatolato ( tonni , sardine ….) per ottenere le farine del mangime. Il problema non si pone per specie come il pangasio perchè si usano mangimi vegetali.
Le specie allevate più apprezzate dagli italiani sono orate, branzini, rombi, salmone, trote, trote salmonate, ombrine, ricciola, anguille e gamberi. All’elenco occorre aggiungere anche alcune specie di tonni, sogliole, carpe, cernie, pesci gatto, tilapie e il famoso pangasio.
Numerosi sono i vantaggi dell’acquacoltura, tra cui la garanzia di una fornitura continua a prezzo costante rispetto al prodotto pescato e la tracciabilità del prodotto dalla nascita al consumo. Quanto alla qualità del pesce allevato, va detto che dipende dalle condizioni climatiche, dalla qualità delle acque, dai sistemi di crescita (intensivo o estensivo) e soprattutto dalla qualità del mangime.
I pesci di allevamento sono in genere più grassi di quelli pescati. A giudizio di Elena Orban, responsabile del settore Prodotti Ittici dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), la percentuale di grasso per il branzino allevato in vasca varia dal 5 all’8%, mentre per il selvatico oscilla dal 2 al 4%. Nelle orate cresciute in vasca la percentuale di grasso oscilla dal 6 al 9%, in quelle pescate dal 2 al 6%.
Ci sono branzini e orate provenienti da Grecia, Turchia, Croazia e Tunisia, cresciuti in gabbie o vasche troppo affollate e allevati con mangimi mediocri (si tratta di pesci che arrivano a pesare 450/550 g dopo 18-22 mesi). Il risultato è un prodotto con il doppio e anche il triplo di grassi rispetto al pesce selvatico e con un sapore diverso.
Alcune catene di supermercati come Coop ed Esselunga propongono orate e branzini di filiera (facilmente distinguibili perché riportano il marchio dell’insegna sull’etichetta), provenienti da allevamenti italiani dove la crescita è controllata e si rispettano disciplinari di produzione. Ci sono anche pesci allevati nella laguna di Orbetello che vengono venduti al dettaglio come prodotto di alta qualità perchè seguono programmi di filiera controllata. In questi allevamenti l’affollamento è minore e il mangime è composto unicamente da farine e olio di pesce, oltre a proteine di origine vegetale senza OGM.
Per arrivare alla pezzatura di 450/550 g ci vogliono 2-3 mesi in più rispetto agli allevamenti greci e turchi; inoltre, il risultato finale è diverso: il contenuto di grasso e il sapore di orate e branzini risulta più simile al pesce catturato in mare. Il prezzo, però, lievita: se il branzino di allevamento greco di taglia standard costa 7-8 €/ kg, quello di filiera cresciuto in modo controllato oscilla tra 10 e 14 €/ kg, mentre il selvatico, quando lo si trova, si attesta sui 20-25 €/kg.
La trasmissione svizzera A bon entendeur ha presentato tempo fa l’esito delle analisi realizzate in laboratorio su orate e i branzini di allevamento, venduti nei supermercati locali. Gli analisti hanno confrontato il tenore di grasso dei pesci allevati con quello degli esemplari catturati in mare: la presenza di grassi nei primi è quasi doppia. Nel caso dei branzini, in particolare, si passa dal 3,6% di grasso negli esemplari pescati al 6,6% dei pesci allevati; nel caso delle orate si passa dal 5,4% al 9,4%.
La ragione principale di questa notevole differenza risiede soprattutto nel tipo di mangime somministrato. A tal proposito, è interessante rilevare come la presenza di grassi nei branzini venduti da Coop, tutti allevati in modo controllato in base ai disciplinari previsti, sia del 3%, e nelle orate del 3,4%: si tratta di valori molto vicini a quelli del pesce catturato in mare.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.