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L’antibiotico resistenza si è sviluppata per l’uso improprio di farmaci

Come combattere la crescente presenza di batteri antibiotico-resistenti, dovuta all’uso eccessivo e improprio di farmaci, negli allevamenti intensivi di animali da reddito? L’idea che gli alimenti della  dieta quotidiana, in particolare il pollame, siamo pieni di batteri può farci paura, ma in realtà la presenza dei batteri su un organismo vivente (compreso l’uomo), è assolutamente normale. Anche se quando si tratta di alimenti impone alcune precauzioni, come quella di non lavare la carne del pollo prima di cuocerla per non disperdere eventuali agenti patogeni nella cucina, e di mantenere separati il cibo crudo da quello cotto, per evitare contaminazioni incrociate. Il discorso cambia quando questi batteri sono responsabili di malattie e ancor più quando si tratta di batteri antibiotico resistenti, ben più difficili da sconfiggere.

Quando si parla di allevamenti aviari, il problema riguarda particolarmente il polli da carne e i riproduttori. Nei capannoni dove vivono le galline ovaiole gli antibiotici sono meno usati, per evitare  la probabilità di trovare residui nelle uova e anche perché le modalità di allevamento previste non favoriscono le infezioni. Diversa la situazione negli allevamenti intensivi di broiler, i classici polli da carne. «Le classiche malattie dei polli erano diffuse nel passato – spiega Mariapia Franciosini, docente di Patologie aviarie e Sanità Pubblica all’Università di Perugia – oggi la maggior parte delle infezioni che colpiscono i broiler possono essere considerate tecnopatie, ossia malattie senza eziologia specifica. La  selezione genetica e la loro costituzione insieme all’ambiente in cui vivono gli animali li rende più vulnerabili alle malattie». «I broiler cresciuti negli allevamenti intensivi – aggiunge Cesare Castellini, docente di discipline zootecniche presso l’Università di Perugia – rappresentano oltre il 95% della produzione avicola e sono animali iperselezionati che crescono velocemente in condizioni controllate grazie a un tipo di alimentazione molto calibrata e concentrata. In altri termini – prosegue Castellini –  se in genere è l’animale che si deve adattare all’ambiente, in questo caso sono stati selezionati polli con particolari caratteristiche, per cui  diventa necessario creare un ambiente adeguato per accoglierli».

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Proprio la notevole produttività rende i broiler particolarmente vulnerabili

«Proprio questa capacità di crescere in poco tempo – osserva Castellini – rende i polli particolarmente vulnerabili anche a livello di sviluppo del sistema immunitario. Senza contare che la densità degli animali nei capannoni – indispensabile per mantenere competitivo il prezzo della carne – incide nella diffusione delle infezioni. Si tratta di una situazione comune in tutti i paesi, dove si adottano le pratiche di allevamento intensivo». Gli antibiotici, che rappresentano comunque un costo non indifferente per l’azienda agricola, diventano una necessità. «Il pollo – osserva Castellini – è così diventato un prodotto economico ed efficiente, per cui risulta difficile promuovere un modello diverso basato su un allevamento estensivo in grado di garantire maggior rispetto del comportamento e del benessere animale». Negli allevamenti estensivi e nel biologico gli animali possono stare al pascolo, il numero di capi è inferiore come pure la densità . «Le razze a lento accrescimento – spiega Castellini – in genere usate negli allevamenti estensivi sono più rustiche e gli animali hanno maggior spazio. Nel biologico poi questi farmaci si usano meno essendo ammesso al massimo un solo trattamento nel ciclo di vita che in questi casi arriva a circa ottanta giorni, e comunque si procede solo quando altri farmaci siano risultati inefficaci. Però una produzione di questo tipo costa due/ tre volte di più rispetto ai metodi intensivi».

«La qualità della vita degli animali – osserva la direttrice di Compassion in Word Farming CIWF Italia Onlus Annamaria Pisapia – resta un problema centrale. Il miglioramento delle condizioni ambientali non basta a risolvere questo problema. Per ridurre l’uso di antibiotici e tenere sotto controllo il fenomeno bisogna lavorare anche sugli aspetti di selezione delle razze e sulla riduzione delle densità».

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Le grandi aziende cercano di gestire  gli allevamenti senza utilizzare antibiotici

I problemi di antibiotico resistenza si sono sviluppati per l’uso improprio di farmaci che ora, anche grazie a direttive europee sempre più vincolanti, si cerca di limitare almeno come metodo di profilassi.  «Un trattamento preventivo ancora utilizzato in campo non da tutte le aziende – spiega  Franciosini – riguarda il pulcino quando viene trasferito dall’incubatoio all’allevamento per ovviare alla possibile insorgenza di patologie neonatali in seguito allo stress da trasporto». Questo non significa, è bene precisarlo, che ci sia il rischio di consumare carni di pollo contenenti tracce di antibiotico. «L’impiego terapeutico del farmaco è controllato grazie alla farmacosorveglianza effettuata da veterinari AUSL sia nei capannoni sia al macello», prosegue Franciosini . «Il limite del trattamento terapeutico negli allevamenti intensivi è che spesso ci si trova difronte a patologie multifattoriali, e  l’impiego di un farmaco da solo non basta se non si correggono gli altri fattori che concorrono alla genesi della malattia. In secondo luogo spesso non è possibile effettuare l’antibiogramma  prima del trattamento (esame per capire quali sono gli antibiotici più adatti da somministrare ) perché per avere i risultati bisogna aspettare almeno tre giorni, e l’attesa provocherebbe  con un impatto economico negativo sul bilancio aziendale».

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Una politica di prevenzione per ill benessere animale può garantire animali sani e resistenti

Nonostante le difficoltà qualcosa si sta muovendo. «L’applicazione dei piani di sorveglianza nei confronti dell’influenza Aviare e delle Salmonellosi hanno sicuramente comportato in questi ultimi anni un miglioramento delle condizioni di biosicurezza negli allevamenti, grazie anche ai programmi di autocontrollo delle stesse aziende e ai controlli ufficiali gestiti dalle AUSL». Lo stesso Piano ministeriale per la lotta all’antibiotico resistenza parla di una riduzione dell’uso dei farmaci negli allevamenti avicoli italiani, da 283 a 268 mg/PCU (ovvero unità di correzione della popolazione, un valore teorico determinato sulla base del peso medio degli animali sottoposti a trattamenti, e del numero di polli macellati ogni anno). «Sono sempre più le grandi aziende che cercano di  gestire gli allevamenti senza medicinali, e di limitare il trattamento con i vaccini, necessari per combattere altre patologie, al solo incubatoio», prosegue la docente. «Si cerca anche  di ottimizzare le condizioni dell’allevamento all’interno dei capannoni (ventilazione, condizioni della lettiera, grado di umidità) e di impiegare principi attivi naturali come i prebiotici, probiotici e oli essenziali».  Gli addetti ai lavori sono d’accordo nel sostenere che solo una politica di prevenzione indirizzata al benessere può garantire la produzione di animali sani e resistenti  e quindi una netta riduzione dell’impiego di antibiotici . È proprio questo l’obiettivo del Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e per la lotta all’antibiotico resistenza in avicoltura. Ma senza dati, denuncia CIWF, una politica di riduzione nell’uso di questi farmaci è destinata a fallire. “Servirebbe un monitoraggio sistematico, e un data base accessibile – sottolinea l’associazione – in altri paesi come Danimarca e Olanda, dove questo tipo di monitoraggio è obbligatorio, i dati di vendita degli antibiotici per uso veterinario sono calati anche del 70%».

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