Amaro è meglio: ecco perché non sappiamo apprezzare i sapori diversi da dolce, grasso e salato. L’articolo si foodhubmagazine.com di Angela Bassoli
Amaro è meglio: ecco perché non sappiamo apprezzare i sapori diversi da dolce, grasso e salato. L’articolo si foodhubmagazine.com di Angela Bassoli
Redazione 12 Novembre 2020Pubblichiamo un articolo apparso su foodhubmagazine.com che ci è sembrato di grande interesse scritto dalla dott.ssa Angela Bassoli sul problema dei sapori del cibo.
Nella società occidentale si mangiano troppi cibi dolci, salati e grassi, al contrario molti alimenti con sapore acido, amaro e speziato vengono trascurati, nonostante contengano composti biologicamente attivi benefici per la salute. Il nostro sistema gustativo si è adattato al sapore del cibo industriale. Studiandone i meccanismi e valorizzando i sapori negletti è possibile recuperare un modo di mangiare più naturale vario e bilanciato.
La nostra dieta infatti è caratterizzata da una forte prevalenza di cibi con alto contenuto di zuccheri, grassi e sale. Questa tipologia di alimenti costituisce un serio problema per la salute, essendo all’origine del diffondersi di patologie cardiovascolari, obesità e diabete. [1-3]. Il problema non è solo medico ma anche sociale e le politiche europee stanno cercando di dare una risposta con azioni di educazione e prevenzione.
Un aspetto ancora poco noto è che le scelte alimentari sono guidate in prima battuta dal sistema biologico preposto alla scelta del cibo, ovvero da sensori specializzati (detti “recettori”) che si trovano nel naso e sulle papille gustative della lingua. In un ideale “ecosistema naturale” i nostri sensi dovrebbero farci scegliere gli alimenti che ci servono, per qualità e quantità. Ma come funziona questo sistema di scelta? I recettori gustativi servono a riconoscere i nutrienti fondamentali presenti nell’ecosistema, e si adattano in funzione di età, sesso, stato di salute, ma anche in funzione dell’esposizione, ovvero della disponibilità del cibo. Ad esempio, il sapore dolce in natura (frutti maturi, miele), è presente in pochissimi contesti geografici e stagionali; il recettore del dolce quindi ci spinge a cercare con la massima efficacia gli zuccheri semplici che sono una fonte importante di energia. I segnali del sapore ci danno principalmente tre tipi di informazioni. I segnali di “invito” indicano la presenza di nutrienti fondamentali, come zuccheri, grassi e proteine; i segnali di “divieto” mettono in allarme rispetto a composti potenzialmente tossici.
Infine, vi sono moltissimi segnali che di per sé non sono né positivi né negativi, ma piuttosto di attenzione rispetto a composti con un’attività biologica attiva presenti negli alimenti. Un esempio di composti bioattivi sono i polifenoli (antiossidanti); la caffeina (eccitante); gli acidi grassi omega-3 (abbassano il colesterolo); la curcumina (antidolore) ecc. Spesso la loro presenza è “segnalata” dal sapore, soprattutto amaro e/o strano, come nel caso delle spezie che indicano la presenza di qualcosa di interessante. Questo segnale di attenzione è tipico di molti cibi amari: tra le sostanze amare vegetali, il 15-20% è effettivamente tossico [4]. Le altre, spesso presenti nelle piante utilizzate in cucina sono innocue o addirittura benefiche per la salute [5] per l’alto contenuto di polifenoli. L’effetto dipende anche dalla dose, esattamente come per i farmaci: la caffeina può essere considerata un ingrediente piacevole, un farmaco prezioso o un veleno, a seconda della concentrazione, dell’età di chi la beve e dello stato di salute.
Tra i segnali gustativi “di attenzione” c’è anche il sapore acido: oltre ai cibi andati a male, è importante ricordare che l’apporto di alcune sostanze acide, come la vitamina C, è di fondamentale importanza per l’organismo. Oggi si sta riscoprendo l’importanza di molti alimenti fermentati (aceti, yogurt, kefir, kimchi, kombucha – tanto per citarne alcuni) in relazione alla salute del microbiota intestinale. Infine, sono segnali di attenzione i sapori strani, forti e inusuali, come il piccante e il pungente, caratteristici di piante aromatiche e spezie come il peperoncino, la menta, l’aglio, lo zenzero e moltissime altre.
La bilancia del gusto
La nostra dieta è povera di questi composti. La causa principale è la trasformazione indotta in tempi recenti dal cibo industriale, che è prevalentemente dolce, salato e grasso, con poche variazioni. Le varietà vegetali vengono selezionate per essere sempre meno amare; gli yogurt sono sempre meno acidi per l’aggiunta di zuccheri, grassi, o altri ingredienti. Il consumatore si abitua così a questi sapori, e reagisce negativamente ad altri tipi di segnali a cui viene esposto raramente (Figura 4). Le conseguenze di questo sbilanciamento si fanno sentire sulla salute, con l’aumento di obesità e diabete, ma anche sull’agricoltura e sull’ambiente, con una forte perdita di biodiversità.
La strategia del “bitter is better”
Lo studio dei meccanismi del gusto e il recupero dei “sapori sgraditi” porta un duplice effetto: la reintroduzione di alimenti soprattutto vegetali ora dimenticati e, contemporaneamente, il riadattamento dei recettori a una distribuzione dei gusti più bilanciata. Esponendosi e imparando gradualmente ad apprezzare i sapori amari, acidi e speziati non solo si introducono sostanze bioattive importanti, ma si riduce automaticamente il consumo di zuccheri, sale e grassi.
La ricerca applicata e industriale potrebbe avvalersi di questo approccio per la progettazione di nuovi alimenti e bevande dedicate a un pubblico attento all’alimentazione vegetariana e vegana, povera di grassi e di zuccheri, sempre più ricca di composti funzionali e ad attività specifica. E’ quindi utile riflettere se, anziché eliminare o mascherare il sapore amaro di alcuni alimenti (con risultati discutibili e/o con l’uso di ingredienti come lo zucchero o di sintesi come gli edulcoranti) non sarebbe opportuno rendere edotto il consumatore che quell’alimento fa bene proprio perché è amaro.
La riscoperta di sapori “sgraditi” e della loro funzione biologica può facilitare un processo di educazione alimentare utile a ristabilire degli equilibri nutrizionali e ad aprire la strada a molte applicazioni in campo agroalimentare, farmaceutico e medico.
Angela Bassoli. Docente di Chimica organica e basi molecolari del gusto presso l’Università degli studi di Milano, Dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente-DeFENS. Linkedin.
Articolo ripreso da Foodhubmagazine.com
Bibliografia
- WHO-EU health topics, 2018: Policies to limit marketing of unhealthy foods to children fall short of protecting their health and rights.
- FSA Nutrient and Food Based Guidelines for UK institutions October 2006
- WHO. Guideline: Salt intake for adults and children. Geneva, World Health Organization (WHO), 2012.
- Dagan-Wiener A., Nissim I., Ben Abu N., Borgonovo G., Bassoli A., Niv M., Bitter or not? BitterPredict, a tool for predicting taste from chemical structure, Scientific Reports, Scientific Reports 7, 2017, Article number: 12074 (2017), doi:10.1038/s41598-017-12359-7
- Mayer A., Borgonovo G., Morini G., Bassoli A. A bitter taste strategy: T2Rs and TRP receptors as molecular probes for the identification of useful nutrients in food plants. XX ECRO virtual meeting , Sept 2020.
Articolo molto interessante e quantomai attuale, grazie!
“si mangiano troppi cibi dolci, salati e grassi, (…). Il nostro sistema gustativo si è adattato al sapore del cibo industriale”
Mi sembra un’affermazione discutibile, io durante le vacanze scolastiche in campagna dai nonni (anni ’50) rubavo la marmellata (dolce), i pomidoro seccati al sole (salati) e il gorgonzola (grasso) non appena ne avevo l’occasione; mia nonna (classe 1892) mi preparava la merenda con l’ovetto con lo zucchero (grasso+dolce) o il panino con burro e acciughe (grasso+salato)… e quelle erano le merende e le “maròde” (rubacchierie) di tutti i miei compagnucci di gioco.
L’industria ha semplicemente reso più facilmente disponibili i prodotti dolci, salati, grassi, ovvio che tra dare al bimbo una merendina o fargli l’ovetto con lo zucchero c’è molto meno sbattimento e impegno nella merendina, e dargli un pacchetto di patatine da sgranocchiare richiede meno tempo e lavoro che preparargli un sandwich, ma la nostra predisposizione a privilegiare certi gusti è atavica.
Le spezie… certo, introducono principi attivi nuovi, ma o se ne usano pochissime (e allora non hanno effetto) o coprono qualunque sapore, alzi la mano chi non si è trovato a consumare in un ristorante mediorientale piatti diversi che sembravano avere lo stesso sapore perché coperto da comino e coriandolo: dico uguali per i nostri gusti, chi è cresciuto con quei sapori ovviamente apprezzerà le differenze.
Il nostro sistema gustativo si è evoluto in modo da farci sopravvivere nella foresta dove abbiamo vissuto e affrontato per milioni di anni il problema della scarsità di cibo, attraendoci verso i nutrienti (dolce, umami, grasso, salato) e mettendoci in guardia da quanto “potenzialmente” tossico, non maturo o avariato (amaro e acido), soprattutto da piccoli. Ma ricordiamo che l’uomo è un onnivoro e un buon onnivoro deve sapersi adattare a mangiare cose diverse a seconda dell’habitat e delle situazioni. A questa capacità di adattamento hanno contribuito sia processi di evoluzione biologica che processi di evoluzione culturale. Ed è la cultura (con la sua evoluzione storica) che ci differenzia dagli altri esseri viventi! E cosa centra il gusto e la sua evoluzione con la cultura? Passa per la cucina e la cultura alimentare…
Volendo fare un semplice esperimento per capire qual è il bagaglio gustativo di un uomo, frutto della lunga e lenta evoluzione biologica, possiamo osservare un neonato e le sue espressioni facciali quando gli vengono offerti stimoli diversi, per concludere che vi è una generale innata preferenza per i gusti dolce, umami e grasso mentre sono sgraditi l’amaro e l’acido. E tutti i neonati rispondono in questo modo, indipendentemente dalla loro etnia di appartenenza, anzi, le risposte innate agli stimoli gustativi dei neonati non differiscono in maniera apprezzabile nemmeno da quelle degli altri primati non-umani. Fin dalla nascita, però, le preferenze innate vengono modificate dalla cultura attraverso le esperienze individuali e di gruppo, a loro volta fortemente dipendenti dall’ambiente naturale e sociale. E il cibo, inteso sia nel senso di cosa si mangia che di come si mangia, la sua combinazione e preparazione, è il risultato finale di questo puzzle di stimoli e risposte. L’uomo ha imparato a selezionare quanto il territorio in cui viveva gli offriva sulla base di un rapporto costi/benefici, in alcuni casi facendo ricorso ad opportuni trattamenti che rendessero commestibile un alimento tossico e/o mettendo a punto preparazioni culinarie che rendessero assimilabili e appetibili alcune derrate, per esempio le granaglie trasformate in pasta, la cottura di verdure che sarebbero tossiche se consumate crude, le fermentazioni. Da questo punto di vista, la cucina è la risultante di un lungo e complesso processo bioculturale.
I cibi che oggi chiamiamo tradizionali devono la loro particolarità sia alla combinazione degli ingredienti, sia anche e soprattutto all’uso di vegetali, piante non domesticate, erbe aromatiche, minerali (sali) e spezie che sono tipici di un particolare ambiente per la posizione geografica e l’opera di chi lo ha abitato e lo abita ed erano la risposta migliore dal punto di vista nutrizionale per quelle popolazioni, in qui luoghi. Per questo una tradizione non può andare bene per tutti…. Invece il cibo globale è uniforme dal punto di vista sensoriale: una miscela di dolce, grasso, salato, umami, proprio per essere facilmente accettato da tutti, ma non tiene assolutamente conto di chi siamo e dove viviamo. La riduzione di composti bioattivi nella dieta (spesso amari o strani, come detto dalla collega Bassoli), il troppo facile accesso ad alimenti densi in termini calorici e la velocità con cui questi cambiamenti sono avvenuti sono certamente concause dell’epidemia di patologie legate all’alimentazione negli ultimi decenni. E il gusto, lo strumento messo a punto dai meccanismi evolutivi di adattamento, contribuisce ora al nostro disadattamento, continuando ad attrarci verso quanto ci serviva in tempo di scarsità. Ma se l’evoluzione biologica è caratterizzata dalla casualità e dalla lentezza, quella culturale può essere veloce. Possiamo educare il gusto, e i vari attori del complicato panorama alimentare possono fare la loro parte. Educare il gusto si deve se vogliamo che il cibo torni ad essere strumento di salute. Bitter is better forever!
Ma …. ci penso prima di esprimermi e comunque è un mondo in evoluzione e mettiamo la rucola nell’insalata una volta la davano da mangiare ai cavalli .
Ha mai provato a coltivare la rucola?
Quella che trova al supermercato è coltivata sulla sabbia e raccolta giovanissima e il suo sapore è leggermente piccante, mentre quella rustica o selvatica sono sicuro che quasi nessuno si metterebbe a mangiarla per il gusto troppo forte..
Non bisogna dimenticare che, le spezie (proprio perché coprono/annullano sapori/odori), sono usate nei Paesi orientali come usanza nella conservazione dei cibi, dove i mezzi di conservazione sono scarsi… Per quanto riguarda sostanze benefiche vi sono alternative più appetibili (olio di oliva, agrumi, cioccolato, te, ecc.). Anzi, quando un ristorante offre cibi speziati… viene qualche dubbio. Il compito delle spezie è di esaltare i sapori non di mascherarli!
Gabriella Morini
“vi è una generale innata preferenza per i gusti dolce, umami e grasso mentre sono sgraditi l’amaro e l’acido”
Ma infatti, e ad apprezzare l’amaro lo si impara per fatto culturale, un bambino preferirà sempre una bibita dolce a una amarognola anche se il contenuto di zucchero è uguale, tra la gazzosa e il chinotto o il ginger o l’aranciata amara sceglierà sempre la prima, le altre le appreszzerà solo dopo che avrà affinato il gusto, come l’insalata di cicoria comincerà a mangiarla senza smorfie solo crescendo, ma in ogni caso la condirà sempre con la stessa quantità di olio… bitter sarà anche better ma non cambia affatto le calorie nella dieta e il messaggio che se è amaro alora fa bene finisce per diventare controprducente.
Il discorso è complesso. La dieta non è solo una questione di calorie…meglio mettere l’olio sulla cicoria che sempre solo sulle patate….
Quando ero giovane la birra era secca e molto luppolata, quindi amara.
Ora la birra è diventata un “succo di malto”, dolciastro e adatta a un pubblico più vasto…
Quando vado al bar e chiedo un cocktail, il risultato è dolce a priori anche se la ricetta non prevede zucchero..
Gli amari una volta erano “amari”, ora sono dei rosoli…
Mia nonna perandare in bagno mangiava le foglie di tarassaco cotte, e quelle sì che sono amare!
Il discorso è ovviamente complesso, ed è chiaro che “bitter is better” è una provocazione, che sono lieta abbia aperto un dibattito. Il nostro intento è aprire una discussione su come scegliamo di mangiare, o su come “crediamo di scegliere” , non rendendoci conto che i nostri recettori si sono semplicemente disadattati. La ricerca sui meccanismi dei recettori gustativi ci dà strumenti nuovi per capire, ed è responsabilità di noi ricercatori portare alla luce queste informazioni. Per quanto mi riguarda, dopo 30 anni di ricerca sulle basi molecolari del gusto, di cui 10 passati a lavorare sul sapore dolce e sui dolcificanti, non ho dubbi: il futuro è nel recupero della capacità di sentire e capire tutti i sapori, e quelli “negletti” -se sapremo esplorarli- ci daranno molte soddisfazioni.
Angela Bassoli
“come scegliamo di mangiare, o su come “crediamo di scegliere””
La mia esperienza personale è, appunto, personale, e pertanto non fa testo… ma vedo che anche altri da bambini non amavano le erbe amare esattamente quanto me, mia nonna proponeva entusiasta alle 12 in punto l’insalata di pomidoro dell’orto col tarassaco raccolto nel prato, e io scartavo religiosamente ogni singolo pezzetto verde e mangiavo solo i pomidoro. Lo stesso per la cicoria, che coltivava accanto alla lattuga, e che non mangiavo neppure a pregarmi mentre la lattuga non la rifiutavo.
“i nostri recettori si sono semplicemente disadattati”
Be’ i miei e quelli di chi scrive a quanto pare si sono disadattati ben prima che le industrie inventassero le merendine e che si cominciasse a coltivare la ruchetta in serra… tarassaco e ruchetta, a parte le insalatine primaverili di uova sode ed erbe raccolte nei prati, erano tollerate in tavola al massimo in tracce come il pepe o il peperoncino, nessun cibo normale aveva sapori amari, e le spezie in dispensa erano cannella, chiodi di garofano, pepe e bacche di ginepro, usate con estrema oculatezza, ma forse anche i nonni, classe 1888 e 1892, nati e cresciuti in campagna, credevano di scegliere per colpa dei sensi disadattati.