L’informazione ai consumatori sulla presenza di allergeni nei cibi in vendita o in quelli serviti in ristoranti e pubblici esercizi, mense, catering rappresenta la principale novità del Regolamento UE 1169/11. La tutela dei consumatori allergici risulta però ancora asimmetrica, a causa delle differenti interpretazioni del regolamento negli Stati membri. Oltre a ciò esiste il caso anomalo dell’Italia, dove le prescrizioni e le sanzioni non sono ancora state adeguate al nuovo regime. A Bruxelles intanto, si prova a fare il punto sulla situazione.
Il legislatore europeo ha delegato la Commissione a definire, con un apposito atto di esecuzione, i requisiti per le “informazioni relative alla presenza eventuale e non intenzionale negli alimenti di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranza” (1). Ci si riferisce a quell’ampio novero di notizie che compaiono sulle etichette, dal “Può contenere (tracce di)…” al “Prodotto in uno stabilimento dove si lavorano (o: “dove sono presenti”)…“.
Una gran confusione, di fatto, che espone i consumatori vulnerabili – affetti da allergie alimentari o intolleranze anche croniche, come la celiachia – a pericolose incertezze (leggi approfondimento) su ciò che può venire consumato in condizioni di sicurezza. Una confusione alimentata sia dalla varietà delle espressioni – concettuali e linguistiche – impiegate dagli operatori responsabili dell’informazione (2), sia dai diversi punti di vista delle amministrazioni sanitarie degli Stati membri.
L’incertezza regna sovrana addirittura sui presupposti per l’utilizzo del cosiddetto Precautionary Allergen Labels, che dovrebbe rappresentare l’esito negativo di un’appropriata valutazione dei rischi di “cross-contamination”. Vale a dire, si dovrebbe riferire che l’alimento “Può contenere” uno o più ingredienti allergenici, specificamente individuati, solo se e quando – nonostante la scrupolosa applicazione delle buone prassi igieniche da applicarsi alla specifica attività, non si sia in grado di escludere la presenza accidentale di residui delle sostanze di cui in Allegato II del reg. UE 1169/11.
La Commissione europea, DG Santè, ha perciò organizzato un apposito Gruppo di Lavoro riunitosi che il 18 gennaio 2016 ha messo a fuoco i cardini dell’impianto normativo. Primo, “Può contenere” è l’espressione più corretta per comunicare il “may contain”, che non rappresenta una liberatoria complessiva da responsabilità di sorta ma deve effettivamente seguire all’autocontrollo in ciascun impianto di lavorazione. Secondo, la contaminazione da allergeni non dichiarati in etichetta o cartello di vendita comporta la qualificazione dell’alimento come “a rischio” (3), e dunque richiede la tempestiva attivazione delle azioni correttive prescritte dal “General Food Law” (4).
Bisogna ancora chiarire il ruolo delle Associazioni che rappresentano le categorie di consumatori vulnerabili come, nel nostro paese, Food Allergy Italia, AIC e Federasma. Le quali – insieme agli enti di ricerca, come FISMA (Fondazione Internazionale per le Scienze Mediche Allergologiche) (leggi approfondimento) – meritano anzitutto di venire invitate a contribuire ai lavori in corso. E soprattutto, dovrebbero venire inserite nella lista dei destinatari delle notifiche di allerta, affinché si possa meglio garantire il raggiungimento dei destinatari di notizie che possano incidere sulla salute e sopravvivenza dei loro rappresentati (5).
Per ulteriori approfondimenti, si veda l’articolo pubblicato sul sito di FARE.
Note:
(1) Reg. (UE) n. 1169/11, Titolo V (Informazioni volontarie), articolo 36 (Requisisti applicabili), comma 3
(2) Vale a dire, i titolari dei marchi con cui i prodotti sono commercializzati, ovvero i responsabili degli esercizi di vendita o somministrazione, ai sensi del reg. (UE) n. 1169/11, art. 8
(3) Reg. (CE) n. 178/02, articolo 14
(4) Reg. (CE) n. 178/02, articolo 19, prevede, in particolare, che siano i legislatori nazionali a definire “i mezzi con i quali le indicazioni o loro elementi” debbano essere resi disponibili in relazione agli alimenti non preimballati “e, eventualmente, la loro forma di espressione e presentazione” (articolo 44)
(4) Cfr. NORMATIVE – Allergeni in etichetta, gli errori più frequenti
(5) Cfr. Presenza accidentale di allergeni. Le richieste della FISMA ai ministeri
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Io continuo a pensare che un’azienda che decide di inserire in etichetta il “può contenere tracce di…” rinunciando di fatto ad una fetta di potenziali acquirenti non ci stia affatto guadagnando, anzi e che quindi questo debba essere visto come una tutela nei confronti del consumatore. Se io fossi allergico preferirei che la dicitura fosse presente, anche a fronte di un rischio infinitesimale per la mia salute, piuttosto che tale rischio venisse non considerato…
Questo perchè il rischio zero non esiste, non esistono al momento soglie di tolleranza sulla presenza di allergeni (salvo alcuni) e le reazioni alle sostanza variano da persona a persona. Non necessariamente poi bastano le buone pratiche di lavorazione per evitare la cross contamination…puoi anche portartela “in casa” dai tuoi fornitori…
è quanto Federasma e Allergie Onlus sostiene da anni. Dichiarazioni chiare, scritte e non quel vago “può contenere”. Chi ha avuto esperienza diretta o indiretta di un’anafilassi da allergia alimentare, ne conosce bene il significato e un “può contenere” è sufficiente a scoraggiare l’acquisto. A parte il farmaco salvavita (che, detto per inciso, spesso è a carico dei pazienti) non ci sono farmaci o terapie: solo astenersi dall’assumere l’alimento e attenzione verso la contaminazione.
Pensare che in alcuni casi le persone allergiche sono state tacciate di ‘mania culturale’ ! mentre quello di chiedere trasparenza nell’etichettatura è un semplice atto, civile, di tutela.
Scusi, ma visto che se un allergene non è presente tra gli ingredienti non può essere dichiarato (allo stato attuale del Reg UE 1169/2011 è così), lei preferirebbe che il “può contenere” venisse omesso mettendo a rischio la salute di tutti i potenziali allergici? E in che modo questo sarebbe più trasparente dato che questa misura non farebbe altro che aumentare i rischi dei soggetti a rischio (perdonate la ripetizione).
Mi vuol far credere che una persona allergica se legge “può contenere” corre il rischio, mentre se leggesse “contiene” no? Non credo, dal momento che lei stessa/o sostiene che il “può contenere” è una dicitura sufficiente a scoraggiare l’acquisto…
Ma allora temo di non aver capito il suo intervento…
Queste sono le conseguenze prevedibili e previste, di quando si emettono norme teoriche stando a tavolino e leggendo codici.
Nella pratica esecutiva quotidiana delle industrie alimentari e dei laboratori artigianali, la realtà è nelle materie prime che hanno a magazzino, negli impianti di produzione, locali, attrezzi e superfici di lavoro, operatori, linee di confezionamento e di somministrazione, trasporti e manipolazioni, ecc..
Come può garantire al consumatore finale, il responsabile qualità, tecnologo o cuoco che sia, che l’alimento non contenga tracce di qualche allergene involontario di passaggio, in un qualsiasi luogo dove è transitato?
Nell’alimento per celiaci (allergici al glutine e non intolleranti), c’è una soglia minima di 20 ppm di tolleranza, proprio perché l’assenza totale è impossibile da garantire e questi alimenti vengono preparati in ambienti dedicati molto protetti da tutte le possibili contaminazioni crociate.
Come pensate sia possibile produrre un qualsiasi alimento, con la certezza assoluta che non contenga una anche piccola traccia di un qualsiasi potenziale allergene? E chi lo potrebbe/dovrebbe garantire, l’ultimo della filiera a nome di tutti?
Ecco perché in assenza di soglie minime di tolleranza, tutti i produttori devono dichiararne la possibile presenza di tracce.
Ed ha ragione piena Alessandro, quando dice che i produttori che segnalano tali presenze non hanno vantaggi, ma onestamente segnalano la realtà, a costo di perdere clienti.
Concordo pienamente quanto descritto precedentemente da altri: intervento poco chiaro e forse anche voi avete le idee poco chiare su cosa chiedere.
Penso che noi tecnologi alimentari, alle prese quotidianamente con le problematiche descritte superbamente da Ezio,continueremo con i warning attuali in attesa di limite come per esempio il glutine.