Per un italiano cavoli a merenda e spaghetti with meatballs sono errori di grammatica alimentare perché la cucina è un linguaggio con le sue lettere, parole e frasi. Le lettere sono gli alimenti semplici, le parole sono i cibi prodotti con le ricette e le frasi sono composte dai piatti disposti secondo una regola. La grammatica è il complesso di regole necessarie alla costruzione delle frasi e in cucina regola la costruzione di un menù, le condizioni di uso e anche l’ora più adatta per il corretto consumo di un piatto. Diverse sono le grammatiche e per questo, sorbire un cappuccino a fine pasto come un dolce è un errore in Italia, ma non in in Germania.
Allo stesso modo mescolare spaghetti e carne, voler mangiare un panino con hamburger con coltello e forchetta non fanno parte rispettivamente della grammatica alimentare italiana e americana. Nel linguaggio italiano le frasi sono costruite con la sequenza di soggetto, verbo e predicato (il bambino beve il latte) e allo stesso modo nella cucina il pasto segue o meglio seguiva la sequenza grammaticale di pasta, carne e frutta e se i componenti potevano variare (minestra, pesce, dolce). Se non si considerano queste regole che variano da cucina a cucina, pasti o piatti possono sembrare in qualche modo strani o fuori luogo, perché in ogni posto le regole della grammatica alimentare sono state scritte e trasmesse da tradizioni anche molto lontane, ma che possono cambiare.
La cucina obbedisce ad abitudini che variano da paese a paese, da società a società, cambiano con i tempi e come tali sono state documentate e studiate. In una stessa società le regole variano anche con la condizione sociale e nell’Italia medievale era diversa per i signori, i monaci, i contadini e coloro che praticavano i vari mestieri. Ancora oggi nel mondo regole di grammatica alimentare stabiliscono se il cibo deve essere mangiato seduti o in piedi, sul pavimento o attorno a un tavolo, con la forchetta o le bacchette o con le dita, in quale ordine ogni piatto deve essere servito, stabilendo quali cibi possono o non possono essere tra loro abbinati, quali sono più adatti al mattino, mezzogiorno, sera o notte. La grammatica alimentare in ogni cucina fornisce le abitudini sugli assortimenti di ingredienti per farli diventare un pasto “giusto” che abbia un senso e dia sicurezza, come nel linguaggio parlato o scritto.
Anche le abitudini alimentari evolvono. Il tipico esempio di un cambio grammaticale è la pizza che da piatto unico ha sostituito il primo piatto di un pasto, abbandonando il tradizionale abbinamento con il vino per sostituirlo con la birra o con una bevanda zuccherata. Molti sono gli errori di “traduzioni” da una cucina ad un’altra, questo per esempio avviene in ristoranti che all’estero presentano ricette più o meno italiane ma soprattutto adattate ai costumi locali. Lo stesso avviene in Italia per i ristoranti nei quali i piatti d’origine asiatica o di altri continenti sono adattati al gusto locale, e queste errate traduzioni sconvolgono chi conosce la cucina originaria. Le traduzioni errate sono più frequenti e evidenti quando si vuole offrire una visione idealizzata di un paese straniero, e si presenta una cucina con una grammatica ma anche con ricette di tradizioni sorpassate se non defunte, perché nel paese d’origine la cucina si è evoluta ed è cambiata. Traduzioni errate vi sono nelle ricostruzioni di pranzi o banchetti di epoche passate delle quali ben poco sappiamo non solo delle qualità degli alimenti usati, di come questi sono trattati (ricette), di come e in quali condizioni i cibi sono presentati (grammatica) e quali significati simbolici hanno in culture di tempi passati in gran parte a noi ignoti.
Non si capisce completamente una cultura se non si parla la sua lingua e la sua cucina. Da questo bilinguismo alimentare possono nascere e svilupparsi scoperte, adattamenti e innovazioni eccitanti, come avvenuto nel passato con l’arrivo in Italia meridionale delle cucine arabe e ora sta accadendo in diversi paesi occidentali con l’incontro tra le tecniche europee contemporanee e le cucine asiatiche, arabe, caraibiche e panafricane. In una mondializzazione alimentare, traduzioni e adattamenti creativi innovano le cucine perché, come qualsiasi lingua, anche la cucina è una fabbrica in continua evoluzione e non è possibile pensare che una lingua o una cucina finisca. Come ogni cosa viva, la lingua e la cucina sono in continua trasformazione e nel momento in cui si parla o si prepara un piatto il mondo sta già cambiando e nuove parole, nuovi piatti e nuovi modi di mettere le cose insieme cambiano modificando antiche grammatiche e costruendone di nuove il cui destino dipende dall’uso che ne farà la società.
Giovanni Ballarini – Articolo ripreso dall’Acccademia dei Georgofili
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L’importante è non ridursi a esprimersi a gesti e grugnitim congiuntivi mancati, emoticon, come avverrebbe adeguandosi allo junk food o rincorrendo diete ortoressiche…
Finché si rispetta la nostra dieta mediterranea, magari arricchita con “parole” di altre lingue, l’evoluzione della cucina può seguire quella della lingua, che a fronte di neologismi che durano una stagione ingloba stabilmente ciò che sente necessario.
Ma pretendere di chiamare smart working il banale telelavoro, o mettere nello stesso piatto polpette e spaghetti, è un modo inconcludente e un po’ ipocrita di approcciarsi alla realtà.