Rischio diossina: è scattata la massima allerta in 12 Regioni. Da oggi blocco per latte, uova e carne in migliaia di allevamenti. Analisi in corso
Rischio diossina: è scattata la massima allerta in 12 Regioni. Da oggi blocco per latte, uova e carne in migliaia di allevamenti. Analisi in corso
Roberto La Pira 23 Giugno 2014Leggi anche l’aggiornamento del 24 giugno 2014 clicca qui.
Un carico di 26 mila tonnellate di mais contaminato da diossine e destinato agli allevamenti è arrivato in Italia, purtroppo più della metà del carico è stato probabilmente già dato agli animali. La questione è seria e forse ci troviamo di fronte a quello che potrebbe diventare un grande scandalo alimentare. Non si tratta di una frode commerciale come quella della carne di cavallo, ma di un contaminante cancerogeno arrivato attraverso il cibo a migliaia di animali. La storia comincia il 6 marzo 2014 quando una nave ucraina arriva nel porto di Ravenna e scarica 26.059 tonnellate di mais contaminato da diossine.
Tutto il lotto viene stoccato nei silos e poi distribuito alle aziende mangimistiche che in parte lo trasformano in farina e in parte lo mischiano ad altri ingredienti per ottenere mangime completo. A questo punto la farina di mais e il mangime contaminati finiscono in migliaia di allevamenti e dati agli animali come razione giornaliera. Stiamo parlando di mucche da latte, bovini da carne, polli, maiali e, in alcuni casi, preparati alimentare per animali domestici venduti al supermercato.
Tutto ciò accade perché il lotto sfugge ai primi controlli. Solo due mesi il 15 maggio 2014 nel corso di un accertamento dall’Ausl di Ravenna viene fatto un prelievo. Un mese dopo quando arriva l’esito si scopre che il mais è fortemente contaminato da diossina. A questo punto l’11 guigno scatta l’allerta e viene inviata la notifica al Rasff di Bruxelles. Le analisi condotte dall’Istituto zooprofilattico di Bologna assegnano al lotto una presenza di 2,92-3,19 pgWHO TEQ/g di diossine e PCB DL. Si tratta di valori troppo alti rispetto al limite di 0,75-1,50 pgWHO TEQ/g.
La questione è seria, e viene inviata una notifica al Sistema di allerta europeo (Rasff) che la rilancia subito in rete. Un aggiornamento è fatto il 17 giugno con l’elenco dei mangimifici coinvolti e la segnalazione viene trasformata subito in allerta. Due giorni dopo giovedì 19 giugno Il Fatto Alimentare pubblica il primo articolo e racconta la storia del mais contaminato. Il 20 giugno c’è un nuovo aggiornamento del Rasff e finalmente il Ministero della salute diffonde un primo comunicato stampa abbastanza generico, dove spiega che sono state attivate le procedure per rintracciare e bloccare il lotto. Nella nota si dice che verranno intercettati gli allevamenti e gli alimenti provenienti da animali alimentati con il mais.
Per rendersi conto delle dimensioni del problema basta dire che l’allerta interessa 12 Regioni e più precisamente: Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio, Umbria, Calabria e Sicilia. Mentre scriviamo sono in corso in tutte le Regioni riunioni per mettere a punto il piano di azione che coinvolgerà centinaia di aziende alimentari e migliaia di allevamenti. Senza fare allarmismo e però doveroso dire che molto probabilmente cibo contaminato sia già stato venduto e consumato. Il lotto è troppo consistente per essere ottimisti, stiamo parlando di 26.059 tonnellate, ovvero all’equivalente di un raccolto ricavato da un campo di forma quadrata con un lato di circa 5,5 km.
In questa vicenda l’unica nota positiva è che 5.000 tonnellate sono rimaste nei silos e sono state immediatamente sequestrate. La rimanente quota però (21.000 tonnellate) è stata in parte commercializzata come farina e in parte miscelata in misura variabile (dall’1 al 60% ) con altri ingredienti per diventare mangime completo per bovini da latte e da carne, per maiali e polli e pesci. Un’altra quota è stata utilizzata dagli allevatori come complemento del pasto dato agli animali insieme a insilato e altri ingredienti autoprodotti dalle aziende agricole.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Io mi chiedo e durante tutto questo percorso i controlli dove sono….. è una cosa scandalosa..!!!
Pietro, ti suggerisco di leggere il libro “La leggenda del buon cibo italiano”, di qualche anno fa ma estremamente illuminante circa i metodi di controllo delle frontiere europee…
A che serve allora il sistema di allarme rapido e questo funziona o non funziona se ormai la maggior parte del mais è stato già commercializzato?
——Gli allevamenti che autocertificano di avere dato nel pasto quotidiano percentuali inferiori di mais contaminato possono continuare a commercializzare carne, latte e uova———–
Scommettiamo che tutti autocertificheranno la percentuale minore per non avere danni?
Perchè non autorizzare la commercializzazione solo dietro analisi indipendenti?
Da nessun altro organo d’informazione sono stato informato di questa vicenda: ecco perché ho contribuito giorni fa affinché il Fatto alimentare possa continuare nel suo lavoro!
E comunque sempre più convinto della mia scelta vegana (ormai anni fa) Lo so, non sono immune, però aiuta…
Ironicamente,se vuoi diventare ancora più pignolo,informati sulla presenza di nanoparticolato negli alimenti così concludi l’esperienza culinaria.
A me fa impressione quanto si intensifichino i controlli sapendo perfettamente che (tra crisi,miseria e quindi truffe,inquinamento “moderno”) la qualità dell’ambiente e degli alimenti stia progressivamente impoverendosi..
Si procede in tutta normalità senza mai mettere in discussione un modello agroalimentare totalmente sballato che soffre gli impatti di stili di vita e industrializzazione devastanti.
Mi vien da ridere quando sento di gente tutta preoccupata con la margherita in mano mentre scarta tutti i cibi dannosi.La soluzione? Si prepara la quinoa importata dal sudamerica o il tofu alla salsa di soia e alghe giapponesi trasportato dall’ennesima portacontainer a cherosene.Ma qui stiamo davvero dando di matto..
Se sei vegano sei a maggior rischio, cibandoti direttamente di granaglie…… Troppo difficile?
Federico, essere vegano non significa per forza mangiare quinoa, tofu, alghe o altri prodotti da cucine esotiche: per esempio io non lo faccio (quando sono in Italia).
La stupidità del tuo commento non merita una virgola in più.
Spero che tu non abbia mangiato mais: chi può dire che altro mais ucraino contaminato non abbia preso vie diverse?….Sto scherzando, ma in verità la mia burla vuole sottolineare un fatto: anche i vegetali possono essere alimenti a rischio, anche molto alto (il mais è un vegetale)e se non facciamo una politica ambientale e alimentare più seria ci troveremo sempre a correre dietro ai problemi. Adesso tanti allevatori e trasformatori italiani si troveranno a gestire un enorme problema, anche dl punto di vista economico, non dipendente da loro, mentre nessuno ha pensato di fare controlli sul megacarico proveniente da Paese extraCE
Giuliana, come ho scrito nel mio commento, essere vegano non mi rende immune ma aiuta; vedi, io posso controllare sulla confezione di mais da dove proviene e decidere se consumarlo o no.
Tu come fai a saperlo con carne, pesce, uova, latte e derivati?
Io mi chiedo perché i media non ne parlano……..ah giá dimenticavo, ora ci sono i mondiali di calcio molto più importanti é vergognoso.
Grazie “Il fatto alimentare” che ci tieni informato.
Andrea
Giusto perché nessuno ne’PARLA?MA FORSE PERCHE’NON BISOGNA TOCCARE CERTE GRANDI REALTA’…
Io sarei curioso di sapere se il mais contaminato di cui si parla sia arrivato solo ed esclusivamente in Italia, come pare, oppure se sia arrivato e sia stato usato anche in altri Stati Europei: Nel primo caso sarebbe interessante indagare perché è arrivato solo da noi, e mi verrebbe naturale sospettare che la cosa non sia casuale, nel secondo caso credo la situazione sia già abbondantemente fuori controllo. Chiedo inoltre se sia possibile approfondire i numeri relativi alle quantità di Mais e similari: Quante tonnellate di mais vengono importate in un anno? Il quantitativo incriminato che “fabbisogno” è in grado di coprire? Infine rilevo che la situazione politica dell’Ucraina è assai instabile, senza voler sembrare complottisti se l’UE a seguito di questi fatti proponesse un blocco o comunque forti limitazioni alle importazioni, in un momento così delicato, le conseguenze sull’economia del Paese credo non sarebbero trascurabili.
Secondo la scheda del Sistema di allerta rapida lotti sono stati scaricati anche in Grecia e in Montenegro.
Bè, i controlli ci sono visto che proprio essi hanno permesso di accertare la contaminazione. Eventualmente, il problema è il tempo passato dallo scarico al campionamento per le analisi. Al momento dell’arrivo, credo nessuno potesse immaginare che il mais fosse contaminato; a meno che non si voglia istituire una (impensabile) sorta di “black list” di Paesi le cui produzioni debbano essere verificate prima di essere comemrcializzate,per poi magari scoprire che è stato contaminato sulla nave, è difficile immaginare quali prodotti e quali partite possano essere nell’eventualità contaminate. IL 32%, infine, è da calcolare sulla “razione giornaliera”.
Chiedo venia ma pensavo a ciò: se cambiamo costruzione della frase iniziale dell’articolo (Un carico di 26 mila tonnellate di mais è arrivato in Italia, dove si è scoperto che era contaminato da diossine)potremmo ragionare sull’opportunità di (far) effettuare controlli prima che il prodotto sia imbarcato, anche sui mezzi di trasporto. Sarebbe – credo – più efficace, meno dispendioso e sicuramente preventivo.
Ritengo che sia importante creare una “black list” ma é forse più importante concentrare al massimo i controlli nei principali porti (hub) in cui arrivano questi prodotti, e non controllare gli utilizzatori finali cioè gli allevatori.
@ Autore dell’articolo:sarà la deformazione professionale ma la superficie necessaria per produrre l’intero carico è di molto inferiore, in quanto la produzione media per ettaro del mais è di circa 7 – 8 tonnellate, contro lo 0,385 ton dai dati presenti nell’articolo
Grazie, abbiamo considerato una media di 10 t per ettaro, ma a parte ciò abbiamo sbagliato il calcolo dell’area.
Non ho capito però una cosa. I controlli sui prodotti importati vengono eseguiti a campione oppure il lotto in oggetto è stato “dimenticato” per due mesi?
i controlli sono fatti a campione. Il lotto quando è arrivato in porto non è stato analizzato. Solo dopo l’Asl di Ravenna ha fatto un’analisi sui mangimi finiti e ha scoperto la diossina
Ma mi chiedo non era piu’facile controllare il mais in arrivo sulla nave prima di sdoganarla?Non vi sembra troppo facile fare una dichiarazione dove viene dichiarato dagli agricoltori, che non viene somministrato piu’del 32% di questo tipo di MAIS?MA CI RENDIAMO CONTO CHE CI PRENDONO TUTTI INGIRO? IL MAIS E’CONTAMINATO con diossine,e quindi a contaminato pure i mangimi il LATTE la CARNE le UOVA,e quindi se non idoneo VA’ritirato dal mercato e smaltito.PS….con la tracciabilita’E’molto facila capire(giusto sarebbe publicare i nomi)chi lo a COMPERATO,dove lo a USATO,e che animali lo anno MANGIATO.MA….FORSE NON SI PUO’….perche’si andrebbe a toccare certe grosse AZIENDE…..INTOCCABILI.