Tavola imbandita di piatti della cucina vegetariana

A metà dell’800, Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco tra i primi a porre il corpo umano e il nutrimento al centro della riflessione politica, coniò la celebre massima: “L’uomo è ciò che mangia”. Un’intuizione che oggi trova riscontro negli studi di psichiatria nutrizionale: il cibo non solo nutre, ma influenza anche l’umore, i pensieri e il comportamento. Anche dalla qualità del cibo che mettiamo nel piatto, dipende se siamo mentalmente lucidi o stanchi, sereni o irritabili, aperti o chiusi verso gli altri.

Purtroppo, il consumismo ha svuotato il cibo del suo significato profondo. Non è più un dono della terra, frutto di tradizioni e lavoro, ma una merce da scaffale del supermercato, spesso destinata a finire nella pattumiera. La globalizzazione ci ha abituati a prodotti uguali ovunque, mentre pubblicità e social ci spingono a scegliere ciò che è alla moda, appariscente, “senza questo o quello”, ignorando ciò di cui abbiamo davvero bisogno.

Compriamo d’impulso, attratti da slogan ad effetto e confezioni accattivanti, senza leggere le etichette o chiedere informazioni sui prodotti freschi, come frutta, verdura e carne, al negoziante che è tenuto a fornirle. Complice anche la vita convulsa che caratterizza questa epoca, il pasto è sempre meno occasione di convivialità, condivisione e celebrazione, e sempre più un gesto automatico, solitario e frettoloso.

La miseria simbolica

Questa deriva rientra tra quelle che il filosofo Bernard Stiegler ha definito “miseria simbolica”, una condizione in cui anche momenti della vita quotidiana, come ascoltare una persona o celebrare una festività, perdono il loro valore umano e relazionale perché vissuti con distrazione e superficialità. Nel caso del cibo, la misera simbolica si manifesta anche nella perdita dei tre valori, verità, bellezza e bontà, da sempre al centro del pensiero filosofico, fin dai tempi di Platone, come principi guida dell’agire umano.

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l pasto è sempre meno occasione di convivialità, condivisione e celebrazione

Verità

La genuinità. La verità del cibo risiede nella sua qualità etico-sociale, strettamente legata al metodo di produzione. Più esso è trasparente, sostenibile e rispettoso dell’ambiente, degli animali e di chi lavora la terra, più è elevata questa qualità. Biologico e biodinamico, riconosciute dall’Unione Europea come pratiche ecosostenibili, vanno in questa direzione.

Al contrario, le pratiche intensive, l’uso di pesticidi, le monocolture, gli allevamenti che comportano la sofferenza degli animali, e i rapporti di lavoro ingiusti generano alimenti privi di genuinità. Anche I prodotti industriali sono spesso poco genuini, perché la materia prima viene sottoposta a trattamenti tecnologici troppo invasivi. Sono quindi ‘truccati’ con additivi e promossi con slogan che inneggiano spudoratamente alla genuinità. Uno su tutti che forse suona familiare  è “il gusto genuino della tradizione”. Quando il cibo perde la sua genuinità a causa delle pratiche agricole intensive e dei trattamenti industriali spinti, smarrisce anche la sua bellezza e la sua bontà.

Bellezza

La sensualità. Il cibo è l’unica “opera d’arte” che accende tutti i cinque sensi. Con i sapori attiva il gusto, con le forme e i colori la vista, con gli aromi l’olfatto, con la consistenza il tatto, con la croccantezza l’udito. Questa pienezza sensoriale definisce la qualità organolettica. La bellezza si manifesta anche nella cura delle preparazioni, nella presentazione dei piatti, negli effluvi che anticipano il piacere del pasto.

Ancora prima di averlo messo in bocca, il cibo, con la forma, i colori e gli odori, stimola i nostri sensi. Questi inviano messaggi al cervello che a sua volta attiva una risposta fisiologica che si traduce nella secrezione di enzimi digestivi nella bocca e nello stomaco. Tale processo, che gli scienziati chiamano “fase cefalica della digestione” è volgarmente sintetizzato con l’espressione “l’acquolina in bocca”.

La bellezza degli alimenti freschi vegetali nasce dalla relazione armonica tra pianta, suolo e sole, resa possibile da pratiche agricole rispettose della natura. Quando questa relazione è violata da pratiche intensive, l’alimento perde sensualità. Lo stesso vale per i prodotti animali provenienti da allevamenti che ignorano il benessere degli animali.

I prodotti ultra trasformati, sono, per loro natura, privi di sensualità. Appaiono attraenti solo perché “truccati” con additivi, come coloranti, edulcoranti ed emulsionanti. Confezionati in modo seducente, sono decantati con slogan evocativi come “Un piacere unico” o “Il gusto del piacere”.

Donuts, cupcake dolci e caramelle multicolore; concept: zucchero cibo
I prodotti ultra trasformati sono attraenti solo perché “truccati” con additivi, come coloranti, edulcoranti ed emulsionanti.

Bontà

La salubrità. Il cibo è buono se nutre (qualità nutrizionale), promuove la salute (qualità salutistica) e non nuoce (qualità igienico-sanitaria). Quando la bontà si perde, il cibo diventa “cattivo” perché può compromettere la nostra salute e quella dell’ambiente.

I prodotti alimentari ultra trasformati sono poveri di nutrienti e l’industria cerca di compensare aggiungendo nutrienti isolati da altre fonti o sintetici, poi promuove i prodotti con slogan come “Bontà che si vede”.

Ma la bontà, come la genuinità e la sensualità, non si fabbrica in laboratorio. È figlia di un’agricoltura che onora la vita e di trasformazioni naturali, come quelle che danno origine al pane, al vino e allo yogurt, quando non vengono snaturati da sofisticazioni industriali.

Queste tre virtù sono pilastri concreti del nostro benessere. È infatti dimostrato che molte patologie croniche dipendono dalla qualità e dalla quantità di ciò che mangiamo. Eppure, è paradossale che, proprio nei luoghi dedicati alla cura, come gli ospedali, venga spesso servito cibo che lascia molto a desiderare sotto il profilo della genuinità, della sensualità e della salubrità.

Un costo etico e sociale

Va, inoltre considerata una questione di natura etica e sociale. Il cibo di qualità ha un costo, che lo rende un privilegio. Garantirne l’accesso a tutti dovrebbe essere una priorità politica e sociale. Ne trarrebbe beneficio non solo la salute di ciascuno di noi, ma anche il servizio sanitario, perché un’alimentazione con cibo di qualità con cibo ridurrebbe significativamente i costi della spesa pubblica.

Nel mondo di oggi, dominato dal consumismo, ritrovare il senso autentico del mangiare significa compiere scelte consapevoli, promuovere un’educazione alimentare, sostenere un’agricoltura pulita e non lasciarsi irretiti dalla rete e dalla pubblicità. Significa anche tornare a coltivare la convivialità, la condivisione e la solidarietà,

Post Scriptum

Mentre scrivevo questo articolo, mi sono chiesto se l’aforisma fauerbachiano si possa estendere anche ai politici, diventando, “il politico è ciò che mangia”. In altre parole, dovremmo chiederci se il fatto che un politico sia bugiardo, non mantenendo le promesse, insensibile, ostacolando l’armonia sociale e creando polarizzazione, disumano, essendo responsabile dei conflitti armati che mietono tante vittime innocenti e ipotizzando persino la ripresa degli esperimenti nucleari, sia da mettere in relazione con la scadente qualità di ciò che mangia.

Al momento non ho una risposta. Tuttavia, considerando il legame scientificamente accertato tra alimentazione e modo di pensare e comportarsi, è plausibile ipotizzare che la dieta di un politico possa influenzare, anche se solo in una certa misura, il suo modo di agire soprattutto se ha l’abitudine di frequentare fast food.  Se le cose stessero così, si potrebbe sperare che i politici che ci ritroviamo migliorino, se smettono di abbuffarsi di junk food. Ma se l’aforisma lo si rovescia, diventando “il politico mangia ciò che è”, allora non ci sono speranze perché il problema non sta in ciò che mangiano, ma in ciò che sono.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos

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Paolo Orfeo
Paolo Orfeo
12 Novembre 2025 11:50

Bellissimo! Grazie.

Daiana
Daiana
12 Novembre 2025 21:15

Più cibi vegetali, più legumi, più biologico o biodinamico, più etica nelle cucine e nei luoghi di ristoro. Siamo il paese dell’agrizootecnia intensiva e dell’importazione di carni da oltre oceano. Per garantire i consumi dell’Italia dell’oggi servirebbero quattro Italie, per i consumi mondiali, quattro terre. Purtroppo stiamo distruggendo l’unica Terra che abbiamo.

francis
francis
13 Novembre 2025 16:53

Mah, a metà dell’800 forse era più corretto scrivere “l’uomo è ciò che NON mangia”, vista la fame diffusa che c’era, e che si è mantenuta almeno fino a metà del secolo passato. Considerati anche gli scarsi mezzi di conservazione dei prodotti

Matteo Giannattasio
Matteo Giannattasio
Reply to  francis
14 Novembre 2025 12:14

Ha ragione. Le accludo il testo completo che per brevità avevo sintetizzato: “Nel suo saggio Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia, Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco dell’Ottocento e tra i primi a porre il corpo e il nutrimento al centro della riflessione filosofica, scriveva: «La fame e la sete abbattono non solo il vigore fisico, ma anche quello spirituale e morale dell’uomo. […] L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. […] Se volete far migliorare il popolo, al posto di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore.»
Questa riflessione, nata dalla constatazione della misera condizione di vita di gran parte della popolazione dell’epoca, segnata dalla fame e dagli stenti, voleva essere una denunzia sociale e umana. Ma, era anche una profonda intuizione filosofica: il cibo garantisce all’essere umano non solo la sopravvivenza, apportando nutrienti essenziali, ma anche la sua piena realizzazione. Quando si ha abbastanza da mangiare, si riesce a pensare con lucidità, a provare emozioni e sentimenti, a comportarsi in modo giusto.
Qualche decennio dopo, Vincent van Gogh, nel dipinto I mangiatori di patate, offrì una potente rappresentazione visiva della misera condizione umana denunciata da Feuerbach

isolina
isolina
15 Novembre 2025 10:19

Bell’articolo, sintetizza tanti aspetti della quotidianità ed altro. Fa riflettere. Possiamo far qualcosa? Anni fa le cose non si sapevano, con le notizie a disposizione in molte cose non crediamo più, avvertiamo le discordanze tra i fatti e le promesse. Un cambiamento ci sarà ma quale e quanto utile a tutti?

Monica
Monica
16 Novembre 2025 21:35

Io penso che è anche responsabilità di ognuno di noi cambiare modo di approcciarsi al cibo, scegliendo una vita più naturale. La società è sì veloce, ma ad esempio trovare tempo per cucinare invece di accontentarsi di cibi pronti è un modo per fare bene all’ambiente e a se stessi. Un piccolo appunto: i cibi bio hanno prezzi alti, non raggiungibili da tutte le tasche.

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