inquinamento pianeta contaminazione ambientale industria acqua vista aerea da drone di un impianto industriale che produce sostanze per- e polifluoroalchiliche, PFAS

Ci vogliono non meno di quattro decenni per permettere a una falda acquifera contaminata di liberarsi dagli PFAS (Sostanze perfluoro alchiliche), i contaminanti perenni e ubiquitari che hanno gravi conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente. Lo dimostra uno studio svolto in due contee del North Carolina dove, a causa della presenza di un impianto industriale, negli anni scorsi c’è stata una grande contaminazione. Anche per questo è urgente porre dei limiti all’utilizzo di queste sostanze che, anche quando non arrivano direttamente dal terreno o dai corsi d’acqua, giungono comunque in profondità attraverso le piogge.

In attesa che ciò accada, ci sono speranze su un nuovo filtro a base di seta e cellulosa, inventato dagli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, che potrebbe aiutare a migliorare la qualità dell’acqua almeno in casa.

La storia di Balden County

Nella Carolina del Nord c’è un impianto di produzione di PFAS dell’azienda Fayetteville Works, i cui reflui hanno provocato, negli ultimi quarant’anni, una contaminazione massiccia ed estesa. Solo negli Stati Uniti, del resto, si calcola che ci siano 57.000 siti inquinati da PFAS.

PFAS
È urgente porre dei limiti all’utilizzo degli PFAS che giungono in profondità attraverso le piogge

Oltre a interessare direttamente settemila residenti della zona, che per anni hanno bevuto acque con livelli elevatissimi di PFAS, la contaminazione ha colpito anche più a Sud, perché le acque dei ruscelli confluiscono nel fiume Cape Fear, che arriva fino alla città di Wilmington. Il risultato è stato che due contee (quella di Cumberland, oltre a quella di Bladen) hanno dovuto fare i conti con gli PFAS. I ricercatori dell’Università dello Stato hanno quindi voluto verificare a che punto fossero le acque più profonde visto che, dal 2019, in teoria, la contaminazione è cessata.

Per questo hanno raccolto una serie di campioni in due bacini vicini agli impianti e hanno messo a punto un modello per verificare non solo la situazione attuale, ma anche l’andamento della qualità delle acque nel tempo. Quindi hanno identificato e quantificato diversi tipi di PFAS e, in più, hanno utilizzato dei traccianti radioattivi che riescono a datare le acque, e hanno combinato i dati con quelli dei rilevamenti delle concentrazioni di PFAS in atmosfera, e con quelli della cinetica dei flussi delle acque. Così hanno ottenuto delle formule che permettono di stabilire quantitativamente e temporalmente la presenza di PFAS nelle acque.

Risultati sconvolgenti

Come hanno poi riportato su Environmental Science & Technology, i risultati sono stati sconvolgenti, perché hanno mostrato che alcuni PFAS erano lì da almeno 43 anni, e che ancora oggi i siti stanno smaltendo gli PFAS accumulati tra il 1980 e il 2019, periodo nel quale lo sversamento è stato continuativo e pressoché incontrollato. Inoltre, le concentrazioni di due tra gli PFAS più diffusi, e cioè l’esafluoropropilene ossido – dimero acido o HFPO−DA e l’acido perfluoro-2-metossipropanoico (PMPA), sono risultate essere rispettivamente in concentrazioni pari a 229 e 498 nanogrammi per litro, mentre la soglia limite per l’acqua potabile per l’HFPO-DA stabilita dalla US Environmental Protection Agency (EPA) è di dieci nanogrammi per litro.

Infine, le concentrazioni rilevate in atmosfera oggi sono inferiori rispetto a quelle trovate fino al 2019, ma non ancora nulle, e ciò significa che, nonostante gli sforzi, altri PFAS continuano ad aggiungersi a quelli già presenti. Sempre secondo il modello, le acque potrebbero tornare alla situazione precedente l’avvio delle attività della fabbrica solo dopo il 2060, non prima.

pfas, acqua, rubinetto con bicchiere
La pellicola a base di proteine della seta è dotata di un elevato potere filtrante nei confronti degli PFAS

Il filtro contro gli PFAS

In tutto il mondo, nel frattempo, si cercano soluzioni almeno per l’acqua domestica. Una di esse, che arriva dal MIT, è stata illustrata su ACS Nano e, grazie alle sue caratteristiche, potrebbe realmente costituire una svolta. Mentre cercavano di mettere a punto un sistema per distinguere le sementi contraffatte da quelle originali, i ricercatori si sono accorti che la proteina di cui è costituita la seta, la fibroina, se unita alla cellulosa in forma cristalli nanometrici, dà luogo a una membrana. Questa pellicola è dotata di un elevato potere filtrante nei confronti degli PFAS, di altri contaminanti organici e dei metalli pesanti. Il materiale possiede infatti una carica elettrica che la rende perfetta per questo tipo di scopo, perché gli PFAS sono carichi elettricamente, e si attaccano al filtro con carica opposta.

Oltretutto, la carica elettrica rende questo materiale anche molto resistente alle infezioni da parte di muffe e batteri, che rappresentano uno dei principali limiti ai filtri oggi in uso. E c’è di più: per un uso domestico, potrebbe essere sufficiente la seta raccolta come scarto dalle lavorazioni industriali, mentre per un impiego più esteso i ricercatori stanno già cercando proteine simili, ma disponibili in quantità più elevate. Infine, la formazione della membrana avviene a temperatura ambiente, e necessita solo di un passaggio con corrente per dotare le molecole di carica elettrica, ma nel complesso è molto poco energivora. A fronte di ciò, il potere filtrante della membrana è di diversi ordini di grandezza superiore a quello dei filtri oggi più utilizzate come quelli a carbone.

Al momento sono in corso approfondimenti e verifiche, ma i filtri alla seta/cellulosa potrebbero arrivare presto nelle case, e aiutare a eliminare almeno a valle gran parte degli PFAS (e non solo) eventualmente presenti.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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