Cosa sono esattamente le allergie alimentari? Stiamo parlando di una reazione immunologica verso proteine contenute negli alimenti, gli allergeni appunto. “Un fenomeno spesso sopravvalutato”, osserva Riccardo Asero, presidente dell’AAIITO (Associazione allergologi immunologi italiani territoriali e ospedalieri) che ha diffuso una nota per fare il punto sul tema, basandosi su studi recenti. Che riguardano in particolare le allergie primarie, quelle cioè in cui nasce dall’alimento stesso, mentre si parla di allergie alimentari secondarie – molto frequenti tra gli adulti – quando la reazione a un alimento è una conseguenza di un’allergia respiratoria, in genere ai pollini: “ad esempio gli allergici ai pollini della betulla spesso sviluppano allergia alla mela o ad altri frutti”, ricorda l’allergologo.
Spesso infatti dimentichiamo che non si è allergici a un alimento, ma a una delle proteine in esso contenute, una molecola da cui dipende anche la gravità della reazione: “Ci sono proteine più resistenti e altre che si degradano col calore o con la digestione, – spiega Asero – Due persone allergiche allo stesso alimento, quindi, possono avere reazioni gravi oppure molto blande, secondo l’allergene coinvolto”. In ogni caso le allergie alimentari sono meno frequenti di quanto si pensi, particolarmente tra gli adulti dove non superano il 5% della popolazione, mentre tra i bambini si arriva al 6/10%: “Molto diffuse tra i piccoli sono le allergie a uova e latte, che nella maggior parte dei casi però scompaiono con la crescita, diciamo entro i dieci anni”, ricorda l’allergologo.
Tra gli adulti le allergie più frequenti sono quelle ai vegetali (frutti della famiglia delle Rosacee come mele, pere, ciliegie, pesche, albicocche, susine, nespole, ma anche soia, arachide, grano, frutta a guscio, sesamo) che rappresentano da sole il 72% del totale. Tra queste rientra anche l’allergia primaria alle arachidi, assai comune nei paesi anglosassoni, con reazioni spesso gravi, ma piuttosto rara in Italia, in particolare nelle regioni del centro sud, “come conferma uno studio recente”, spiega Asero. In genere i pazienti italiani allergici all’arachide, soprattutto quelli meridionali, sono sensibilizzati ad allergeni come la Lipid Trasfer Protein (LTP), presente in molti cibi di origine vegetale, in cui il sensibilizzante primario si ritiene essere la pesca. Non è facile comprendere la ragione di questa variabilità: “Sappiamo che i paesi dove l’allergia primaria è più diffusa sono anche quelli in cui si consuma molto burro di arachidi, ma possono entrare in gioco altri fattori, come le modalità di preparazione, – sottolinea l’allergologo – Ad esempio questo tipo di allergia è meno diffusa in paesi come l’India, dove le arachidi si consumano bollite anziché tostate”.
Tra gli alimenti di origine animale, al primo posto ci sono i crostacei come i gamberi, che da soli rappresentano la seconda causa di allergia alimentare con il 13%: “Una diffusione che potrebbe forse essere legata alla sensibilizzazione agli acari della polvere, invertebrati come i crostacei con i quali hanno allergeni in comune, come la tropomiosina”, spiega Asero. Solo il 40% circa dei soggetti allergici ai crostacei lo sono anche a molluschi e lumache, che hanno molte proteine allergizzanti in comune con questi ma in genere in quantità minore: “Molti soggetti allergici ai gamberi riferiscono ad esempio di mangiare tranquillamente la pasta con le vongole”, ricorda Asero. L’allergia al pesce vertebrato invece non è particolarmente diffusa in Italia (1/7%) mentre è molto frequente in Norvegia e soprattutto in Islanda: da noi l’allergene maggiore è la parvalbumina, presente in tutte le specie di pesci e resistente alla cottura, “ma non sempre è necessario evitare tutte le specie di pesce, in quanto esistono soggetti sensibilizzati solo a poche o a una specie, ed è importante inquadrarli correttamente per evitare inutili diete di eliminazione”. Decisamente rara anche l’allergia alla carne: “L’allergia alle carni rosse, potenzialmente severa e spesso causa di anafilassi ritardata, si sviluppa in seguito alle punture di zecca che possono sensibilizzare alla proteina alpha gal: per questo motivo è diffusa soprattutto in zone rurali”, nota l’allergologo.
Si tratta quindi di un quadro complesso, per il quale è opportuno rivolgersi a uno specialista per una diagnosi che si basa sulla storia clinica, su test cutanei in vivo come il prick test con estratto o prick by prick con alimento fresco e test in-vitro come il dosaggio delle IgE specifiche per estratti o singole molecole allergeniche. Clinicamente le reazioni possono presentarsi in un ampio spettro che va da forme lievi (semplice prurito alla mucosa della bocca o delle labbra, o disturbi gastrointestinali) a forme più severe comprendenti accessi asmatici, orticaria, fino all’anafilassi talora con shock e perdita di coscienza, che richiede un’immediata terapia di emergenza con adrenalina. L’intervento si basa sulla dieta di esclusione, e in rari casi, per i bambini con la desensibilizzazione, che si esegue presso centri altamente specializzati e prevede la somministrazione controllata di quantità crescenti di allergene, con l’obiettivo di aumentare la dose tollerata e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Fotolia, iStock
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
giornalista scientifica