La proposta di inserire sulle etichette dei prodotti alimentari una dicitura, un simbolo o una certificazione per evidenziare criteri di allevamento che rispettano il benessere degli animali è da anni in discussione a Bruxelles. Vi proponiamo un articolo pubblicato su Anmvi Oggi (il sito dell’Associazione nazionale medici e veterinari italiani) che fa il punto della situazione.
In Europa ci sono 51 schemi di etichettatura del benessere animale. Li ha analizzati la Commissione Europea che pubblica un report sul loro impatto sul mercato, sui consumatori e sugli stessi animali. La Commissione europea (Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare, DgSante) ha pubblicato il report finale sulle iniziative in corso nella UE in materia. Lo studio passa in rassegna gli schemi di etichettatura attualmente esistenti nell’Unione Europea e ne valuta le caratteristiche e l’impatto. Lo studio compendia anche le evidenze disponibili sui potenziali benefici e vantaggi di queste iniziative, alla luce dei dati raccolti sui consumatori: il loro grado di consapevolezza degli standard di benessere degli animali e la domanda di trovare in etichetta ulteriori informazioni. La Dgsante ha avviato il monitoraggio nel mese di aprile del 2021, raccogliendo i dati di 51 schemi di etichettatura con indicazioni sul benessere degli animali, presenti negli Stati membri dell’UE, nel Regno Unito e in Svizzera, di cui 17 con informazioni sul metodo biologico in etichetta. La ricognizione ha tenuto conto anche dei controlli previsti e dell’impatto sul benessere animale e sull’ampliamento del mercato. L’Italia, con la Germania e l’Olanda, è fra i Paesi che hanno solo recentemente avviato schemi di etichettatura per iniziativa di istituzioni pubbliche, che non essendo ancora operative non sono state considerate dallo studio. In tutta l’Unione la stragrande maggioranza degli schemi applicati sono di iniziativa di operatori privati.
I consumatori dell’UE hanno un basso livello di consapevolezza sulle condizioni di allevamento e cura degli animali, ma almeno la metà della popolazione desidera ricevere informazioni sulle condizioni in cui sono tenuti e trattati gli animali d’allevamento. Per due terzi dei consumatori le informazioni a loro disposizione vengono dai media tradizionali più che dalle etichette e non sono sufficienti per fare scelte informate sul benessere degli animali. Gli ambiti che vorrebbero conoscere di più riguardano la macellazione e l’alimentazione, seguiti dall’accessibilità di spazi aperti e dalle condizioni di accasamento. Nonostante l’impatto che ha sul benessere animale, si legge nello studio, il trasporto è l’aspetto sul quale i consumatori europei si rivelano meno interessati (28%). Il grado di conoscenze è maggiore fra i consumatori del Nord Europa, sia pure di misura rispetto ai consumatori del Sud.
L’Italia si segnala, insieme alla Spagna, tra i Paesi dove la sensibilità per il benessere animale si è messa in luce di recente e nei confronti di tutti prodotti di origine animale. Gli italiani raggiungono percentuali elevate di interesse a ricevere informazioni in etichetta: l’81% alla pari dei consumatori della Finlandia. E sempre dall’Italia emerge l’interesse per informazioni sul benessere animale sulle etichette del latte. Il 43% dei consumatori italiani dichiara di pensare al benessere animale sempre o quasi proprio all’atto di acquisto di latte.
Per il benessere animale, la maggioranza non è però disposta a pagare un prezzo economicamente più alto di quello che già pagano per i prodotti del settore bio. Il grado di fiducia sull’etichetta è maggiore se lo schema di etichettatura è gestito da ONG o da autorità pubbliche europee, piuttosto che da autorità nazionali o da operatori del food business. Le informazioni dovrebbero riguardare tutte le specie animali e il veicolo preferito è l’etichetta vera e propria, sotto forma di testo o di logo più che via QR Code o sito web. Una preferenza per l’informazione diretta sul packaging che in Italia è preponderante: solo il 36% propende per informazioni via web o applicazioni digitali. Lo studio della DgSante rileva che gli schemi di etichettatura esistenti creano distorsioni nella concorrenza tra produttori, non solo per il diverso livello di benessere animale ma anche per la diversità di parametri utilizzati che impediscono una competizione su basi uniformi. Ulteriore elemento di distorsione è la differenza insita fra i diversi schemi e il peso attribuito al benessere animale per l’attribuzione del prezzo finale. Analizzando la distribuzione del valore lungo la filiera, gli allevatori sono gli operatori che ricevono il margine più basso dagli schemi di etichettatura. Anche quando le aziende zootecniche sono risarcite dei maggiori costi sopportati, il produttore primario non riesce ad ottenere un livello di vantaggio sufficiente o comparabile a quello ricavato da processi produttivi tradizionali.
Analizzando in che misura i sistemi di etichettatura del benessere degli animali portino ad un miglioramento significativo nella qualità della vita degli animali “è difficile da valutare con precisione”. La Dgsante attribuisce la difficolta all’assenza di criteri di monitoraggio e di valutazione limitati o del tutto mancanti. Stabilire un collegamento tra miglioramenti del benessere degli animali e schemi di etichettatura è ‘challenging’. La Dgsante conclude a favore del perseguimento dell’obiettivo: soddisfare la domanda dei consumatori attraverso schemi in grado di portare valore aggiunto a tutti i livelli. Nel contesto della strategia Farm to Fork, potrà essere l’Unione Europea, attraverso iniziative della Commissione a dare un valore aggiunto al benessere degli animali e a farne comprendere meglio l’importanza lungo tutta la catena alimentare. C’è una chiara domanda dei consumatori che attualmente non viene soddisfatta e dall’altra parte una chiara esigenza di semplificazione degli attuali sistemi di etichettatura.
Articolo pubblicato su Anmvi Oggi. il sito dell’Associazione nazionale medici e veterinari italiani.
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Noto che nell articolo sul benessere animale sono state inserite foto a senso unico con mucche al pascolo o galline libere di razzolare nei prati. Queste foto non corrispondono alla realtà degli allevamenti
presenti in Italia che per la maggior parte sono super intensivi.