Tofu a cubetti in una ciotola
La sentenza della Corte di Giustizia UE ha confermato il divieto al ‘cheese sounding’ per i prodotti vegetariani e vegani

La recente sentenza della Corte di Giustizia UE – che ha confermato il divieto di evocare i nomi dei prodotti lattiero-caseari su alimenti a base vegetale (il cosiddetto ‘cheese sounding’) – ha suscitato reazioni varie, nella politica e nell’opinione pubblica. Proviamo a fare il punto della situazione.

‘Cheese sounding’. I giudici di Lussemburgo hanno chiarito in via definitiva che non è possibile fare richiamo alle denominazioni proprie del latte e dei prodotti da esso derivati su alimenti di origine diversa. Neppure quando l’origine vegetale sia comunque precisata, riferendo alle materie prime ovvero alla caratteristica vegana dell’alimento. Poiché l’impiego dei nomi dei prodotti lattiero-caseari è riservato in via esclusiva agli stessi, secondo quanto previsto dal regolamento OCM. (1)

‘Meat sounding’. Gli eurodeputati Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo, e Giovanni La Via hanno colto l’occasione della sentenza della Corte di Giustizia UE per ri-sollecitare l’esecutivo di Bruxelles ad adottare opportune misure. Con una petizione in via prioritaria, volta a impedire la discriminazione tra cheese sounding – definitivamente vietato – e ‘meat sounding’ (vale a dire, l’evocazione dei nomi di prodotti a base di carne su alimenti di origine vegetale), che è invece tuttora diffuso.

Una petizione ha chiesto di adottare opportune misure anche per prodotti vegetariani e vegani ‘meat sounding’

La reazione dei media e delle parti sociali interessate è stata purtroppo superficiale, risolvendosi in un dibattito tra le fazioni di chi segue una dieta vegana e vegetariana da un lato, e gli onnivori dall’altro. A ben vedere, tuttavia, nessuno ha mai messo in dubbio le legittime scelte di vita e di alimentazione di ciascuno. E la diatriba potrebbe proseguire per decenni, senza che gli uni si convertano alle scelte degli altri o viceversa.

Si tratta invece di considerare il significato e l’opportunità di attribuire ad alcuni alimenti caratteristiche proprie di altri. Senza entrare in questioni di ‘lesa maestà’ degli alimenti tradizionali di origine animale, l’obiettivo finale è  fornire al consumatore informazioni chiare  sull’identità dei cibi in vendita, cercando di non costringere l’acquirente a capovolgere le confezioni per esplorare la lista degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale.

L’identità dei prodotti alimentari dovrebbe sempre venire espressa in modo chiaro sul frontespizio della confezione. Così come i prodotti di origine animale possono venire riconosciuti a colpo d’occhio, mediante identificazione dell’alimento ed eventualmente della specie di provenienza (che si tratti di carne bovina o di formaggio pecorino), altrettanto dovrebbe accadere per gli alimenti vegetariani e vegani.

I prodotti vegani e vegetariani si sono diffusi tra tutte le categorie di consumatori

Tale esigenza è ancor più evidente ove si consideri che i prodotti vegetariani e vegani vengono oggi consumati da tutte le categorie di consumatori, anche onnivori. Rimane tuttavia da chiedersi se il solo richiamo a un nome evocativo di una modalità di consumo (ad esempio burger vegano, da cuocere sulla piastra, o arrosto vegetale, da scaldare in padella) sia sufficiente a identificare l’alimento. Probabilmente no, in quanto mancano parametri di riferimento su questi nuovi prodotti. Il consumatore medio – la cui educazione nutrizionale è scarsa quanto la capacità di comprendere il significato di una tabella – si limita ad acquistare e a provarlo, senza rendersi conto se si tratti di una fonte bilanciata di proteine, carboidrati e grassi o di un semplice contorno, simile a un piatto di verdure cotte.

Si propone perciò una riflessione, in merito all’opportunità di chiarire la natura dell’alimento vegetariano o vegano sul fronte etichetta (ad esempio burger vegano a base soia, arrosto vegetale a base di frumento). Con l’aggiunta di un’etichetta a semaforo, utile al consumatore a comprendere quando ad esempio – come spesso accade – l’alimentazione contenga quantità significative di sale o altre sostanze che meritano attenzione. Con l’obiettivo di promuovere l’equilibrio in ogni dieta, sia essa erbivora o onnivora.

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Note:

(1) Organizzazione Comune dei Mercati, regolamento UE 1308/13

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federica rossi barone
federica rossi barone
21 Giugno 2017 19:43

In tanto. . I wuster hanno la stessa forma . Dunque ogni uno gli da il come che vuole

Raffaele
Raffaele
23 Giugno 2017 15:46

Ma quindi il burro di arachidi e il burro di cacao (che si chiamano così da sempre ed esistono da molto più tempo dei prodotti vegani) non si possono più chiamare così?

Lucia Russo
Reply to  Raffaele
24 Giugno 2017 19:00

Burro di cacao, latte di mandorla e cocco manterranno la loro denominazione in quanto prodotti tradizionali e di uso comune.

ezio
ezio
23 Giugno 2017 17:27

La mia convinzione, che esprimo ripetutamente quando si tratta di denominazione di un alimento, è che il concetto discriminante primario a questo riguardo sia la FORMA-FUNZIONE di quell’alimento e non la ricetta.
Con questo principio dirimente, tutte le sovrapposizioni e distinguo che si basano sulla differenza delle materie prime impiegate, perdono significato a favore della forma che deriva dalla preparazione culinaria e la sua funzione nella nostra alimentazione.
Potrei fare tanti esempi quante sono le preparazioni alimentari, ma mi limito a quelle oggetto dell’articolo e dei commenti:
– Il burro è una sostanza grassa e cremosa che ha la funzione di essere impiegata come fonte di grasso in cucina, nelle creme dolci e salate, spalmata proprio per la sua struttura cremosa. Quindi che sia prodotta dal grasso del latte o da grassi vegetali ricavati dalle arachidi, dal cacao, dalle nocciole, dalle mandorle, dalla soia, dal cocco, ecc.. non cambia la sua forma-funzione.
– I formaggi che hanno la stessa forma e funzione e ricavati con l’impiego di latte animale o latte vegetale (soia, mandorla, riso, ecc..), hanno anche la medesima struttura e la stessa funzione, anche se il contenuto può variare.
– I würstel, le salsicce, gli hamburger, le polpette, le bistecche, gli spiedini, ecc.. anche se preparati con la stessa materie prima, hanno nomi diversi in base alla loro forma e funzione.
Quindi ed in conclusione, per tutte le preparazioni tradizionali o nuove che siano, non è la ricetta che determina la denominazione, ma la forma dell’alimento e la sua funzione culinaria.
Naturalmente la denominazione dell’alimento deve essere chiara, completa ed inequivocabile (burro di arachidi, latte di soia, mozzarella di riso, würstel di glutine di grano, hamburger di soia, spaghetti di riso, polpette di formaggio tofu di soia, pane di quinoa, ecc…).
Con l’elenco obbligatorio degli ingredienti e della tabella nutrizionale si hanno tutte le informazioni nutrizionali necessarie per comporre un pasto equilibrato, in base alle esigenze dietetiche personali.
Sono consapevole che questo principio non appaga i trasformatori di latte animale, i pastai italiani ed i macellai, ma c’è anche tutto un altro mondo che non è parallelo ne alternativo, ma complementare ed completante; è sempre più grande ed interessante, che va normato con principi chiari, legali ed equanimi, come farebbe un buon padre di famiglia con tutti i propri figli.

Sem
Sem
27 Giugno 2017 01:42

La carne che loro onnariani difendono come alimento indispensabile, spesso nel piatto la presentano in una forma che fa quasi dimenticare le forme dell’animale altrimenti l’immagine di una testa intera, di una gamba intera, o dell’animale intero, risulta sconvolgente anche per chi mangia carne in forma di polpette, hamburger, salsicce, kebab, wurstel, ecc. che nascondono il vero volto dell’animale a chi mangia carne senza esserne consapevole al punto di pensare di mangiare una cosa e non qualcuno. Non risulta sconvolgente servire nel piatto un melone intero, una banana intera, un mela intera, ecc. Un bambino di 3 anni tra due piatti, uno composto da frutta intera, e l’altro con un coniglio vivo, indubbiamente sceglie la frutta e gioca con il coniglio.

ezio
ezio
27 Giugno 2017 11:17

Il principio dirimente per la denominazione di un alimento non è la ricetta ne la composizione, ma la FORMA-FUNZIONE che ha.
La forma (lattiginosa, cremosa, dura strutturata con forme diverse) rappresenta esteticamente l’alimento, la funzione ne indica l’uso.
Quindi stessa forma-funzione = stessa denominazione.
La ricetta e/o composizione lo caratterizza, lo distingue e ne indica la differenza di contenuto, di gusto e di apporti nutrizionali.
Quindi latte di (vacca, capra, cammella,… riso, soia, avena, mandorla,…), poi BURRO di (vacca,… soia, mandorle, nocciole, di cacao,…), poi FORMAGGIO di soia, mozzarella di riso, …PASTA di grano duro, avena, segale, soia, lenticchie, ceci,…poi SPIEDINI di maiale, vitello, agnello,… soia, seitan di grano, lupino,…poi HAMBURGER di maiale, pollo, soia, seitan di grano, ceci,…poi WURSTEL di maiale, di pollo, tacchino, soia, lupino, seitan di grano, ceci,…poi BRESAOLA di vitello, maiale, pollo, tacchino, lupino, seitan di grano,….
Escludendo quelli a denominazione ed origine protetta (DOP, DOC, IGP,..), tutte le preparazioni alimentari dovrebbero seguire il principio della denominazione secondo la forma-funzione, senza escludere nessuno e senza privilegiare alcuno, ma seguendo solamente la logica della terminologia applicata a tutti.
Tanto poi ci pensa il consumatore a chiamare le cose con il loro vero nome, infischiandosene di norme incomprensibili ed anacronistiche per i soli addetti ai lavori, in conflitto d’interessi propri e di categoria.

Sem
Sem
29 Giugno 2017 01:17

sono veramente pochi quelli che si sentono di mangiare pezzi interi di animali nel piatto, la maggioranza preferisce una forma diversa e raffinata come hamburger, polpette, salsicce, a fette, ecc. in modo da illudere la mente di mangiare non un animale ma una cosa a forma di sfera, rettangolare, quadrata a triangolo, ecc.

Roberto Contestabile
7 Luglio 2017 14:12

Solita sentenza ridicola che vuole rappresentare una forma di difesa verso le aziende e un ipocrita tutela ai consumatori.

Attendiamo quindi che anche altri prodotti di uso comune quali latte di cocco, burro d’arachidi, olio d’argan, burrocacao, latte detergente, latte solare, o anche il tanto famoso “OLIO DI GOMITO”…cambino nome e terminologia.