Pasta italiana: qual è l’origine del grano? Il Fatto Alimentare invita le aziende ad indicarla in etichetta. Richiesta inviata a Barilla, Agnesi, De Cecco, Del Verde, La Molisana, Granoro, Garofalo, Divella…
Pasta italiana: qual è l’origine del grano? Il Fatto Alimentare invita le aziende ad indicarla in etichetta. Richiesta inviata a Barilla, Agnesi, De Cecco, Del Verde, La Molisana, Granoro, Garofalo, Divella…
Roberto La Pira 23 Gennaio 2014Le campagne portate avanti da Coldiretti e riprese in modo acritico dalla maggior parte dei giornali, hanno convinto milioni di persone che la pasta italiana fatta con grano coltivato nelle nostre regioni sia migliore. Anche il latte italiano dovrebbe essere più buono, come pure l’olio e altri prodotti … Per questo motivo Coldiretti invita le aziende a scrivere in etichetta l’origine delle materie prime anche se non è obbligatorio). La richiesta è plausibile, ma va detto con altrettanta chiarezza che l’uso di ingredienti e materie prime italiane non equivale ad un attestato di qualità superiore del prodotto. Per quanto riguarda la pasta la produzione nazionale di grano duro (Puglia , Sicilia…) non è assolutamente in grado di coprire il fabbisogno interno, e quindi tutte le aziende lo importano da Canada, Stati Uniti, Francia… Non si tratta di una novità, basta guardare le vecchie fotografie esposte in alcuni pastifici di Gragnano, per vedere le immagini delle navi russe che sbarcano sacchi di grano nel porto di Napoli.
Chi ritiene scorretta la dicitura “made in Italy” presente su alcune confezioni di pasta ottenuta anche con materie prime importate sbaglia. Gli spaghetti sono “prodotti in Italia”, perché importiamo grano duro che viene prima trasformato in semola e poi miscelato con acqua per diventare pasta. Le due lavorazioni vengono fatte sul nostro territorio e questo autorizza la scritta “made in Italy”. In commercio esistono spaghetti prodotti utilizzando “100% grano italiano”, ma questa scelta, pur essendo apprezzabile, non attesta una qualità superiore. La bontà non è legata all’origine della materia prima, ma alla capacità di saper fare spaghetti con materia prima pregiata. Ci sono altri settori come quello del cioccolato e del caffè, dove il “made in Italy” è molto gradito, non perché produciamo la materia prima, ma perché la sappiamo trasformare. Anche per l’olio extravergine di oliva (escluso le DOP) la qualità si ottiene spesso miscelando materia prima proveniente da diversi paesi.
Per tutti questi motivi Il Fatto Alimentare chiede a: Barilla, Agnesi, De Cecco, Del Verde, La Molisana, Granoro, Garofalo, Divella … di indicare in etichetta l’origine del grano duro, spiegando ai consumatori che la nostra pasta è considerata la migliore al mondo anche perché contiene grano duro importato. L’indicazione si potrebbe riportare direttamente sull’etichetta, oppure digitando sul sito internet il numero di lotto, come fanno da tempo alcune aziende alimentari e catene di supermercati.
Il Fatto Alimentare ha inviato questa richiesta alle principali aziende del settore: Barilla, Agnesi, De Cecco, Del Verde, La Molisana, Granoro, Garofalo, Divella. Vi terremo informati.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Coop già da queste informazioni ai suoi clienti.attraverso delle app e dal sito. Dovrebbero farlo tutti.
Lo fanno anche Conad e altre catene
Buona l’iniziativa, ma non si citano quei pastifici che dichiarano grano Senatore Cappelli, o grano Integrale, o semola pregiata. Neanche in questi casi si può avere certezza sulla loro qualità?
Per dovere di cronaca, occorre precisare che l’azienda De Cecco, è l’unica tra quelle menzionate nell’articolo, che riporta pubblicamente nelle pagine del proprio sito internet, per la precisione nelle “F.A.Q.”, la provenienza della materia prima di origine estera e le motivazioni che qui di seguito riporto:
“Non esistendo in natura un grano ideale, De Cecco in virtù della sua esperienza storica, seleziona un mix di grani duri italiani ed esteri – australiani, francesi e principalmente americani – scelti soprattutto per il loro contenuto proteico e per la quantità e qualità del glutine.
I grani americani, ad esempio, sia per le condizioni ambientali (terreni fertili e poco sfruttati), sia per le tecniche colturali di rotazione delle coltivazioni, presentano un elevato contenuto proteico, un ottimo indice di glutine e un colore giallo piuttosto intenso. La resa di coltivazione dei grani americani è infatti di circa 20 q.li/ha (quintali per ettaro) contro i 50-60 q.li/ha in Italia: non si ha uno sfruttamento intensivo del terreno e quindi i nutrienti sono a disposizione per garantire lo sviluppo delle migliori qualità della varietà.
La qualità ottimale della materia prima è infatti indispensabile per garantire la caratteristica fondamentale della pasta (la tenuta in cottura) in un processo che utilizza la bassa temperatura. Il grano viene stoccato presso i silos del molino in quantitativi molto elevati in modo da garantire la disponibilità di materia prima di ottima qualità, al fine di avere sempre un prodotto omogeneo per tutta la produzione.”
Antonio Lemme.
sono contenta di acquisire molte informazioni così morirò consapevolmente!!! era una battuta, ma come ci si può difendere????
Enrica : difendere da cosa ?
Pregevole iniziativa. La Coldiretti da anni agita la bandiera del 100% italiano, pur sapendo che se davvero cessassero le importazioni i nostri prosciutti, formaggi, paste ecc.ecc. sparirebbero all’istante.
Non capisco la mania per il prodotto italiano, come se “italiano” fosse garanzia assoluta di bontà.
Mi fido di più dei carabinieri del NAS, che vanno in giro a sorpresa per verificare l’igiene e la bontà del prodotto. E tanto mi basta.
Certo che il grano ucraino inquieta un po’ visto che l’inquinamento radioattivo può durarre anche migliaia di anni. Mitridatismo ?
Ma i controlli vengono fatti
A campione, se va bene.
Conoscere l’origine dei prodotti dovrebbe essere obbligatorio in modo che un consumatore possa poi decidere liberamente cosa comprare (io posso anche decidere che mi vanno benissimo le passate prodotte con pomodori cinesi o la pasta prodotta con grano ucraino).
Forse in questo il biologico è un po’ più avanti visto che sotto il logo europeo si deve indicare l’origine della materia prima (ITALIA, EU, NON EU) e un consumatore attento potrà leggere in un pacco di pasta quando questa è prodotta con grano italiano (AGRICOLTURA ITALIA).
Daniela, andrebbe detto anche che: l’indicazione dell’origine potrebbe comportare un’aumento dei costi fino al 50%, 90% dei quali ricadrebbe sui consumatori finali. Andrebbe detto che questo potrebbe comportare contrazione dei consumi e conseguente diminuzione dell’occupazione.
Andrebbe detto anche che, date le scarse risorse dedicate ai controlli ufficiali, l’indicazione dell’origine in etichetta rischia di rendere meno efficaci o meno frequenti i controlli sulla sicurezza alimentare salvo l’istituzione di nuove tasse per reperire risorse.
Insomma ce ne sarebbero di cose da valutare, ma non perchè lo dico io, seppur usando il buon senso. E’ la Commmissione Europea che ha rilevato questo tipo di aspetti valutando l’obbligo di indicare l’origine della carne utilizzata come ingrediente (il link l’ho messo tante volte qui) e sulla base di questi valuterà se sarà il caso di rendere obbligatoria l’indicazione di origine.
Al consumatore dovrebbe però essere detto in modo chiaro che il rischio è quello di pagare di più senza avere per contro garanzie in più, anzi col rischio di averne di meno.
Incrementi fino al 50-60 per indicare l’origine! Troppo esagerato. Abbiamo letto quel documento con perplessità. Ci sono produttori che indicano in modo volontario l’origine del grano, altri lo fanno in rete come De Cecco che dichaira diusare grani australiani, francesi e americani e non credo che i costi siano lievitati. (http://www.trnd.com/it/progetti/pasta-dececco/faqs#question_12004)
non ho modo di cercare questo documento della Commissione europea, pertanto chiedo:perchè aggiungere sulla confezione una riga in più, dove si indica la provenienza della materia prima, crea un aumento del prezzo finale???
Infatti..i controlli , se va bene, vengono fatti a campione . Sempre a proposito dei controlli ….fidarsi e bene ma purtroppo sappiamo che spesso non fidarsi è meglio e si legge di tanti esempi in giro per tutta l’italia.
Cosa resta? fidarsi ciecamente delle aziende che producono e fanno tutto con coscienza preoccupandosi della salute di chi acquista i loro prodotti.
Eppure ci sono tante categorie che operano nel settore dei trasporti che si lamentano dei controlli sanitari in italia che sono troppi e/o sono anche lenti , sopratutto quando si paragonanoa ai controlli sanitari (di numero inferiore) che vengono fatti in altri paesi comunitari per merce che poi è destinata a noi in italia.
Personalmente ritengo sia apprezzabile una azienda che cerca di operare in maniera quanto più trasparente e chiara possibile aldilà di tutti i “tecnismi normativi sovraregolamentati a livello comunitario” e sicuramente influenzati/influenzabili da grandi lobby.
Alla fine siamo noi i consumatori e siamo noi a scegliere
iniziamo ad essere più consapevoli e scegliere “costringendo” il mercato ad adattarsi. Mi rendo conto che siamo in un periodo di crisi ma badare sempre e solo al prezzo non è la migliore scelta, così come badare solo alla bandierina.
Aggiungo, da consumatore egoista mi preoccuperei solo di riuscire ad ottenere tutte le garanzie salutistiche del caso.
Da imprenditore egoista di massimizzare i profitti senza preoccuparmi quanto salutare possa essere il prodotto da me offerto (basta che sia buono e che non sian dannoso per la salute)
ma un “equilibrato accordo tra le parti” no ?
Guardi, la Commissione Europea mi sembra una fonte sufficientemente autorevole e in ogni caso avrà sicuramente svolto uno studio più approfondito di quanto posso avere fatto io o lei. Ovviamente se lei ha dati a disposizione per smentire, ben vengano, li invii a Bruxelles. Su questo stesso sito si prendono come validi studi fatti su campioni di 58 individui (vedere articolo sulla diossina nel sangue), mi lascia perplesso che si metta in dubbio una relazione della Commissione Europea a meno che, ripeto, non si abbiano dati in merito.
Dire “fino al 50%” poi(il 60% non mi sembra citato da nessuna parte, magari sbaglio) non significa che in tutti i casi si verifichi un aumento di questa entità. E’ chiaro che vengono valutate vari casi.
Se c’è chi indica volontariamente l’origine del grano è perchè in base al proprio processo può essere certo che l’origine non cambierà nel tempo. Questo può essere dato da diversi fattori (volumi di acquisto, forza contrattuale…). E’ chiaro che se uno ha questa certezza (che non è necessariamente un merito rispetto a chi non può averla) avrà molti meno problemi a dichiarare volontariamente l’origine. Le dichiarazioni in rete come quelle di De Cecco ovviamente non costano nulla ma è ovvio che non è questo il tipo di comunicazione a cui si riferisce la Commissione Europea.
I costi sono altrove, la risposta che ho letto di Divella lo fa capire.
Poi, intendiamoci, è questione anche di capire cosa si vuole: si vuole l’informazione precisa dell’origine del grano negli spaghetti che ho comprato oggi? o si vuole semplicemente sapere qual’è l’origine del grano generalmente utilizzato da quell’azienda in quel prodotto? Sono cose diverse…e hanno impatti diversi.
Onestamente comunque, al di là di tutti i discorsi che si possono fare, anche solo ventilare l’ipotesi che indicare l’origine abbia ripercussioni negative sull’efficacia dei controlli ufficiali sulla sicurezza alimentare (e anche qui, non serve una commissione, basta il buon senso e un minimo di idea di come questi funzionino per non avere dubbi sul fatto che sia così) mi sembra un ottimo motivo per non farlo…
Laura, mi spiace, ma il link in italiano pare non funzionare. Ribadisco nuovamente che lo studio è riferito alla carne utilizzata come ingrediente.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=SWD:2013:0437:FIN:EN:PDF
Costi di imballaggio per le modifiche continue (perchè l’origine cambia in base agli approvvigionamenti), costi di gestione (personale costantemente preposto su tutta la filiera), adeguamento dei macchinari di codifica (nell’articolo dove Divella risponde, ho letto un commento che equipara la stampigliatura del lotto all’inidicazione dell’origine: non necessariamente è sempre possibile). Avere un’origine vincolante sull’imballaggio significa che anche gli acquisti saranno vincolati con conseguenze sul costo della materia prima e quindi del prodotto finito. Questo è quello che viene in mente così su due piedi…magari chi lo fa di lavoro porterà altre cause.
Ripeto dipende da cosa si vuole: se si vuole semplicemente che, come ha fatto De Cecco, sui siti delle aziende compaia genericamente che vengono utilizzati grani francesi, italiani, canadesi, russi, ucraini, americani, australiani…il costo è pressochè zero.
Se invece si vuole sapere esattamente l’origine del grano utilizzato nel lotto di spaghetti a cui appartiene il pacco che ho appena messo nel carrello è evidente che la cosa è molto più complessa e quindi più costosa.
Ma la cosa che non riesco davvero a spiegarmi è questa: davvero non interessa a nessun il fatto che si dovranno utilizzare parte delle risorse dedicate ai controlli sulla sicurezza alimentare per fare i controlli sull’origine? Davvero c’è qualcuno che è disposto ad avere meno garanzie sulla sicurezza in cambio di qualche informazione in più sull’origine in etichetta?
Sicuramente è utile indicare in etichetta quanto richiesto in questo forum. nessuno chiede che quanto indicato sia perfettamente leggibile e non i microcaratteri scritti in rosa su fondo giallo. neppure con la lente di ingrandimento riusaciamo a leggerli poichè il cromatismo manda tutto all’aria.
ma perchè bisognerebbe spostare le risorse dedicate ai controlli? non è mica una “equazione imprescindibile”
1) i costi di etichettatura a carico del produttore piu i controlli che già dovrebbe fare
2) i costi dei controlli a carico degli enti pubblici ma non sulla corretta indicazione dell’origine (o almeno non solo) ma sulla salubrità del prodotto
I regolamenti dovrebbero essere discussi con competenza e valutando bene tutti gli aspetti (si spera)
I lotti di produzione ad esempio si utilizzano anche per rintracciare eventuali partire da ritirare , ben venga una proposta per rendere obbligatorio anche quello su ogni prodotto e non solo su alcuni.
E’ vero che sarebbe piuttosto difficile indicare ad esempio che per una determinata confezione di pasta sono stati miscelati grani di diversa origine , perchè indicarlo sul sito , indichiamo “diverse origini extraue” sulla confezione, già sarebbe qualcosa e a costo veramente ridotto.
Un conto è rivendicare l’eccessiva difficoltà di indicare fino in fondo sulla etichettà tutte le diverse provenienze che danno origine al prodotto finito.
Altro è , non dire proprio nulla e/o sperare che “sul sito ci sia qualcosa” lasciando al consumatore “l’obbligo di non poter sapere”
Eppure , neanche queste “minime indicazioni” si vogliono essere inserite in etichetta (quando le attuali scorte di packaging sono esaurite etc etc il solito “bla bla bla” sui costi ) … mahh
che cosa strana, per l’olio ad esempio è obbligatorio e non dire che ci sono 8 origini diverse ma che si tratta di una miscela di olii europei.
Ma come perchè?
Se si vuole l’origine sulle confezioni ci vorrà qualcuno che controlla la veridicità di tali informazioni no? E quel qualcuno saranno gli stessi organi ufficiali che adesso si occupano dei controlli sulla sicurezza alimentare. Quindi a parità di risorse è ovvio che i controlli si “perdono”.
Scrivere genericamente UE/non UE ovviamente avrebbe un basso impatto economico…ma tutti quelli che chiedono non solo l’origine ma anche il comune da cui quel prodotto viene (sono cose che leggo qui) sarebbero soddisfatti? chi sostiene che l’origine serve per la sostenibilità e i km 0 sarebbe soddisfatto? No, perchè non avrebbe alcuna informazione utile…
Poi Marco, mi spiace ma continua a non capire che i costi sugli imballaggi non si riferiscono semplicemente al fatto di smaltire gli imballaggi “senza origine”, ma sono costi da sostenere ogni volta che l’origine cambia…
Come d’altra parte io continuo a non capire che devo smetterla di intervenire in questi articoli…
Barilla, De Cecco ecc.. sostengono che la pasta migliore si ottiene miscelando i grani esteri,ma le micotossine presenti in questi grani dovute all’elevata umidità dei climi delle zone in cui questi grani vengono prodotti non credo che possano rendere migliore una pasta rispetto ad una prodotta con solo grano italiano, che tra le altre cose è ricco di proteine ed esente da micotossine. Vi sono pastifici in Italia (anche se di piccole dimensioni) che producono pasta di ottima qualità con grano italiano, senza che i costi siano così elevati.
Vincenzo ma come fa a dire che il grano italiano è privo di micotossine? Dove lo ha letto?
Da consumatore mediamente attento e da professionista parimenti scrupuloso, credo che oggi essere trasparenti e dichiarare semplicemente la provenienza, le materie prime utilizzate, gli additivi aggiunti, se proviene da agricoltura biologica, e le metodologie di lavorazione adottate (spremitura a freddo, macinata a pietra, raccolto di montagna, senza glutammato, senza sodio lauril solfato, parabeni e conservanti donatori di formaldeide, senza grassi idrogenati etc.etc etc) sia la più efficace strategia di marketing per aumentare i profitti di qualsiasi azienda alimentare. Il costo superiore che inizialmente è necessario per adottare questi criteri informativi si vedrà presto ridotto, dal crescente numero di consumatori… Un’azienda etica e trasparente diffonde il messaggio pubblicitario con il passa parola, con il tam tam “facebookiano” con la rete in genere e creando gruppi di acquisto tipo i GAS..
E’ forse utopico al giudizio di molti, ma chi inizia metterà pian piano fuori gioco le aziende che continuano a fare profitti ingannando i consumatori.
Credo che in questi anni di crisi ci sia il tempo e il desiderio sempre più diffuso di ribellarsi alle diffuse “inefficienze” tipiche italiane, sia in campo politico, sociale che alimentare..
L’Italia è un paese meraviglioso, e non pretendo molto!! L’auspicio è che tutti contribuiamo a farlo diventare un Paese/Azienda “Biologico” dove il suo significato nel mondo, deve rappresentare sinonimo di trasparenza, sicurezza, e affidabilità… almeno sul fronte alimentare…
Sostenere che la qualità della pasta non dipende dalla qualità del grano mi fa un po’ sorridere. E’ come dire che la qualità di un formaggio non dipende dalla qualità del latte. Certo, è essenziale la capacità del casaro, ma se la materia prima è scadente difficilmente si otterrà un buon risultato.
Ci sono pastifici (in genere molto piccoli) che utilizzano solo grano del sud dell’Italia (il segreto è quello, il clima e i terreni delle nostre regioni del centro-sud sono ideali per la produzione di grano con bassi livelli di micotossine e alti livelli di proteine).
Certo che aziende enormi come quelle sopra citate hanno tutta la convenienza a comprare grano in Canada o nell’Est Europa (e a dire che questo è di qualità), dato che tutta la loro forza sta nella possibilità di fare prezzi bassi, e questi paesi hanno prezzi del grano estremamente competitivi (sulle grandi quantità).
Altre aziende – poche a dire il vero – si impegnano per garantire una filiera corta, fanno tracciare la propria produzione, chiedono ad enti terzi di certificare la provenienza italiana della materia prima e la lavorazione nel nostro paese. Tanti costi per una battaglia impari rispetto a certi colossi.
La cosa più importante sarebbe un’etichettatura chiara e trasparente. Cosa che non conviene affatto alle grandi aziende.
Sostengo totalmente Coldiretti in questa battaglia, è una questione di giustizia e trasparenza nei confronti dei consumatori, che devono fare le proprie scelte in maniera consapevole.
Mi dispiace, ma non sono d’accordo. Se la qualità si intende solo in riferimento alla trasformazione e non alla materia prima, allora cos’è che difendiamo quando parliamo di agricoltura biologica? E dire che il sapore della pasta De Cecco è migliore per l’acqua che usano, è irrilevante? PER FAVORE, basta supportare questo business, non ne hanno bisogno.
Io voglio dire una cosa ed e questa, a me non me ne frega niente dei costi dell’azienda ed altre cose insulse tipo comunita europea ecc.io quando compro voglio sapere per filo e per segno cosa contengono e da dove viene la materia prima se vado al supermercato non compro prodotti che nn mi danno queste informazioni.
quando si omette un informazione e perche si vuol nascondere qualcosa.io da consumatore ho l’arma piu potente nn compro se nn vengo soddisfatto se tutti faremmo cosi nel giro di mezza giornata vi assicuro che le aziende mettono pure il nome dell operaio che a lavorato.
di aziende serie ce ne sono basta solo non seguire la pubblicita ma la qualita e la trasparenza
Salvatore, ci sono certi prodotti che contengono una decina di ingredienti provenienti eietni da nazioni diverse! In questi casi sarebbe molto complicato venie incontro ai suoi desideri.