Il 5 luglio il Parlamento europeo in seduta plenaria ha adottato in prima lettura (con 548 voti a favore, 84 contrari e 31 astensioni) la relazione dell’eurodeputata liberal-democratica francese Corrine Lepage, sulla proposta della Commissione di lasciare agli Stati membri la scelta se limitare o vietare la coltivazione di Ogm nei loro territori. Ma crediamo davvero che la questione possa venir risolta con il motto “Not In My Back Yard” (NIMBY)? Proviamo a guardarci attorno.
Il progetto di regolamento, all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio, è volto a emendare la direttiva 2001/18/CE “sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati”. Il Parlamento si è spinto oltre la proposta della Commissione, e ha definito con maggior chiarezza i motivi che legittimano ogni Stato membro a vietare la coltivazione di Ogm sui propri territori:
– ragioni di carattere ambientale, quali la resistenza agli antiparassitari, la preservazione della biodiversità, la mancanza di dati sulle potenziali conseguenze negative per l’ambiente
– motivazioni di tipo socio-economico, come ad esempio l’impossibilità di attuare misure di coesistenza idonee a proteggere l’agricoltura convenzionale o biologica dai rischi di contaminazione con Ogm.
Tutti gli Stati membri devono in ogni caso adottare misure per prevenire la contaminazione (http://www.ilfattoalimentare.it/ogm-gli-errori-umani-e-non-gli-insetti-sono-la-causa-principale-delle-contaminazioni-accidentali.html) dell’agricoltura convenzionale o biologica da colture GM, secondo l’Assemblea, e assicurare che i responsabili di eventuali incidenti possano venire condannati al risarcimento dei danni .
Soddisfatta del voto la relatrice Lepage: “sono lieta che il Parlamento abbia raggiunto un accordo sugli OGM, per anni una difficile questione di interesse pubblico. Se il Consiglio riesce a raggiungere una posizione comune, questo accordo equilibrato permetterà ai paesi e alle regioni di non coltivare OGM, se non lo desiderano”.
Il Consiglio si era già espresso in direzione contraria a quella del Parlamento, il 27 settembre scorso, bocciando la proposta della Commissione di rimettere a ciascun Paese membro la scelta se autorizzare o meno la coltivazione di Ogm a casa propria .
Un po’ meno soddisfatto è parso il Commissario europeo per la Salute e i Consumatori John Dalli, che ha insistito sul valore delle vigenti procedure, centralizzate, per la valutazione del rischio (affidata all’Efsa) e le autorizzazioni in tema di Ogm da parte della Commissione europea) .
I soli OGM autorizzati per la coltivazione in UE, di fatto, sono un mais e una patata geneticamente modificata. La maggior parte degli Stati membri tuttora non coltiva queste sementi, e comunque Austria, Francia, Grecia, Ungheria, Germania e Lussemburgo ne hanno da tempo vietato a priori la coltivazione. Mentre altri Paesi tra cui l’Italia non hanno mai pubblicato i “piani di coesistenza” previsti dai regolamenti UE, senza i quali non è possibile dare il via alle coltivazioni.
L’impressione è che nessuno voglia assumersi la responsabilità di valutare a fondo la questione. Emblematico il commento di Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, sulla “Gazzetta economia” del 6 luglio: “nel ’98, da ministro dell’Agricoltura, ho introdotto la moratoria in Italia. Oggi il contesto è mutato. L’Europa importa il 90% dei suoi consumi di soia, quasi tutti OGM. E, certo, non può restare sorda all’innovazione tecnologica né estranea alla ricerca in questo campo”.
La battaglia tra i fautori e gli oppositori degli Ogm continua a sembrare una lotta tra campanili, tuttavia avulsa dalla realtà: da un lato i coltivatori americani, argentini e canadesi (i cui governi sono riusciti a far condannare l’UE, in sede di WTO , a fronte dei divieti imposti da alcuni suoi Stati membri), dall’altro i governi locali e gli agricoltori di varie parti d’Europa (i quali peraltro devono affidarsi a mangimi Ogm per nutrire il bestiame). I fautori dell’evoluzione tecnologica “no limits” da una parte, gli ambientalisti e i patriarchi della tradizione dall’altra. Nel mentre, enormi flussi di derrate agricole Ogm transitano e vengono utilizzate in ogni parte del mondo.
Se si osasse guardare alla realtà si potrebbe annotare che la diffusione degli Ogm è inarrestabile: nel 2010 le superfici coltivate hanno superato i 148 milioni di ettari (+10% rispetto all’anno precedente), su 29 Paesi nei cinque continenti .
Ma perché gli agricoltori di ogni parte del mondo coltivano Ogm? Grandi o piccoli che siano i loro appezzamenti, si suppone che essi abbiano simili esigenze: ridurre i costi (di acqua, fertilizzanti, antiparassitari, manodopera, energia), migliorare le rese, garantire la sicurezza dei raccolti (necessaria a vendere e/o a mangiare).
Il biotech non è certo l’unica né la migliore delle soluzioni, visto che l’eco-agricoltura e la tutela delle coltivazioni locali su piccola scala potrebbero sortire migliori effetti.
Ciò nonostante, la ricerca sulle tecnologie genetiche prosegue nell’intero pianeta, e viene condotta non soltanto dai soliti noti (Monsanto, Bayer CropScience, Basf, Pioneer Hi-Bred International, etc.) ma anche da università, amministrazioni pubbliche, enti di ricerca indipendenti.
Al di là delle ideologie potrebbe esser giunta l’ora di affrontare questioni sinora trascurate, che pur meritano attenzione:
1) Perché questo OGM? Sarebbe interessante iniziare a discernere le sementi GM in relazione alle loro finalità specifiche, anziché fare “di tutta l’erba (Ogm) un fascio”.
Come è possibile considerare alla stessa stregua una pianta che è stata progettata per resistere ai diserbanti con una che – senza bisogno di interventi chimici sui campi – è in grado di resistere a parassiti? O con un’altra che integri il patrimonio genetico di una pianta con quello di altri vegetali per colmare i deficit nutritivi di popolazioni con ridotte possibilità di aderire a diete varie ed equilibrate?
I tifosi del biotech raccontano tante belle storie sui benefici per l’umanità di alcune loro ricerche, ma basta leggere i loro stessi dati per constatare che tuttora il 61% delle coltivazioni (89,3 milioni di ettari) riguarda Ogm del tipo “herbicide tolerant”. Vale a dire piante appositamente studiate per resistere – esse soltanto, e nessun’altra – all’Attila della chimica, il glifosato.
Se dopo quindici anni di convegni sulla disputa “Ogm sì, Ogm no” a qualcuno venisse in mente di orientare il dibattito sulla questione “Ogm forse, herbicide-tolerant mai”, ad esempio, si potrebbero forse salvare le falde acquifere del pianeta da danni irreparabili.
2) Come è realizzato questo Ogm? Un altro aspetto degno di considerazione, quantomeno sotto il profilo etico, è l’oggetto della ricerca.
Senza addentrarsi nei tecnicismi: il DNA di un vegetale è stato combinato con quello di altri vegetali, come già accade negli incroci tradizionali, o è stato manipolato coi geni di insetti o di altri animali? La differenza non è di poco conto, considerati la sensibilità dei consumatori europei verso ipotesi di clonazione animale , e soprattutto il rispetto che il buon senso induce verso le “scelte di fondo” di Madre Natura.
3) Quanto è sicuro questo Ogm? La valutazione di sicurezza viene affidata ad autorità indipendenti, come la Food & Drug Administration in Usa e la European Food Safety Authority in UE, sulla base di protocolli che appaiono rigorosi. Possiamo pretendere che l’aggiornamento di questi protocolli segua effettivamente il passo dell’evoluzione della ricerca, in modo da poter intercettare ogni possibile nuovo rischio emergente? E che i prodotti già valutati siano sempre mantenuti sotto controllo, per consentire valutazioni di sicurezza sul medio-lungo termine?
Alcune regole già esistono, per la tutela dell’ambiente e i politici potranno anche migliorarle quando riusciranno a pensare ad altro che al velleitario proclama del NIMBY (Not In My Back Yard).
Dario Dongo
Stimolanti come sempre le riflessioni del dr. Dongo.
Purtroppo, questa storia dei GMO è stata condizionata da giganteschi conflitti di interesse che hanno truccato le carte e sparso un’illusione di certezza che non c’è.
http://www.gmwatch.org/latest-listing/1-news-items/13260-efsa-s-defence-of-its-independence-reveals-another-conflict-of-interest
http://www.combat-monsanto.co.uk/spip.php?article696
http://www.combat-monsanto.co.uk/spip.php?article715
http://www.flutrackers.com/forum/showthread.php?t=167259
http://www.theatlantic.com/life/archive/2010/05/roundup-red-alert-us-farms-grow-superweeds/56250/
Altro che innovazione tecnologica. Qui hanno aggiustato i dossier per conflitto di interesse (tre parole vuote in Italia).
Caro Dario
complimenti per il bell¹articolo.
Ti suggerisco una sola nota d¹approfondimento.
Tu concludi dicendo che ci dovrebbe essere un controllo degli effetti nel medio e lungo periodo. Per quanto riguarda i farmaci il sistema funziona in EU da molti anni, mentre il sistema di controllo per gli OGM, analogo, non esiste. Esiste la farmaco vigilanza, che permette di immettere in commercio una medicina anche se è stata fatta la semplice analisi del rischio salvo monitorarne gli effetti durante gli anni ed eventualmente ritirarlo dal commercio. La farmaco vigilanza è di competenza degli Stati, così si è sicuri che non ci siano troppe pressioni da parte dei produttori.
Per quanto riguarda gli effetti ambientali invece non esiste una ³ambiente vigilanza². Così si immette in commercio un prodotto senza controllarlo nel tempo. Se la UE si dotasse di questo sistema sarebbe più facile immettere anche OGM.
Di fatto la UE ha detto no alla coltivazione degli OGM sul proprio territorio (la difesa della biodiversità ..che vuol dire?) ed il principio per il quale in determinati territori risulti impossibile fare la coesistenza si riferisce in particolare a quelli come l¹Italia.
In sintesi la UE dice no alla coltivazione sul proprio territorio di OGM e dice si (perché sono sicuri dal punto di vista igienico sanitario EFSA l’ha stabilito almeno quattro volte con buona pace di Coldiretti) al loro uso alimentare.
Ciao
Luigi Tozzi