Ragazzi più attivi, più attenti a quello che mangiano e un po’ più magri. Ecco, in sintesi, i primi risultati di EAT, il progetto di educazione alimentare per teenagers promosso dall’Irccs Policlinico San Donato in provincia di Milano. «Si tratta di un vero e proprio studio scientifico – spiega Lelio Morricone, primario di diabetologia e malattie metaboliche del Policlinico e membro del comitato di EAT – partito nel 2010 e destinato a durare fino all’Expo 2015».
Il progetto propone agli studenti delle scuole medie inferiori di San Donato Milanese un percorso di educazione alimentare che si rinnova di anno in anno. L’obiettivo finale è ridurre l’incidenza di sovrappeso e obesità, che nel nostro paese sta raggiungendo livelli da allarme (il 23% dei ragazzi tra i 7 e i 17 anni è in sovrappeso e l’11% è obeso). Il lavoro comincia misurando a tutti i ragazzi l’indice di massa corporea, la circonferenza della vita, la pressione ecc. Il secondo step è la distribuzione di un questionario da compilare in famiglia sulle abitudini alimentari e lo stile di vita. A questo punto si entra nel vivo. «Durante l’anno, alcuni medici nutrizionisti tengono in classe quattro lezioni. Si cerca di incuriosire i ragazzi e di interagire con loro».
Alexis Malavazos, il nutrizionista considerato la vera anima del progetto EAT, punta sul coinvolgimento attivo, attraverso un servizio di SMS che, 4 volte alla settimana, arriva ad alcuni ragazzi come promemoria per ricordare semplici norme di “buona condotta” («fai colazione», «se hai sete bevi acqua», «fai un po’ di moto»…). Grazie al contributo di Oregon Scientific agli stessi ragazzi viene fornito un contapassi, per “misurare” il movimento. Gli studenti senza SMS e senza contapassi servono come gruppo di controllo. Non è tutto: a scuola nei distributori di merendine adesso si trova frutta e verdura fresca a km zero (pulita e tagliata), yogurt e frutta secca e poi sono stati organizzati corsi di cucina (qui qualche esempio di ricette). I promotori di EAT hanno coinvolto nel progetto anche un supermercato della catena Esselunga, posizionando all’interno una serie di poster e una brochure per seguire un percorso alimentare virtuoso.
Le conclusioni si potranno tirare solo nel 2015, ma il progetto EAT si sta configurando come un successo. «Tra i ragazzi che in questi due anni hanno partecipato al progetto i risultati sono eclatanti», afferma Morricone. Ecco qualche dato: aumento del consumo di frutta e verdura, riduzione delle bevande zuccherate, incremento del numero di passi giornalieri. Ma soprattutto: aumento dei ragazzi in normopeso (+10,3%), diminuzione di sovrappeso e obesità (rispettivamente -7.9% e -2.4%) e riduzione della circonferenza vita media (-2 cm). Nel gruppo di controllo, invece, non sono stati osservati cambiamenti significativi. Insomma, SMS e contapassi hanno funzionato bene e dimostrano che l’utilizzo di strumenti vicini ai ragazzi può essere d’aiuto nell’educazione alimentare.
Attenzione, però: stiamo parlando di un progetto pilota. La limitazione principale potrebbe essere il costo. Per esempio: un certo tipo di alimenti presenti nei distributori costa più delle merendine classiche. A San Donato un accordo con i produttori ha permesso di mantenere i prezzi bassi, ma su larga scala questo potrebbe risultare impossibile e bisogna vedere se i ragazzi e le loro famiglie saranno disposti a spendere il doppio per lo spuntino di metà mattina.
La cosa importante da sottolineare è che la scuola può essere davvero il luogo giusto per la lotta contro l’obesità. Se n’è accorto anche il Miur, Ministero dell’istruzione, università e ricerca, che nel 2009 ha avviato Scuola e cibo, un progetto che punta a diffondere sin dalla scuola elementare indicazioni generali per svolgere un percorso di educazione alimentare. «Nelle nostre scuole si sono sempre fatte attività sull’alimentazione, ma spesso in modo isolato», afferma Riccardo Garosci, presidente del comitato tecnico-scientifico del progetto. «Mancava un programma centralizzato e continuativo che invece ora ha trovato la sua espressione in Scuola e cibo e nell’emanazione delle prime linee guida per l’educazione alimentare nella scuola italiana».
Il progetto è partito con una fase pilota che ha coinvolto 15 scuole primarie di Roma, Catania e Milano, dove sono stati distribuiti kit a schede per affrontare in classe vari argomenti legati al cibo: dai nutrienti alla piramide alimentare, dalla conservazione alla stagionalità. Visto il successo di questa prima fase, il programma è stato esteso e inserito nel percorso di studi come contenuto interdisciplinare, da “giocare”, al confine tra varie materie: scienze, storia, geografia, cittadinanza. Scuola e cibo, però, non si limita soltanto a proporre: «Cerchiamo anche di intercettare e promuovere buone pratiche già presenti sul territorio». Come EAT appunto, oppure Giocampus di Parma, una proposta “a largo spettro”, che porta l’educazione agli stili di vita sani ovunque si trovino i ragazzi: a scuola, a casa, nei luoghi sportivi e di svago.
«A fronte di una condizione grave e sempre più diffusa come l’obesità infantile, la scuola ha ruolo importante e può fare molto, sia proponendo pasti equilibrati in mensa, sia con progetti specifici di educazione alimentare», commenta Alberto Villani, responsabile della struttura complessa di pediatria generale dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Anche se è bene ricordare – sottolinea il medico – che non è solo una questione di cibo. L’obesità dei bambini è frutto di un sostanziale disinteresse della società nei loro confronti. Dovremmo tutti occuparci (e preoccuparci) un po’ di più dei nostri bambini e ragazzi».
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giornalista scientifica