Lo spettro delle microplastiche torna ad aleggiare andando a colpire un prodotto che oltre un terzo dei consumatori assume quotidianamente: l’acqua minerale in bottiglia. Uno studio condotto da Orb Media – un’organizzazione non profit di Washington – ha evidenziato come le microplastiche siano presenti nel 93% dell’acqua imbottigliata, sollevando il dubbio se sia effettivamente migliore rispetto a quella del rubinetto, che sembrerebbe contenerne quasi la metà.
I test sono stati condotti su un campione di 259 bottiglie, acquistate in diversi Paesi del mondo (Usa, Cina, Brasile, India, Indonesia, Messico, Libano, Kenya e Thailandia, Francia, Germania, Italia). In tutto sono state prese in esame 11 marche ed è stata rilevata una diffusa contaminazione da detriti di plastica, tra cui polipropilene (materiale usato per realizzare i tappi delle bottiglie), nylon e polietilentereftalato (PET).
Lo studio sull’acqua in bottiglia
Per testare l’acqua in bottiglia, i ricercatori hanno infuso in ognuna di esse una tinta, chiamata Nile Red, che si lega alla plastica. L’acqua è stata quindi filtrata a fino a 1,5 micron, ovvero 0,0015 millimetri (meno di un globulo rosso umano). Osservandole al microscopio nel bagliore blu di una luce simile a quella usata dagli investigatori sulle scene del crimine usando occhiali arancioni, su ciascun filtro le particelle di plastica colorate brillavano come piccole braci.
Sono state analizzate anche particelle più grandi – circa 100 micron (0,10 millimetri) – mediante la spettroscopia a infrarossi, una tecnica in grado di identificare la firma molecolare di un materiale. Per quanto riguarda le particelle di plastica nell’intervallo da 100 micron o da 0,10 millimetri, i test condotti per Orb presso la State University di New York, hanno rilevato una presenza media globale nelle bottiglie di 10,4 per litro. Per le microplastiche di circa 100 micron – circa la larghezza di un capello umano – le particelle presenti nei campioni di acqua in bottiglia per litro (10,2) sono state quasi il doppio rispetto ai dati forniti da Orb Media nei mesi scorsi riferite a analisi condotte su acqua del rubinetto (4,5). I test hanno anche mostrato un numero superiore di particelle ancora più piccole che i ricercatori hanno definito essere “probabilmente” plastica.
Il problema delle microplastiche
La presenza media globale di queste particelle era di 325 per litro. Il polipropilene, utilizzato nei tappi delle bottiglie, costituiva il 54% delle particelle più grandi. Il nylon il 16% e Il PET circa il 6%. La maggior parte dell’acqua analizzata era imbottigliata in contenitori di plastica, ma è stata testata anche quella contenuta in bottiglie di vetro, che non era esente da microplastiche. il valore più alto registrato superava le 10 mila particelle per litro. Sono anche trovate alcune bottiglie che effettivamente non contenevano tracce di plastica.
Scienziati e governi sono sempre più preoccupati per gli effetti di questo tipo di inquinamento sulla fauna selvatica e sull’ambiente. Sebbene recenti studi abbiano rilevato microplastiche – di dimensioni inferiori a 5 millimetri – negli oceani, nel suolo, nell’aria, nei laghi e nei fiumi, l’ultima frontiera della plastica potrebbe essere il corpo umano. Le microplastiche sono “probabilmente presenti nei nostri tessuti”, ha dichiarato Jane Muncke, amministratore delegato presso il Food Packaging Forum, un’organizzazione di ricerca a Zurigo. “Sicuramente anche nei miei.” Cosa questo comporti per la salute umana è oggi sconosciuto.
Le preoccupazioni per la salute
Sulla base delle attuali conoscenze, molto frammentarie e incomplete, c’è una relativa preoccupazione per la salute, dato che il corpo umano dovrebbe essere in grado di gestire particelle non digeribili. Fino al 90% delle microplastiche consumate potrebbe passare attraverso l’intestino senza incidenti, secondo un rapporto dell’Unione europea del 2016 sulla plastica nei prodotti ittici. Una certa quantità della rimanente quota del 10% di dimensioni inferiore a 150 micron (0,15 millimetri) potrebbe entrare nel sistema linfatico o passare dal flusso sanguigno ai reni o al fegato. Ma le ipotesi su come la plastica si comporta nel corpo umano sono tratte da modelli scientifici, non da studi di laboratorio.
Le risposte dei produttori di acqua minerale
In risposta allo studio, i produttori di acqua minerale in bottiglia hanno sottolineato che i loro prodotti soddisfano tutti i requisiti di legge. I marchi che Orb Media dichiara di aver testato sono: Aqua (Danone), Aquafina (PepsiCo), Bisleri (Bisleri International), Dasani (Coca-Cola), Epura (PepsiCo), Evian (Danone), Gerolsteiner (Gerolsteiner Brunnen), Minalba (Grupo Edson Queiroz), Nestlé Pure Life (Nestlé), San Pellegrino (Nestlé) e Wahaha (Hangzhou Wahaha Group).
Nestlé, dopo avere realizzato test interni, ha sollevato dubbi sulla metodologia dello studio, affermando che la tecnica basata sulla colorazione con Nile Red potrebbe “generare falsi positivi”. Coca-Cola ha detto alla BBC di adottaremetodi di filtrazione rigorosi, ma ha riconosciuto l’ubiquità delle materie plastiche nell’ambiente. Ciò significa che le fibre “possono essere trovate a livelli minimi anche in prodotti altamente trattati”. Un portavoce della Gerolsteiner ha affermato che non può essere esclusa una contaminazione dell’acqua imbottigliata da fonti aeree o da processi di imballaggio. Il portavoce ha dichiarato che le concentrazioni di materie plastiche in acqua derivanti dalle proprie analisi erano inferiori a quelle consentite nei prodotti farmaceutici. Danone sostiene che lo studio Orb Media usa una metodologia “poco chiara”.
L’opinione dell’OMS
Un portavoce dell’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che, sebbene non ci siano ancora prove dell’impatto sulla salute umana, si è consapevoli di un’area emergente di preoccupazione. L’OMS, infatti, “esaminerà le scarse prove disponibili con l’obiettivo di identificare eventuali lacune nelle prove e stabilire un programma di ricerca basta su una valutazione del rischio più approfondita”.
Orb Media, allo stesso link in cui evidenzia i risultati dello studio, propone uno strumento per calcolare, sulla base della quantità d’acqua bevuta settimanalmente quanti particelle di microplastiche finiscono nel nostro corpo. Bere sette litri in una settimana determina l’assunzione annuale di oltre 100 mila particelle. Siamo arrivati al punto in cui, anche bere acqua, può voler dire rischiare qualcosa? Purtroppo non lo sappiamo, ma possiamo solo sperare che non sia così.
© Riproduzione riservata Fonte immagini: Orb Media
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E quando ogni produttore afferma una “verità” differente, c’è poco da stare tranquilli: non hanno alcuna idea di quello che sta accadendo e di quello che dovrà ancora accadere.
Tanto lassismo ed ignoranza fino ad ora vanno compensati con altrettanta fermezza e determinazione nell’obbligare i confezionatori a garantire la non presenza di residui plastici nell’acqua che vendono, pena il sequestro per contaminazione pericolosa per la salute umana.
Non servono norme specifiche ma bastano quelle vigenti, considerato l’evidenza che la plastica non è alimento ne ingrediente consentito negli alimenti, ma oggetto estraneo non commestibile come il vetro ed i metalli.
I NAS e le AUSL hanno già strumenti e direttive per operare, manca la determinazione per farlo e forse una circolare ministeriale per aggiornarli.