La Corte Suprema degli Usa boccia il sindaco Bloomberg che aveva messo al bando i mega bicchieri di soft drink. Ma la lotta contro l’obesità continua
La Corte Suprema degli Usa boccia il sindaco Bloomberg che aveva messo al bando i mega bicchieri di soft drink. Ma la lotta contro l’obesità continua
Agnese Codignola 14 Marzo 2013«Arbitrario e capriccioso»: con queste parole Milton Tingling, giudice della Corte Suprema di New York, ha bloccato il dispositivo del sindaco Michael Bloomberg che, come abbiamo scritto in un precedente servizio, vietava la vendita di bicchieri di bibite zuccherate di volume superiore a 470 ml circa, pena un’ammenda di 200 dollari. La decisione ha spiazzato i gestori di ristoranti e negozi che da tempo si stavano attrezzando per le nuove disposizioni. Ha anche suscitato la reazione immediata dello stesso sindaco che ha annunciato il ricorso in appello.
Nella sentenza, Tingling sottolinea come la norma proposta risulta incoerente poiché non viene applicata a tutti coloro che, a vario titolo, commercializzano le bevande zuccherate ( chioschi, cinema e teatri, stadi e ristoranti sono obbligati ad adeguarsi, mentre al contrario i negozi della catena 7-Eleven, pur rivolti a fasce basse di mercato (le più vulnerabili dal punto di vista delle calorie), non hanno alcun obbligo.
Non solo. Secondo Tingling, non c’è chiarezza su cosa si debba definire “zuccherato” poiché ciò che contiene almeno il 50% di latte non deve essere compreso nella normativa, pur contenendo alte concentrazioni di zuccheri. Lo stesso vale per le bibite a base di caffè e per alcuni alcolici.
«Crediamo che il giudice sbagli su tutta la linea», ha ribadito il sindaco. «Più di 5mila newyorkesi muoiono ogni anno a causa dell’obesità e delle malattie favorite anche dal consumo di bevande zuccherate, e pensiamo che la decisione del Board of Health (l’organismo cittadino che ha approvato la norma, entrando in potenziale conflitto con la Corte Suprema, ndR) sia da considerarsi superiore al pronunciamento del tribunale».
Forse lo stop è solo una temporanea battuta d’arresto. Certo, non sono mancati gli entusiasti della frenata, nondimeno moltissimi ristoranti e rivendite hanno iniziato a sostituire i bicchieri giganti con altri di dimensioni più contenute e a modificare i men. Altri esercizi hanno deciso di offrire succhi di frutta spremuti al momento, caffè e bibite al latte senza zucchero, lasciando al cliente la scelta di aggiungerlo o meno.
Persino colossi come la Coca Cola Company hanno prodotto poster, cartelloni e dépliant per spiegare le nuove regole. Molti, insomma, hanno già speso parecchio denaro per adeguarsi e, in definitiva, per assecondare quella che sembra una tendenza irreversibile: l’addio graduale ai soft drink (sodas), fenomeno ormai in atto in tutto il paese.
Secondo la rivista di categoria Beverage Digest, negli Usa, il consumo pro capite di bibite dolci ha raggiunto il picco nel 1998, con circa 204 litri annuali a testa, contro i 158 litri d’acqua. Da quell’anno, tuttavia, è iniziato un inesorabile declino: un americano oggi beve mediamente 166 litri di bibite all’anno (una diminuzione del 17%) e 219 litri di acqua (un aumento del 38%).
A guidare questa rimonta è l’acqua in bottiglia il cui consumo è raddoppiato a partire dalla fine degli anni Novanta, raggiungendo i 79 litri pro capite annui. Secondo gli esperti il successo ha almeno due motivazioni: la capillare campagna condotta da medici, autorità sanitarie, società scientifiche e associazioni di consumatori per una riduzione del consumo di bevande dolci, e la crescente disponibilità di bottiglie piccole e pratiche.
L’arrivo delle bottigliette, tuttavia, ha spinto alla ribalta un nuovo problema: quello dell’inquinamento dovuto alla massa enorme di plastica in circolazione. Per questo motivo è probabile l’introduzione di tasse specifiche che dovrebbero limitare la vendita di bottigliette, come è già avvenuto nello stato del Massachussetts.
A tutti questi cambiamenti si oppongono le grandi aziende che producono bibite: il mercato delle bevande zuccherate trascina altissimi profitti (75,7 miliardi di dollari all’anno, secondo le ultime stime, pari a cinque volte i ricavi ottenuti nel settore delle acque minerali e in bottiglia), e si tratta di un mercato che nei paesi meno sviluppati è ancora in piena espansione.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica