Qual è l’impatto ambientale dei prodotti che portiamo in tavola ogni giorno? Quanto “ci costano” in termini di emissioni di CO2, di consumo e inquinamento di acqua e suolo? Diciamolo subito: un marchio in grado di garantire al consumatore che un prodotto è virtuoso dal punto di vista ambientale (un po’ come il logo del biologico in ambito alimentare) non c’è. In alcuni paesi però (Francia e Finlandia) qualcosa comincia a muoversi, e anche in Italia ci sono tentativi per cercare di raccontare ai consumatori la “storia ambientale” del prodotto che stanno acquistando.

 

È il caso dell’Etichetta ambientale, appena sviluppata dalla società di consulenza Sprim con i ricercatori dell’Istituto di chimica agraria e ambientale dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Il sistema calcola l’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita di un prodotto “dalla culla alla tomba” (cioè dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento dell’imballaggio) prendendo in considerazione 18 indicatori riferiti ad acqua, aria e suolo. Tra quelli valutati ci sono l’emissione di CO2 e di polveri sottili, il consumo di acqua e la sua eutrofizzazione, l’acidificazione del suolo, l’impatto sulla biodiversità. «Il calcolo viene fatto prendendo come riferimento la porzione giornaliera indicata dalle linee guida dell’Inran – precisa Paola Riscazzi di Sprim – nel caso della pasta i valori sono riferiti a 80 grammi che diventano 45 grammi per il formaggio fresco».

 

Alla fine il dato viene presentato graficamente, come percentuale di impatto riferito al valore ambientale giornaliero di un cittadino europeo. «Il sistema è stato presentato due mesi fa, non ci sono ancora prodotti con la nuova etichetta – spiega Riscazzi – ma abbiamo contatti con diverse aziende». Se l’etichetta ambientale avrà successo, in futuro potremo confrontare al supermercato l’impatto di due lattine di pelati o di due bottiglie di latte.

 

Se da un lato è evidente il crescente interesse verso i temi della sostenibilità ambientale nell’ambito agro-alimentare, è altrettanto vero che comunicare in modo chiaro ed efficace informazioni sulle emissioni di CO2 o sulla “tossicità” ecologica di un prodotto è difficile.

«L’attenzione per l’ambiente viene prima di tutto da organismi non governativi e da politici particolarmente illuminati – commenta Mauro Moresi, professore di tecnologie alimentari all’Università della Tuscia ed esperto di impatto ambientale. In genere la sensibilità “eco” scatta quando ci si rende conto che le risorse non sono infinite e che il riscaldamento globale comporta conseguenze molto concrete sulla popolazione». Poi vengono le aziende, attirate dal fattore sostenibilità come occasione per consumare meno acqua o meno energia e per accattivarsi le simpatie di una parte dei consumatori.

 

Per questo motivo, l’attenzione per l’ambiente si è tradotta soprattutto in sistemi di certificazione della gestione complessiva aziendale. «Esistono diversi tipi di certificazione – dice Maria Chiara Ferrarese di CSQA, ente di certificazione accreditato e specializzato in ambito agroalimentare – l’ISO 14001 garantisce la capacità di un’azienda di gestire i processi seguendo una vera e propria politica ambientale. L’ISO 14040 certifica l’analisi dell’impatto ambientale di un prodotto lungo l’intero ciclo di vita e l’ISO 5001 si riferisce alla gestione dell’efficienza energetica». Insomma, in questi casi, l’attenzione è tutta concentrata sui sistemi produttivi aziendali e la certificazione non riguarda la “qualità ambientale” dei singoli prodotti.

 

Un passo avanti in questa direzione l’ha fatto il sistema internazionale EPD (Environmental Production Declarations, Dichiarazioni ambientali di prodotto). Si tratta di uno schema per valutare i molteplici aspetti di un prodotto nell’arco dell’intero ciclo di vita. Diversi marchi italiani hanno ottenuto negli ultimi anni una certificazione EPD (vedi tabella).

«Anche questo riconoscimento  serve soprattutto come strumento di gestione e di comunicazione “tra pari” da parte dell’impresa – afferma Carla Sanz, funzionario tecnico di Accredia società nominata come organismo nazionale di accreditamento – ed è molto utilizzata per promuovere i propri prodotti nei circuiti di acquisti verdi all’interno delle pubbliche amministrazioni. Ma una dichiarazione EPD, oltre che essere molto tecnica, dice poco al consumatore anche quando si va a cercare sul sito».

 

In altri casi le aziende hanno scelto di focalizzare l’attenzione su aspetti collegati all’ambiente, come l’impronta di carbonio (carbon footprint) che quantifica i gas serra generati in tutte le fasi di produzione (misurati in quantità equivalenti di CO2). C’è anche l’impronta idrica (water footprint), relativa al consumo di acqua. Chi desidera avere una valutazione di questo tipo si rivolge a un ente di certificazione specializzato, anche se in molti casi (impronta idrica), non esistono standard internazionali condivisi. In questa direzione lavora anche Rainforest Alliance, un’associazione che certifica la sostenibilità di prodotti e servizi, ai quali poi appone i suoi loghi.

 

 «L’ISO però  sta lavorando su questi temi e probabilmente si arriverà presto a definire degli standard – commenta Elena Cervasio di DNV Business Assurance Italia, ente che calcola il water footprint di diversi prodotti italiani. Del resto negli ultimi anni registriamo un interesse crescente per queste valutazioni da parte delle aziende, soprattutto quelle di medie e grandi dimensioni, che più facilmente possono affrontarne i costi».

 

Il problema non ancora risolto riguarda la comunicazione ai consumatori, che cominciano a mostrare interesse verso indicazioni che permettono di valutare l’impatto ambientale dei prodotti alimentari. In alcuni casi il messaggio passa in modo semplice e chiaro come per il marchio Friend of the Sea, che certifica i prodotti da pesca e acquacoltura sostenibile (qui l’elenco dei prodotti).

 

Quando però si affronta il tema dell’impatto ambientale complessivo la faccenda si complica. Sappiamo quanto è difficile veicolare in etichetta le informazioni sui valori nutrizionali degli alimenti: figuriamoci se l’argomento è l’impronta idrica, le emissioni di CO2, la tutela della biodiversità o il consumo di risorse non rinnovabili. In alcuni paesi ci sono tentativi interessanti. In Francia è in corso una sperimentazione su etichette che dovrebbero comunicare ai consumatori l’impatto ambientale dei prodotti. Partecipano all’esperimento più di 150 imprese (non solo del settore alimentare) e ciascuna ha elaborato la propria strategia di comunicazione: dati grezzi, percentuali, barre colorate…

 

 Scorrendo alcuni esempi delle etichette proposte, viene qualche dubbio. Cosa vuol dire che 100 grammi di trota affumicata comportano l’emissione di 900 grammi di gas serra? O che 100 grammi di pisellini in scatola “costano”  0,9 litri d’acqua? O, ancora, che l’indice ambientale di un certo biscotto è del 34% per 100 grammi di prodotto? Se l’azienda si è presa la briga di partecipare al progetto, significa che probabilmente già propone prodotti virtuosi, ma il vero significato di questi dati resta incerto. Resta l’interrogativo per il consumatore di capire e di quantificare il valore riportato sull’etichetta.

Mentre si aspettano i risultati dello studio francese, molte aziende scelgono canali alternativi per comunicare le performance ambientali, affidandosi a campagne pubblicitarie e siti web. Anche ai consumatori non resta che aspettare: nel frattempo, per una stima veloce dell’impatto ambientale del proprio carrello della spesa si può sempre ricorrere al sito del WWF.

 

Valentina Murelli

Foto: Photos.com

 

Certificazioni EPD di prodotti italiani (all’8 maggio 2012)

 

Tipologia

Azienda

Prodotto

Birra

Carlsberg Italia

Tuborg

Birrificio Angelo Poretti Chiara Originale®

Birrificio Angelo Poretti Bock Chiara® and Birrificio Angelo Poretti Bock Rossa®

Carlsberg®

Pasta

  

Barilla

Pasta (formati classici, Piccolini, Specialità, Regionali)

De Cecco

Pasta

Latte

Granarolo

Latte fresco pastorizzato alta qualità

Prima natura bio

Latte fresco pastorizzato parzialmente scremato Piacere leggero

Acqua

  

  

  

Cerelia

Acqua minerale

San Benedetto

Acqua minerale

Ferrarelle

Acqua minerale

Coop

Coop Mineral Water

Prodotti da forno

Barilla

Pan Bauletto

Crackers sfoglia di grano

Fette biscottate Armonie

Biscotti Tarallucci

Biscotti Galletti

Pavesini

Wasa Husman

crackers fiori d’acqua

Biscotti Gocciole

Wasa havre

Wasa Original

Wasa Solruta Sesam

 

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Luigi Tozzi
Luigi Tozzi
15 Maggio 2012 11:13

Tutti questi sistemi non tengono in considerazione due cose. La prima è che stiamo valutando sistemi complessi, come quelli presenti nell’ecosistema e definire il consumo di acqua o l’emissione di CO2 può essere molto riduttivo.
La seconda è che anelli della catena di produzione hanno impatti differenti che devono essere valutati in modi differenti. Per esempio che impatto ha l’abbandono della terra sul paesaggio, la tutela ed erosione del suolo e la prevenzione di disastri naturali? E come lo calcolo? Con quale incidenza?
Un uomo sta su un territorio se questo produce un bene per se stesso e per la collettività. Se non lo produce per se stesso se ne va via..con tutti i danni per la conservazione dell’ambiente conseguenti.

Luigi Tozzi
Luigi Tozzi
15 Maggio 2012 11:16

Consiglio poi a tutti di leggere questo bel documento sul Low Carbon Economy redatto dalla Rete Rurale Nazionale
http://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7184