Secondo le stime più accreditate l’8% circa della spesa alimentare delle famiglie italiane finisce nel cestino dei rifiuti. Per limitare questo spreco, sono scesi in campo vari esperti spiegando come interpretare correttamente la data di scadenza sulle confezione dei prodotti alimentari. La materia non è semplice, e va detto senza ambiguità che in linea di principio la data di scadenza sulle confezioni va rispettata.
Secondo la norma l’intervallo è stabilito dal produttore, che per il periodo indicato sull’etichetta, deve garantire il mantenimento delle caratteristiche sensoriali e la presenza di un numero di batteri al di sotto dei limiti ritenuti pericolosi.
«Nel cibo fresco – precisa Antonia Ricci ricercatrice dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e membro del panel sui rischi biologici (Biohaz) dell’Efsa – con il passare del tempo si innescano alterazioni chimiche e si registra una crescita microbica in grado di cambiare le caratteristiche nutrizionali e organolettiche.
Questo fenomeno si registra in misura minore negli alimenti confezionati e “secchi”, come la pasta o il riso. Va però detto che solo in alcuni casi la perdita del gusto e l’incremento della carica microbica si associano ad un pericolo vero per la salute».
«Attenzione però – continua Ricci – per capire quando il prodotto non va consumato non basta valutare il sapore, l’odore e la fragranza. Gli alimenti possono essere contaminati da batteri patogeni come: Listeria, Campylobacter, Stafilococco o Salmonella che non modificano le caratteristiche sensoriali e fisiche dell’alimento, ma risultano pericolosi in particolare per persone anziane e bambini, ed in maggior misura se vengono consumati crudi o poco cotti.
Tali microrganismi possono essere presenti in quantità molto basse all’inizio del periodo di conservazione, ed aumentare, fino a diventare pericolosi, man mano che ci si avvicina, e si supera, la data di scadenza.
Il tema è complesso – conclude Ricci – soprattutto quando si parla di alimenti freschi da conservare a basse temperature, perché la durata riportata sulla confezione è correlata al rispetto della catena del freddo sia durante la commercializzazione, sia quando il cibo viene conservato nel frigorifero di casa.
Certo a volte la temperatura dei frigoriferi dei supermercati non è corretta, ma il problema maggiore riguarda quelli domestici che registrano spesso variazioni da 6 a 10°C, con punte di 12°C in prossimità della portiera, dove si trovano latte e uova».
Dopo questa doverosa premessa, esaminiamo le singole categorie merceologiche. Il presente è il primo di una serie di articoli, in cui si esaminerà la durata dei cibi. In particolare in questo tratteremo la situazione degli alimenti per i quali il legislatore non ha previsto l’obbligo di indicare la scadenza sull’etichetta.
Per prodotti come il pesce fresco e la carne fresca la legge non prevede indicazioni sulla scadenza (vedi nota*).
Ci sono però catene di supermercati che vendono questi alimenti confezionati in vaschette di polistirolo con un’etichetta, dove è indicata sia la data di confezionamento, sia quella di scadenza. Stabilire regole rigide è comunque difficile perché l’intervallo varia in funzione del tipo di pesce o di carne, della qualità microbiologica iniziale, del sistema di confezionamento (vedi tabella) e di altri fattori.
Per esempio nel settore ittico si passa da un intervallo massimo di due giorni dopo la cattura per il pesce azzurro, fino ad arrivare ai 4-5 per orate e branzini.
Anche per la carne non c’è uniformità: se gli hamburger e la carne trita preparata dal macellaio vanno consumati entro 48 ore, l’intervallo sale a 4-5 giorni per i tagli di manzo di medie dimensioni e arriva a 7-10 per le bistecche o altri tagli piccoli confezionati in atmosfera modificata. Per questo motivo è molto importante leggere attentamente le etichette (quando ci sono).
Ci sembra opportuno segnalare ai lettori l’articolo sulla temperatura dei frigoriferi degli italiani che raramente rispettano i +4°C che trovate cliccando qui.
Nei prossimi giorni seguiranno articoli sulle altre categorie merceologiche (latte, salumi formaggi…) e poi (pasta, riso, conserve…).
Alimenti per i quali non è prevista la data di scadenza(**) |
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Intervallo consigliato se la temperatura di conservazione è inferiore a +4° C | Perdita di caratteristiche organolettiche se consumato nei giorni successivi | Rischio microbiologico | |
Pesce fresco azzurro | max 2 giorni dalla cattura | elevata | Ridotto perché tutti i prodotti vengono consumati cotti |
Pesce fresco (salmone, orate, branzini…) | 4-5 giorni dalla cattura | elevata | |
Pesce fresco confezionato in atmosfera modificata | 7-8 giorni | elevata | |
Carne di manzo: tagli grossi, e parti intere | 5-6 giorni | elevata | |
Hamburger di manzo, carne trita, fettine di carpaccio | 48 ore dal confezionamento | elevata | |
Bistecche o tagli di carne piccoli confezionati in atmosfera modificata | da 7 a 10 giorni | elevata |
(*) In linea teorica, sulla base di quanto previsto in una circolare dell’allora Ministero dell’Industria che introdusse l’ambigua definizione di “alimenti preincartati”, essi sarebbero esentati dalla quasi totalità delle informazioni invece obbligatorie per i “preconfezionati”. Negli anni si sono tuttavia registrate alcune sentenze di condanna di operatori commerciali, per avere omesso di fornire notizie-chiave (come appunto scadenza e ingredienti) su alimenti di fatto confezionati in tempo e luogo diversi da quelli della “vendita diretta” al consumatore cui la predetta esenzione era ispirata.
Il legislatore nazionale dovrà quindi offrire chiarimenti a tale riguardo, nella fase di adeguamento del d.lgs. 109/92 alla disciplina introdotta col reg. (UE) n. 1169/2011 (vedi ebook L’Etichetta).
In ogni caso appare sin d’ora legittimo attendersi, da parte dei consumatori, un nucleo esaustivo di informazioni anche sugli alimenti cosiddetti preincartati. Ricordando tra l’altro che già ora il regolamento (CE) n. 1169/2011 vieta espressamente agli operatori di modificare o cancellare – cioè, non trasferire ai consumatori – le notizie ricevute dai loro fornitori, quando tali operazioni possano recare pregiudizio ai consumatori (articolo 8). (D.D)
(**) Indicazioni valide per prodotti confezionati non aperti e conservati correttamente in frigorifero
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
"Ci sono però catene di supermercati che vendono questi alimenti confezionati in vaschette di polistirolo con un’etichetta, dove è indicata sia la data di confezionamento, sia quella di scadenza."
Etichetta che quasi tutti i supermercati cambiano il giorno dopo o due giorni dopo altrimenti il cliente non comprerebbe la carne perché ha cambiato colore.
Per Luigi: quelle carni devono essere davvero vecchie per cambiare colore, ossia ossidarsi, poiché nella vaschetta è presente E300 Aciso Ascorbico ossia Vitamina C che funge da conservante antiossidante.
Per Luigi: che cosa c’entra il cambio dell’etichetta con il colore della carne? Se cambiano etichetta è perchè la carne è ancora vendibile. Se cambiano etichetta e la carne ha un "brutto colore" non risolvono il problema delle vendite in quanto il consumatore non sarà attirato nell’acquisto vedendo il colore.
il carpaccio solitamente viene consumato crudo!!!
Anche se la situazione sta lentamente migliorando, la temperatura dei "prodotti freschi" è comunque più critica nella fase distributiva che nella conservazione domestica. Statistiche eseguite nei banchi frigo della grande distribuzione indicano temperature al cuore dei prodotti sul banco frigo mediamente di 10°C +/-4,con punte anche significativamente più alte , specie nella parte esterna dei pallets durante le consegne e durante le operazioni di posizionamento. E’ in questa fase che anche bassissime cariche contaminanti possono riprendere vigore, e poi assumere maggiore importanza sanitaria nelle fasi successive sino al consumo.E’ per questo che il controllo ufficiale, e l’autocontrollo aziendale sono importantissimi nel periodo successivo alla liberazione del prodotto presso il produttore e l’acquisto da parte del consumatore, anche perché il facile sviluppo di microflora psicrofila, anche quella non patogena, porta ad alterazioni organolettiche indesiderate che possono vanificare significativamente i programmi qualitativi del produttore di alimenti.
io mi domando cosa ne fanno di tutti i prodotti da banco frigo che restano per un tempo indeterminato sui banconi delle casse degli ipermercati per via di clienti che per vari motivi preferiscono lasciare il prodotto e che poi un addetto dell’ipermercato passa a raccogliere con un carrello e quindi mi domando: che ne fanno? li rimettono al loro posto?
A parer mio il più grande dei problemi riguarda la conservazione durante il trasporto. Il consumatore finale spesso e volentieri non rispetta minimamente la catena del freddo anche in caso di cibi da consumarsi crudi o poco cotti.
in merito ai prodotti alimentari sfusi e/o confezionati, a parte la doverosa differenziazione tra le diverse tipologie (deperibili e non) dovrebbero essere tenute in considerazione esclusivamente le modalità di stoccaggio e conservazione. Per tale motivo il rispetto della catena del freddo è procedura essenziale, per il resto – data di scadenza e/o tmc, ritengo che siano soltanto elementi da considerarsi solo dal punto di vista commerciale. Sotto l’aspetto microbiologico, per i prodotti da consumarsi cotti non vi è alcun potenziale elemento di pericolosità , mentre per quelli che si possono consumare crudi, l’analisi organolettica del consumatore (colore-odore-sapore) dovrebbe essere sufficiente a determinare la commestibilità dell’alimento stesso. D’altro canto, la carica batterica è rilevabile soltanto da esami analitici specifici.