Sugli scaffali dei supermercati si trovano spesso bottiglie di olio extra vergine di oliva con la scritta Bassa Acidità proposta a caratteri cubitali. Si tratta di una dizione vietata da un regolamento europeo e considerata “fuorviante per il consumatore” perché, come scrivono in burocratese a Bruxelles, “fuori contesto induce erroneamente a creare una scala di qualità assoluta… in quanto questo criterio corrisponde ad un valore qualitativo unicamente nell’ambito delle altre caratteristiche dell’olio d’oliva considerato…”. La norma vieta la presenza di questa scritta sull’etichetta, ma nonostante ciò gli esperti di marketing e pubblicità continuano a costruire campagne promozionali basate proprio sulla bassa acidità per invogliare all’acquisto.
L’acidità dell’olio extra vergine
Ma cos’è l’acidità libera di un olio? Come si misura? Come viene percepita dal consumatore? Premesso che una volta il valore massimo di acidità per l’olio extra vergine d’oliva era l’1% (mentre adesso è stato ridotto allo 0,8%) per capire meglio la questione, bisogna dire che stiamo parlando di un condimento composto al 98-99% da trigliceridi (molecole ottenute dall’abbinamento tra glicerina e acidi grassi). Una piccola parte di questi acidi grassi non è legata alla glicerina, ed è proprio questa frazione che determina l’acidità. L’acidità nell’olio aumenta quando le olive sono danneggiate, oppure risultano infestate da alcuni insetti oppure vengono portate al palmento dopo alcuni giorni dalla raccolta. Per questa ragione un olio con bassa acidità (inferiore all’1%) è sempre stato considerato un prodotto eccellente ottenuto da olive sane.
L’innovazione è andata avanti e da almeno vent’anni il miglioramento delle tecniche di coltivazione e di estrazione consente di produrre oli con acidità libere inferiori rispetto ai parametri stabiliti dalla legge. Per questo motivo l’indicazione dell’acidità ha perso una parte del significato originario. Per il consumatore non è così. La scritta “Bassa acidità” è ancora vissuta dai consumatori come un indice che attesta la buona qualità dell’olio e per questo molte campagne promozionali la usano per catturare l’attenzione degli acquirenti.
Il marketing
L’insistenza delle campagne pubblicitarie basate sulla bassa acidità dell’olio ha disturbato anche l’Unione europea che nel 2002 (ndr Reg. 1019/02 poi modificato dal 29/2012) ha vietato l’utilizzo di questo concetto come strumento di marketing, se non accompagnato da altri parametri chimici che, nell’insieme, forniscono un profilo qualitativo dell’extra vergine in bottiglia. In particolare gli altri valori che il legislatore ha voluto venissero inseriti in etichetta sono tre: numero dei perossidi, indice spettrofotometrico e cere. Tutti sono correlati con la genuinità e la freschezza dell’olio.
Nonostante la legge comunitaria abbia più di dieci anni di vita resistono sugli scaffali del supermercato (vedi foto a sx) diverse bottiglie con la dicitura Bassa Acidità scritta in caratteri tipografici cubitali. Alcune aziende hanno addirittura registrato loghi e marchi con all’interno la scritta. Uno stop è arrivato recentemente da un parere della Repressione Frodi, l’autorità del Ministero delle politiche agricole che si occupa di vigilare sulle contraffazioni e adulterazioni alimentari.
La posizione della Repressione Frodi
In particolare il testo sottolinea che “l’articolo in questione (ndr art 5 lettera d regolamento 29/2012) non sembra derogare l’utilizzo nel dispositivo di etichettatura di marchi contenenti un riferimento all’acidità e, pertanto, devono essere considerati un mero riferimento che implica il rispetto della predetta disposizione comunitaria”. La dicitura Bassa Acidità era e resta, dunque fuorilegge se non accompagnata dagli altri parametri chimici citati in precedenza. C’è di più. Anche se l’olio riporta i valori richiesti, la scritta Bassa Acidità può essere riportata sull’etichetta ma deve avere gli stessi caratteri tipografici delle altre indicazioni chimiche ed essere nello stesso campo visivo. Stop quindi alla scritta a caratteri tipografici giganti a fianco del logo.
D’altronde valutare un olio solo sulla base dell’acidità è come basarsi sul solo grado alcolico per l’acquisto del vino. Nessuno pensa che una bottiglia con grado alcolico 13 sia migliore di quella con grado alcolico 12,5. La scelta deve basarsi su altri fattori. Lo stesso dovrebbe valere per l’acidità dell’olio che, tanto per sfatare un altro mito, non si può avvertire in bocca. La sensazione di piccante o di pungente che si avverte, specie nel prodotto di fresca spremitura, non dipende infatti dall’acidità. Un olio molto piccante non è necessariamente molto acido: contiene invece molti polifenoli, antiossidanti dall’alto valore salutistico. Sono infatti queste molecole a dare la sensazione di piccante, e anche di amaro, all’extra vergine.
© Riproduzione riservata Foto: Photos.com
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
giornalista direttore Teatro Naturale