L’antibiotico resistenza è un problema sempre più evidente, sia per gli esseri umani sia per animali. Si tratta della capacità dei microrganismi di resistere ai trattamenti farmacologici, rendendo inefficaci le terapie. Per questo motivo anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha ribadito la necessità di ridurre l’uso, e soprattutto l’abuso, degli antibiotici negli animali da reddito per preservare la salute pubblica. In particolare gli antimicrobici impiegati in medicina umana dovrebbero essere usati negli animali solo come estremo rimedio. Per raggiungere l’obbiettivo non esiste una soluzione universale, e le strategie di successo si basano su un approccio integrato e multifattoriale che tiene conto dei sistemi di produzione locali del bestiame e coinvolge tutti i soggetti interessati, dai governi agli agricoltori.

“Ci sono solo pochi antibiotici nuovi in fase di sviluppo, quindi quelli già disponibili devono essere utilizzati in modo responsabile, sia nell’uomo sia negli animali. La raccolta di dati sulla resistenza agli antimicrobici e sul consumo di antibiotici è la chiave per mettere in atto misure efficaci per controllare l’antibiotico resistenza e mantenere l’efficacia degli antimicrobici a beneficio della salute pubblica e degli animali “, dice il professor Guido Rasi, direttore esecutivo dell’Agenzia europea per i medicinali.

Antibiotico resistenza
Per combattere l’antibiotico resistenza occorre ripensare il sistema zootecnico con l’attuazione di pratiche di allevamento che prevengano la diffusione di malattie

Gli esperti dell’Efsa sottolineano che per curare le malattie infettive negli animali questi tipi di farmaci vadano limitati il più possibile e che il loro uso “preventivo” dovrebbe essere gradualmente abbandonato a favore di misure alternative. Tra le più efficaci si segnalano vaccini, probiotici, prebiotici, batteriofagi e acidi organici.

Ma forse la presa di posizione più innovativa da parte dell’Autorità europea è il suggerimento a “ripensare il sistema zootecnico con l’attuazione di pratiche di allevamento che impediscano l’introduzione e la diffusione della malattia negli allevamenti, prendendo in considerazione sistemi alternativi che siano fattibili anche con un uso ridotto degli antimicrobici”. Fondamentale a questo scopo incrementare dei percorsi di educazione e sensibilizzazione verso tutti i livelli della società, ma in particolare tra veterinari e allevatori.

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ezio
ezio
7 Febbraio 2017 13:08

La lentezza e la letargia delle istituzione più qualificate e dotate di mezzi e ricercatori, non può essere ignoranza ne insensibilità, ma ci deve essere qualche altra ragione dell’enorme ritardo nelle reazioni ad evidenti rischi sanitari causati da metodi e trattamenti delle materie prime, allevamenti ed alimenti trasformati, di cui questo dell’antibiotico resistenza può essere considerato l’emblema più recente e più grave.
Non dimentichiamoci con quale ritardo e con che conseguenze si era autorizzata l’alimentazione di bovini ed ovini con farine di carne. Epidemie di “mucca pazza” in tutta Europa.