Salmonella, Campylobacter, Listeria: sono solo alcuni dei batteri patogeni responsabili di alcune delle 250 infezioni alimentari esistenti. Secondo le statistiche nel mondo una persona su dieci l’anno si ammala dopo aver ingerito cibo contaminato mentre 420 mila muoiono ogni anno proprio a causa delle infezioni. I dati sono stati raccolti e riportati nel documento dell’Oms “Estimates of the global burden of foodborne diseases”, pubblicato a dicembre 2015. Esistono però moltissimi casi non registrati di dissenteria, dolori addominali, malesseri lievi causati dal cibo ingerito che non spingono le persone ad andare dal medico.
Se il rischio zero non esiste, è tuttavia possibile adottare alcuni accorgimenti per evitare spiacevoli sorprese quando si mangia fuori casa. Le offerte per un pasto diverso dal solito sono molteplici: dal classico ristorante all’etnico, passando per bar, fast food e locali con aperitivi preparati dietro il bancone senza disporre di una vera cucina. È probabile che molti locali dove si consumano happy hour, di cui Il Fatto Alimentare ha già parlato in un precedente articolo, siano più a rischio rispetto a un ristorante tradizionale. Ma andiamo con ordine per capire quali siano gli elementi da controllare quando andiamo al ristorante.
L’igiene del ristorante
In linea generale la pulizia delle toilette, dei banconi e dei pavimenti è il primo requisito per capire se fidarsi. È importante controllare se posate, bicchieri e piatti siano senza aloni o macchie, se la tovaglia è pulita e se a ogni cambio di cliente il tavolo viene apparecchiato di nuovo. «Molti ristoranti si sono attrezzati con una rete di telecamere o con ampie vetrate che ci permettono di vedere come si comporta il personale in cucina», racconta Antonello Paparella, docente di microbiologia all’Università di Teramo. Quando si riesce a dare un’occhiata ai fornelli nelle cucine a vista è bene notare se lo chef e il personale addetto alla preparazione dei piatti abbiano un abbigliamento bianco (così si vedono bene le macchie di sporco) e indossino un copricapo o la cuffietta.
Il personale in sala, invece, non è tenuto a indossare un copricapo e la divisa deve essere diversa. Molto più difficile è valutare se le temperature dei banchi frigoriferi, dove sono esposti gli antipasti o altri piatti pronti, siano corrette. È invece impossibile capire la presenza di un contaminante valutando l’aspetto, l’odore, il sapore o il colore di un alimento.
Dessert e antipasti
«La gestione dei dessert e degli antipasti – commenta Paparella – ci dà un’idea dell’attenzione per la sicurezza. Se questi piatti sono conservati in vetrine all’aperto posizionate in luoghi di passaggio, il più delle volte si tratta di banchi che difficilmente assicurano la conservazione a 4°C come prescrive la legge e c’è anche il rischio che gli alimenti vengano contaminati da agenti esterni». Lo stesso discorso vale per il pesce, spesso esposto senza protezione su vassoi coperti da un letto di ghiaccio: «in questo caso la temperatura è vicina a 0°C solo nella zona di contatto tra pesce e ghiaccio. La vetrina del pesce deve essere refrigerata, chiusa e mantenuta a una temperatura possibilmente vicina a 1-2°C e comunque inferiore a 4°C. Il termometro della vetrina dovrebbe essere visibile dall’esterno».
La cura per i dettagli
Anche dalle guarnizioni si può comprendere il livello di cura per i dettagli: «capita di osservare che le foglie di insalata sulla carne o il prosciutto crudo sulla pizza a termine cottura vengano messi dal personale di sala. Si tratta di un errore frequente perché i camerieri portano via anche i piatti sporchi e questo incrocio di lavoro potrebbe incidere negativamente sull’igiene del piatto. Gli ingredienti andrebbero toccati solo dal personale di cucina».
L’extravergine al ristorante: il tappo antirabbocco
Infine – ricorda Paparella – l’olio extravergine di oliva deve essere conservato in bottiglie originali antirabbocco. Tra le buone pratiche dettate dal buon senso e non dalla legge, vi sarebbe anche la necessità di indicare sul menù l’utilizzo di acqua microfiltrata e di avere anche a disposizione l’alternativa in bottiglia. «Infine non si dovrebbe mai tenere l’olio con peperoncino fresco sui tavoli a temperatura ambiente. L’olio con peperoncino fresco e l’olio con aglio sono prodotti a rischio botulismo e dovrebbero essere conservati al fresco o ancora meglio in frigorifero*».
L’importanza del menu
Anche la lettura del menù può dare qualche spunto: una carta fatta bene riporta sempre gli ingredienti e – per legge – anche la presenza di allergeni oltre ai prezzi e l’indicazione del pesce o di altri cibi surgelati. Un termine che non è sinonimo di congelare. Un tempo la differenza tra congelamento e surgelazione si basava sulla velocità di congelamento, più alta per la surgelazione, mentre oggi la maggior parte dei processi di congelamento industriale avviene alla stessa velocità della surgelazione.
Quando il congelamento è lento, come può accedere nel congelamento domestico utilizzando un freezer e non un congelatore a -30°C, si possono formare macrocristalli di ghiaccio che durante lo scongelamento danneggiano le cellule dell’alimento e determinano una perdita di nutrienti e una diminuzione di qualità. «Con surgelazione – spiega Paparella – intendiamo un processo che avviene solo negli stabilimenti industriali, prevede il confezionamento dell’alimento e un’etichettatura più completa in cui si riportino le condizioni di conservabilità del prodotto in funzione della tipologia di frigorifero (asterischi del freezer), i metodi di preparazione corretti. I requisiti sono più stringenti».
Il pesce crudo al ristorante
L’abbattimento, infine, è una riduzione rapida della temperatura fatta in uno speciale apparecchio e può interessare sia i piatti caldi che quelli freddi. «Il primo caso, chiamato abbattimento positivo, si utilizza per raffreddare velocemente piatti caldi come i sughi e gli arrosti che passano dai 90 a 4°C in pochissimo tempo, per essere poi conservati in frigorifero. Per il pesce, invece, si usa l’abbattimento negativo perché si passa dalla temperatura del frigorifero a -18°C al massimo in 4 ore attraverso un flusso di aria ad alta velocità a -40°C. A differenza della surgelazione, il prodotto abbattuto non è confezionato perché viene utilizzato in breve tempo dopo l’abbattimento».
L’abbattimento è obbligatorio quando il ristorante serve piatti di pesce crudo, marinato o comunque preparato in maniera da non garantire l’inattivazione dei parassiti. «Poiché è un obbligo di legge – commenta Paparella – il trattamento non viene indicato nel menù. È implicito». Il pesce viene poi mantenuto nell’abbattitore per il tempo necessario, secondo le caratteristiche e le esigenze del ristorante (grandezza dell’abbattitore, volumi di vendita ecc…).
«Il pesce raffreddato con l’abbattitore mantiene le caratteristiche del pesce fresco, tranne che per una lieve diminuzione del contenuto vitaminico. Se però la conservazione si protrae oltre una settimana, in un prodotto non confezionato ci può essere una diminuzione di qualità dovuta a bruciature da freddo e ossidazione dei grassi». Le norme, per quanto riguarda questi aspetti, sono spesso locali ed è quindi difficile generalizzare. I controlli sui ristoranti che servono pesce crudo sono rigorosi e grazie alla documentazione obbligatoria è possibile risalire all’origine del prodotto e allo sua storia (congelato, surgelato, da quanto tempo…).
(*) Nota
Come ampiamente documentato dalla letteratura internazionale (es. Peck 2006), purtroppo i casi di botulismo alimentare non riguardano soltanto conserve tradizionali sottoposte a trattamento insufficiente, inferiore al cosiddetto Minimum Botulinum Cook (i tre minuti a 121°C giustamente menzionati dal lettore). Infatti esistono molti altri prodotti, diversi dalle conserve tradizionali, nei quali si possono manifestare le seguenti condizioni che favoriscono la germinazione di spore di C. botulinum eventualmente presenti e la formazione di tossina botulinica: 1. anaerobiosi; 2. attività dell’acqua (aw), pH e temperatura superiori ai valori minimi di germinazione; 3. scarsa competizione con altri microrganismi.
In questi prodotti, la gestione del rischio di formazione di tossina botulinica non è affidata a procedure di sterilizzazione ma al controllo degli altri fattori microecologici che condizionano germinazione e tossinogenesi, in particolare pH, aw, temperatura di conservazione. Gli oli aromatizzati, come l’olio con spicchi di aglio e l’olio con peperoncino fresco, rientrano in questa categoria di prodotti, com’è evidenziato nelle Linee guida nazionali per le conserve domestiche alla pagina 88.
In particolare, l’olio con aglio è stato la causa di 36 casi di botulismo alimentare da C. botulinum tipo B in Canada nel 1985 e altri 3 casi negli Stati Uniti nel 1989. Dopo questi ultimi casi, le autorità sanitarie americane hanno rimarcato l’importanza di conservare questi oli aromatizzati a temperatura di refrigerazione, a meno che non siano state utilizzate altre procedure per impedire la germinazione e la tossinogenesi, es. acidificazione.
Poiché gli oli aromatizzati serviti allo stato sfuso nella ristorazione, quelli di cui si parla nell’articolo de Il Fatto alimentare, sono in genere preparati dallo stesso ristoratore con peperoncini o erbe aromatiche fresche, non essiccate e non acidificate, non è possibile escludere il rischio di formazione di tossina botulinica, soprattutto se il prodotto è conservato a temperatura superiore a +10°C. Per questo nell’articolo si parlava di conservazione al fresco o meglio refrigerazione, anche se è evidente che nessun ristoratore conserverà a 4°C le ciotole o le bottiglie, proprio per evitare la cristallizzazione. A proposito di quest’ultimo fenomeno, esistono tuttavia studi e brevetti mirati a consentire la conservazione refrigerata dell’olio extravergine di oliva, per esempio mediante l’applicazione di ultrasuoni.
In conclusione, conformemente a quanto indicato nelle linee guida nazionali sulle conserve domestiche, alla stesura delle quali ho personalmente collaborato, per gli oli aromatizzati usati nella ristorazione le soluzioni sono due:
1. acidificare o disidratare il peperoncino, l’aglio o le erbe aromatiche, in modo da creare condizioni di pH e/o aw sfavorevoli alla germinazione;
2. conservare il prodotto a temperatura inferiore a 10°C, magari tra 8 e 9°C in modo da limitare la cristallizzazione dei trigliceridi e sfavorire la formazione di tossina botulinica. Tuttavia, poiché alcuni ceppi di Cl. botulinum possono sviluppare a partire da 3°C, la soluzione più sicura è quella della acidificazione o disidratazione.
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redazione Il Fatto Alimentare
Ho solo un appunto sulla questione dell’olio al peperoncino / all’aglio: nell’articolo viene detto “L’olio con peperoncino fresco e l’olio con aglio sono prodotti a rischio botulismo e dovrebbero essere conservati al fresco o ancora meglio in frigorifero”, scusate ma il botulismo non viene eliminato solo applicando le idonee temperature di sterilizzazione (parlo dei classici 121 °C per 3 minuti o un rapporto tempo/temperatura equivalente), cosa centra lo stoccaggio in frigorifero??
E ancora, ponendo l’olio in frigorifero, esso non cristallizza comportando quindi un peggioramento delle caratteristiche organolettiche?
Controllate sempre quello che scrivete, mi raccomando…
Luca
Come ampiamente documentato dalla letteratura internazionale (es. Peck 2006), purtroppo i casi di botulismo alimentare non riguardano soltanto conserve tradizionali sottoposte a trattamento insufficiente, inferiore al cosiddetto Minimum Botulinum Cook (i tre minuti a 121°C giustamente menzionati dal lettore). Infatti esistono molti altri prodotti, diversi dalle conserve tradizionali, nei quali si possono manifestare le seguenti condizioni che favoriscono la germinazione di spore di Cl. botulinum eventualmente presenti e la formazione di tossina botulinica: 1. anaerobiosi; 2. attività dell’acqua (aw), pH e temperatura superiori ai valori minimi di germinazione; 3. scarsa competizione con altri microrganismi. In questi prodotti, la gestione del rischio di formazione di tossina botulinica non è affidata a procedure di sterilizzazione ma al controllo degli altri fattori microecologici che condizionano germinazione e tossinogenesi, in particolare pH, aw, temperatura di conservazione. Gli oli aromatizzati, come l’olio con spicchi di aglio e l’olio con peperoncino fresco, rientrano in questa categoria di prodotti, com’è evidenziato nelle Linee guida nazionali per le conserve domestiche alla pagina 88.
In particolare, l’olio con aglio è stato la causa di 36 casi di botulismo alimentare da Cl. botulinum tipo B in Canada nel 1985 e altri 3 casi negli Stati Uniti nel 1989. Dopo questi ultimi casi, le autorità sanitarie americane hanno rimarcato l’importanza di conservare questi oli aromatizzati a temperatura di refrigerazione, a meno che non siano state utilizzate altre procedure per impedire la germinazione e la tossinogenesi, es. acidificazione.
Poiché gli oli aromatizzati serviti allo stato sfuso nella ristorazione, quelli di cui si parla nell’articolo de Il Fatto alimentare, sono in genere preparati dallo stesso ristoratore con peperoncini o erbe aromatiche fresche, non essiccate e non acidificate, non è possibile escludere il rischio di formazione di tossina botulinica, soprattutto se il prodotto è conservato a temperatura superiore a +10°C. Per questo nell’articolo si parlava di conservazione al fresco o meglio refrigerazione, anche se è evidente che nessun ristoratore conserverà a 4°C le ciotole o le bottiglie, proprio per evitare la cristallizzazione. A proposito di quest’ultimo fenomeno, esistono tuttavia studi e brevetti mirati a consentire la conservazione refrigerata dell’olio extravergine di oliva, per esempio mediante l’applicazione di ultrasuoni.
In conclusione, conformemente a quanto indicato nelle linee guida nazionali sulle conserve domestiche, alla stesura delle quali ho personalmente collaborato, per gli oli aromatizzati usati nella ristorazione le soluzioni sono due:
1. acidificare o disidratare il peperoncino, l’aglio o le erbe aromatiche, in modo da creare condizioni di pH e/o aw sfavorevoli alla germinazione;
2. conservare il prodotto a temperatura inferiore a 10°C, magari tra 8 e 9°C in modo da limitare la cristallizzazione dei trigliceridi e sfavorire la formazione di tossina botulinica. Tuttavia, poiché alcuni ceppi di Cl. botulinum possono sviluppare a partire da 3°C, la soluzione più sicura è quella della acidificazione o disidratazione.
molto chiaro sig. Antonello, grazie mille! non sapevo queste cose, ci starò attento…
Luca
Tornando alla scelta dei ristoranti mi fa piacere che anche voi abbiate stimmatizzato questo recente e di cattivo gusto, vezzo dell’abbigliamento “nero” in cucina…
Le tenute nere sono sempre state tipicamente utilizzate nei lavori …sporchi: gli spazzacamini, i macchinisti…il grigio preferito dai nostri falegnami della Brianza, dai vecchi “spurgatori” degli ospedali…
Basta con le divise da cuochi nere come spazzacamini nei vari programmi di cucina televisivi tanto di moda.
Vi seguo sempre con molto interesse ed ho divulgato la vostra conoscenza.
F
Il cameriere in nero va bene? Spesso si vede l’ abbinamento bianco/nero o bianco/bordeaux….grazie,
Cristina