Legambiente, in collaborazione con Alce Nero, anche quest’anno ha pubblicato i risultati del report Stop pesticidi nel piatto, che analizza, con uno screening capillare sul territorio italiano, la presenza dei fitofarmaci negli alimenti. Il dossier, presentato a Roma il 19 dicembre 2023, evidenzia il ruolo della politica e affronta le tematiche relative a possibili alternative e soluzioni. Lo studio relativo al 2022 ha preso in considerazione 6.085 campioni di alimenti di origine vegetale e animale provenienti da agricoltura biologica e convenzionale di 15 regioni italiane.
L’analisi mira a fornire una panoramica, dal campo alla tavola, facendo un focus sull’urgenza di approvare una legge nazionale sul multiresiduo che, sulla base delle evidenze scientifiche, vieti la compresenza di principi attivi. Non ultimo l’Italia deve applicare la strategia europea From Farm to Fork che ha, tra gli altri, l’obiettivo di ridurre del 50% l’utilizzo dei fitofarmaci entro il 2030.
I risultati dello studio
Se da un lato l’associazione registra una diminuzione (dal 44% al 39%) dei campioni con con tracce di pesticidi nei limiti di legge, rispetto all’anno precedente, e un aumento dei campioni senza residui (dal 54% al 59%), dall’altro lato ha sollevato non poche preoccupazioni riscontrare, seppur nei limiti di legge, tracce di un fitofarmaco nel 15% dei campioni e diversi residui nel 23% dei campioni regolari.
Le analisi hanno rintracciato ben 95 sostanze attive nei campioni analizzati ma, il multiresiduo è quello che desta maggiori preoccupazioni per i potenziali effetti sinergici sull’organismo umano del cosiddetto ‘cocktail di fitofarmaci’. Per questo Legambiente chiede “una legge specifica che, sulla base delle attuali evidenze scientifiche, vieti la compresenza di principi attivi”.
Tra i pesticidi da segnalare, le analisi hanno rilevato residui di neonicotinoidi non più ammessi. Il Thiacloprid e presente in campioni di pesca, pompelmo, ribes nero, semi di cumino e tè verde in polvere. L’Imidacloprid è stato trovato in campioni di arance, limoni e ocra, mentre Thiamethoxam in un campione di caffè.
Nella frutta rilevati più residui di pesticidi
L’analisi è stata fatta su quattro categorie: frutta, verdura, prodotti trasformati e alimenti di origine animale. La categoria più colpita è la frutta: ben il 68% dei campioni è risultato contaminato da uno o più pesticidi, contro il 30% senza residui. Il restante 2% dei campioni è addirittura irregolare. Nella frutta esotica, in particolare banana, mango e kiwi, è stata riscontrata la percentuale più alta di irregolarità pari al 7%. Tendenza inversa per la verdura dove il 69% dei campioni regolari è privo di residui, il 30% con una o più tracce e l’1,5% irregolari.
Nella categoria dei prodotti trasformati la percentuale di irregolarità è pari allo 0,7%, mentre i campioni regolari senza residui sono il 63,1%. La percentuale di alimenti con uno o più residui è del 36,2%. I prodotti con la più alta percentuale di residui rilevabili sono la farina e la pasta integrale (71,2%) e il vino (50,8%). Tra gli alimenti di origine animale, su 921 campioni analizzati, ben l’88,2% è risultato priva di residui.
Agricoltura convenzionale e biologica
Buone notizie sulle analisi effettuate su 5.940 campioni da agricoltura convenzionale, da cui emerge che solo l’1,6% degli alimenti risulta irregolari. I campioni regolari senza residui sono il 59,2%, regolari con un solo residuo il 15,7% e regolari con più di un residuo il 23,5%. I prodotti biologici presentavano residui solo nell’1,38% dei campioni, probabilmente a causa dell’‘effetto deriva’ determinato dalla vicinanza ad aree coltivate con i metodi dell’agricoltura convenzionale.
Con il report, frutto della collaborazione con medici, esponenti del mondo della ricerca e docenti universitari, Legambiente e Alce Nero hanno voluto porre l’attenzione sull’importanza di interventi concreti delle istituzioni nazionali ed europee. Se da un lato si chiede maggiore sensibilità da parte dei cittadini, non dimentichiamo che le decisioni politiche sono indispensabili per cambiare direzione.
Il ruolo della politica nella riduzione dei pesticidi
Come ha evidenziato il report, i numeri ci dicono che c’è stata una diminuizione, anche se minima, della presenza di fitofarmaci negli alimenti, ma il dato non è soddisfacente. Gli strumenti per raggiungere questo obiettivo, come dichiara il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti, ci sono ma desta preoccupazione la mancata approvazione del SUR, dispositivo emanato dalla Commissione Europea che regola e limita l’utilizzo di fitofarmaci. È anche urgente adottare in Italia il PAN (Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari), la cui ultima stesura risale al 2014.
L’associazione inoltre sta portando avanti la battaglia contro il glifosato. Con il lancio della campagna ‘Glifosato free’, Legambiente premia le aziende che hanno messo al bando l’erbicida, nonostante la proroga di ulteriori dieci anni dell’utilizzo di questa sostanza che mette a rischio salute umana, biodiversità ed ecosistemi.
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profondamente convinto che la concorrenza sia la vera anima del commercio, ritengo che sia utile avere a disposizione anche agricoltura integrata che voi chiamate “convenzionale” per quelle aziende che non possono o non vogliono fare bio che, d’altra parte, non è fattibile in tutti gli ambienti.
saluti
L’agricoltura biologica ha certo delle pecche ( il rame per esempio ), ma ha vantaggi complessivi, non danneggia l’ambiente e al contrario lo arricchisce, utilizza poca energia fossile e pochi artefatti sintetici, è sostenibile nel tempo, e non insidia nemmeno la salute umana.
Si può non essere d’accordo, si possono enfatizzarne i limiti e i difetti, si può essere contrari, ma non si dovrebbe negare, che essa sia una realtà seria, spesso molto interessante anche per le rese quantitative e per i redditi che assicura (essendo i prezzi maggiori ma non ingiusti o speculativi).
Tra i sostenitori ci sarà certo qualche infatuato steineriano ( che non è una offesa, anzi fa sorridere ) ma la maggior parte sono persone sensate, che studiano e si informano, che reputano importante impegnarsi di persona.
Sappiamo bene che senza l’impegno di tutti la battaglia per l’ambiente è persa, o no?.
Il pericolo sbandierato è la posizione “oscurantista”, che nega prima la cosidetta meraviglia dei fertilizzanti chimici e dei pesticidi e ora gli organismi geneticamente modificati, che per la maggior parte di uno o entrambi hanno assoluto bisogno.
I problemi singoli e complessivi che incontrano tante colture italiane, potrebbero essere risolti utilizzando piante modificate, perbacco!
Ma è completamente falso, non è l’agricoltura biologica a frenare il convenzionale ma il contrario attraverso leggi e distribuzione dei fondi nazionali e comunitari, questo tratto non è negabile e nemmeno controverso, parola di moda.
Paradossale quando purtroppo la maggior parte delle nostre colture portano a una grave diminuzione della fertilità del suolo, da supplire con costanti e incrementali concimazioni, all’inquinamento delle falde, e sono voraci di energia e appunto di artefatti sintetici massicci.
Le magagne sono una costante delle attuali forme super-intensive di coltivazione in frutticoltura e orticoltura (come anche nell’allevamento): risoltane una con moltissima fatica (e spesa), ne salta subito fuori un’altra, in genere più grave, però questi sistemi rendono soldi.
E certo sarebbe bello poter venircene fuori solo con l’ingegneria genetica.
Ma è un mito, oggi, l’inversione di tendenza non c’è, ancora.
Nella maggior parte dei casi le piante geneticamente modificate hanno dimostrato di parare parzialmente il problema per il quale sono state concepite, poi in genere gli svantaggi cominciano a superare i vantaggi. In molti casi lo scacco è stato totale, quasi un suicidio.
Questi sono i fatti, oggi.
Certo ci saranno dei risultati migliori in futuro, anzi forse……. anche noi pochi, dubbiosi e contrari, lo auspichiamo. E il loro impiego implica, a fronte di alcuni vantaggi da dimostrare in solido e nel tempo, anche rischi di vario tipo e gravità, che purtroppo non sono ipotesi ma fatti dimostrati.
Non deve mancare infine la fame nel mondo, la malnutrizione e amenità varie, che urgono miliardi di persone non ancora nate.
A parte il fatto che gli affamati sono tali quasi sempre perchè dalla parte sbagliata delle prove di forza, che quasi metà popolazione mondiale è sovrappeso, che tonnellate e tonnellate di cibo vanno buttate ogni giorno, soprattutto nei paesi che hanno estratto spaventosamente risorse dal proprio territorio ma anche da quelli di svantaggiati terzi-mondi, e ora ci indicano la via in vitro e/o simili, per continuare come usuale, il mercato consumistico.
Molti paesi compreso il nostro hanno disboscato, sbancato, scavato tutto lo scavabile per fare cibo ma ora hanno la pretesa di impedire a paesi sovrani di fare altrettanto, eh beh lo dice la scienza climatica, _allarmeee_ dobbiamo ri-boscare il territorio, degli altri…………
Parlano gli stessi che hanno maggiore responsabilità nell’inquinamento e nel peggioramento climatico, estendendo il problema con la delocalizzazione a scopo di lucro delle attività più problematiche, ma niente paura , andrà tutto bene perchè in futuro le delocalizzazioni andranno a sporcare la Luna e Marte e poi chissà dove….e chissà se ci saranno fondi per ripulire la Terra, a parte l’azione biologica e le vecchie, bistrattate, obsolete forze della natura.
analisi impeccabile che condivido appieno
Buongiorno, ci sono novità (studi grossi, intendo , metanalisi ecc.) che la compresenza di principi attivi abbia un reale effetto sull’organismo? A quanto avevo letto qualche mese fa no.
Grazie
Per passare alle cose importanti, il denaro in primis, per ottenere lo stesso quantitativo di cibo i biocoltivatori devono occupare una buona percentuale di terreno in più, i terreni coltivabili non saranno sufficienti per sfamare il mondo.
La spiegazione è che i biocoltivatori non spremono il substrato come fosse una spugna ma cercano di arricchire ogni metro cubo di vita organica.
Non ci si sfama il mondo con tutta questa terra?
Bene ma dove mettete le sterminate estensioni di terreni coltivati per fare biocarburante e sdoganare i combustibili fossili con la semplice miscelazione? e quelli per fornire cibo agli animali da allevamento? e quelli dove è meglio non coltivare perchè avvelenati?
I terreni coltivati a bio producono meno ma si arricchiscono di sostanza organica anzichè dover essere pesantemente addizionati chimicamente.
Ma sembra non sia buona idea competere con l’arricchimento industriale dove prosperano tante filantropiche multinazionali che danno lavoro a tanti operai, e fanno arricchire tutto l’indotto.
La bilancia pende verso il denaro, indubbiamente, ma con tanti miopi malintesi.
Se non basta la revisione di Cambridge che ha esaminato 343 studi precedenti, e ha emesso chiaro assenso alla specificità del cibo biologica, e se non basta la certezza che si usano meno pesticidi chimici dannosi……
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7019963/
——–Mentre i risultati di questa revisione sistematica hanno mostrato risultati positivi significativi da studi osservazionali in diverse aree, tra cui una ridotta incidenza di sindrome metabolica, alto BMI, linfoma non Hodgkin, infertilità, difetti alla nascita, sensibilizzazione allergica, otite media e pre-eclampsia, l’attuale base di prove non consente una dichiarazione definitiva sui benefici per la salute a lungo termine dell’assunzione alimentare organica. Il consumo di alimenti biologici è spesso legato a pratiche dietetiche generali più sane e a livelli più bassi di sovrappeso e obesità, che probabilmente saranno influenti nei risultati della ricerca osservativa.
Chi la dovrebbe redigere la dichiarazione definitiva? Bay..? Syn…..? B.G.?
Inoltre sembra che l’interesse per il biologico stimoli il desiderio di conoscere meglio i buoni stili di vita.
Miracoli non ne fa nessuno e i moribondi non guariscono dopo aver mangiato un pasto a base di biologico, ma se i vantaggi vi sembrano pochi……….