L’ocratossina A (Ota) è una micotossina potenzialmente pericolosa per la salute umana, prodotta da alcuni funghi appartenenti ai generi Aspergillus e Penicillium. L’esposizione prolungata a Ota può avere effetti negativi su fegato e reni; inoltre, a giudizio dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, si tratta di un possibile cancerogeno.
Per questo motivo, in Europa esistono dei limiti di legge alla presenza di Ota in alcuni alimenti, come cereali e derivati, frutta secca, caffè, vino, bevande alcoliche e prodotti per l’infanzia. Non ci sono limiti europei, invece, per le carni e i formaggi. In Italia, è stato fissato il limite di 1 microgrammo per chilo solo nel caso della carne di suino.
E per le altri carni? E per i formaggi? Siamo sicuri che non contengano Ota?
A queste domande cerca di rispondere un’équipe di ricerca del Dipartimento di Scienza degli alimenti dell’Università di Parma, grazie a una serie di studi avviati da alcuni anni e allo sviluppo di nuovi metodi di analisi.
«Il problema», risponde Chiara Dall’Asta, una delle ricercatrici del gruppo, «può essere rappresentato da una contaminazione della superficie dell’alimento con una muffa particolare, il Penicillium nordicum. Quest’ultimo cresce su cibi di natura grassa e proteica come prosciutti e formaggi, e in presenza di sale tende a produrre ocratossina A. Il rischio è che durante le operazioni di taglio o di foratura, la tossina passi dalla superficie all’interno del prodotto».
L’ultima indagine scientifica pubblicata dal gruppo di Parma riguarda i formaggi grattugiati a pasta dura e a lunga stagionatura, come il grana e il parmigiano, venduti già pronti e in busta. In questi casi, visto che la crosta è dura, è difficile immaginare l’eventuale passaggio di Ota verso l’interno, ma poiché la legge consente la presenza nel prodotto finale di un certo quantitativo di crosta (fino al 18%), i ricercatori di Parma hanno pensato di verificare la situazione.
I marchi analizzati sono stati circa 40 e comprendevano sia articoli di gamma alta sia prodotti da discount. I risultati sono stati molto rassicuranti: «Abbiamo considerato il limite di 1 microgrammo per chilo, quello fissato per la carne di suino» spiega Dall’Asta «e abbiamo rilevato che nell’85% dei casi, i valori di Ocratossina A erano ben al di sotto del limite o addirittura al di sotto della capacità di rilevazione strumentale. Solo in sei casi la concentrazione è rsultata superiore, anche se quasi sempre di poco».
Il consumatore può stare tranquillo: non è certo una spolverata di questo formaggio sulla pasta a costituire un pericolo. «Tuttavia, è chiaro che nei sei casi in cui abbiamo riscontrato livelli superiori ii produttori non hanno lavorato bene: c’è stato un vuoto nel protocollo di controllo della lavorazione», spiega Dall’Asta.
A questa stessa conclusione i ricercatori di Parma erano giunti in due indagini precedenti, condotte sui prosciutti e sui formaggi erborinati, tipo gorgonzola: le contaminazioni ci sono, sono molto scarse e non sono pericolose per la salute, anche se indicative di un problema igienico nel sistema produttivo.
«Tutti questi studi ci fanno capire che il problema, per quanto piccolo, esiste. La buona notizia è che basta davvero poco per affrontarlo», afferma Dall’Asta. Basterebbe controllare meglio l’igiene degli ambienti di lavoro e pulire meglio le superfici a rischio contaminazione. «Le superfici dei formaggi in stagionatura, per esempio, sono già soggette a spazzolatura periodica. Forse si potrebbe spazzolarle un po’ più spesso o più profondamente» suggerisce la ricercatrice.
Che fare, nel frattempo? È il caso di sollecitare l’istituzione di un limite di legge anche per i formaggi?
Risponde Dall’Asta: «Noi abbiamo avvisato il Ministero della salute, gli enti di controllo e i consorzi di produttori anche se non esistendo un pericolo immediato per la salute del consumatore, non serve intervenire con urgenza. Riteniamo però che sia il caso di approfondire l’argomento, facendo indagini più estese per capire meglio come possano accadere le contaminazioni e come prevenirle».
Anche perché non c’è solo il circuito della grande distribuzione itaiana, dobbiamo pensare a quello che potrebbe arrivare dall’estero, dove magari c’è una sensibilità minore sul tema. O da produttori artigianali che vendono la loro merce in mercati locali. Non si tratta di puntare il dito contro nessuno, però è un dato di fatto che per una grande azienda con un addetto al controllo qualità, valutare la situazione potrebbe essere più facile. Il piccolissimo produttore, che magari lavora bene ed è in assoluta buona fede, semplicemente potrebbe non sapere che una certa muffa costituisce un problema.
E a proposito di muffe: attenzione anche a quelle che compaiono nei nostri frigoriferi. P. nordicum è proprio quella muffina bianca che si forma sui formaggi rimasti lì troppo a lungo. È abitudine comune tagliare ed eliminare la fettina contaminata, per consumare il resto del prodotto, ancora buono. Non è escluso però che con questa operazione si trascini nella pasta del formaggio un po’ di ocratossina, soprattutto se la sua superficie è morbida. Anche qui, nessun rischio immediato, ma un monito in più a tener d’occhio l’igiene nei nostri frigoriferi.
Il problema è aggravato dal fatto che in Italia non abbiamo solo a che fare con il circuito della grande distribuzione di prodotti italiani: dobbiamo anche pensare a quello che potrebbe arrivare dall’estero o dai piccoli produttori artigianali.
Nel caso dell’estero, occorrerebbe fare più attenzione ai prodotti provenienti da paesi che non hanno ancora maturato alcuna sensibilità sul tema, mentre nel caso dei piccoli produttori il discorso è diverso. In effetti, mentre una grande azienda, con molti addetti al controllo qualità, non trova alcuna difficoltà nel valutare l’eventuale presenza di OTA, il piccolo o piccolissimo produttore può ignorare le questioni legate all’ocratossina pur lavorando bene e in coscienza.
E a proposito di muffe occorre fare attenzione anche a quelle che compaiono nei nostri frigoriferi. Il Penicillium nordicum è proprio quella muffina bianca che si forma sui formaggi rimasti in frigo troppo a lungo. È abitudine comune tagliare ed eliminare la fettina contaminata, per consumare il resto del prodotto ancora buono. Non è escluso che con quest’operazione si trascini nella pasta del formaggio un po’ di ocratossina, soprattutto se la superficie è morbida. Anche in questo caso, non c’è alcun rischio immediato, nondimeno è sempre bene tener d’occhio l’igiene nei nostri frigoriferi.
Valentina Murelli
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giornalista scientifica
A certo, senza i responsabili qualità l’umanità stava rischiando l’estinzione; meno male che è stata istituita questa figura.. Ad esempio le aziende che usavano carne di cavallo al posto del manzo erano tutte piccole e tutto è successo perchè non c’era un resp qualità che vigilava..
Sig.ra Murelli se sta cercando un posto di lavoro come Raq ci sono anche altre strade.
QUINDI QUANDO SI FORMA LA MUFFA SU UN PEZZO DI PROSCIUTTO NON E’SUFFICIENTE TOGLIERE LA PARTE E CAMBIARE INVOLUCRO? E’ MEGLIO BUTTARE TUTTO?