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La rivista medica Lancet dedica un ampio articolo alla questione della sicurezza alimentare in Cina, nodo di importanza capitale per chi la popola, ma rilevante anche per il resto del mondo, in quanto uno dei maggiori esportatori di cibi a livello globale. Il quadro che emerge ha più ombre che luci. Perché, sebbene qualche progresso sia stato fatto, soprattutto a partire dal 2006, il raggiungimento di standard accettabili è ancora di là da venire.

Le criticità sono numerose. C’è la contaminazione da agenti microbiologici, un problema che certamente non riguarda solo la Cina, ma che qui può assumere proporzioni notevoli per via delle dimensioni demografiche del Paese e delle scarse condizioni igieniche delle campagne e delle zone costiere. Un caso, che richiama alla mente la recente vicenda dell’epatite A in Italia, si verificò a Shanghai nel 1988: lì, però, il virus infettò quasi 300.000 persone; a essere contaminate erano alcune partite di vongole allevate vicino a scoli di acque reflue non depurate.

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Nel 2007, uno studio dell’Università di Nanjing, ha evidenziato che il 10 per cento del riso coltivato aveva livelli di cadmio oltre i limiti raccomandati

Cruciale è poi la questione dell’inquinamento da metalli pesanti e altre sostanze inorganiche, dovuto alla tumultuosa crescita industriale dell’ultimo ventennio. Oggi ci sono campi coltivati situati in prossimità di fabbriche con elevato potere inquinante. La contaminazione delle acque e dei suoli ha determinato più di un allarme negli anni scorsi. Nel 2007, uno studio dell’Università di Nanjing, città della costa centrale, ha evidenziato che il 10 per cento del riso coltivato in quella regione aveva livelli di cadmio ben oltre i limiti raccomandati dalle autorità internazionali. L’anno seguente, nel riso proveniente da coltivazioni situate un migliaio di chilometri più a Sud, furono riscontrate concentrazioni eccessive di piombo. Si tratta di un dato allarmante per le autorità, perché secondo un’indagine del Centre for Disease Control cinese, fra il 2000 e il 2007 l’esposizione della popolazione al piombo di origine alimentare è aumentata, mentre quella degli altri metalli pesanti è fortunatamente diminuita.

Altri punti critici riguardano l’uso di pesticidi (di cui la Cina è il principale produttore ed esportatore a livello globale), e di farmaci negli allevamenti. Ci sono poi le frodi vere e proprie, legate all’impiego di additivi illegali, come ad esempio la melamina, aggiunta al latte per simulare un più alto contenuto in proteine, di cui si è molto parlato anche in Italia.

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Una grande frode internazionale ha riguardato l’aggiunta di melamina  al latte per simulare un alto contenuto in proteine

Fu proprio lo scandalo della melamina, nel 2008, a spingere le autorità a intensificare le azioni per migliorare la sicurezza alimentare, in parte già state intraprese negli anni precedenti. Gli sforzi sono culminati nel 2009 con l’approvazione di una normativa nazionale ad hoc, e due anni dopo con la creazione del China National Center for Food Safety and Risk Assessment, deputato al coordinamento delle politiche su tutto il territorio cinese. Da allora i controlli sono diventati più capillari, ma purtroppo ancora insufficienti: prova ne sia che nel 2012 il numero di notifiche ufficiali è stato inferiore a quello registrato negli Stati Uniti. Come rileva il Lancet, insomma, le buone intenzioni si scontrano con la complessità di un sistema che conta più di 450.000 imprese attive nel settore, il cui obiettivo principale è spesso massimizzare i profitti, e nel quale l’implementazione delle norme nazionali necessita del placet di una pletora di autorità locali piccole e grandi, dove non sono infrequenti i fenomeni corruttivi.

Margherita Fronte

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