Quello che sta giungendo dal Giappone nelle ultime settimane dopo il disastro di Fukushima, è un triste rosario, che rende molto bene l’idea di che cosa significhi per una popolazione subire una contaminazione radioattiva su larga scala. Alla già lunga lista di alimenti contaminati si aggiunge infatti ora il latte in polvere Step della Meiji, diffusissimo in tutto il paese.
L’azienda ha deciso di ritirare dal mercato oltre 400mila lattine del prodotto, dopo aver scoperto in alcune di esse la presenza di due isotopi del cesio, il 134 e il 137, sia pure in quantità ben al di sotto della soglia di sicurezza.
La legge attuale prevede per i bambini che non siano superati i 200 becquerel per chilogrammo di peso corporeo (Bq/kg). Secondo i test compiuti nei primi giorni di dicembre, le tracce dell’isotopo nel latte Step non supererebbero i 15-30 bq/kg. Un quantitativo che – stando a vari esperti citati dall’azienda – potrebbe essere tranquillamente assorbito tutti i giorni anche da un organismo in crescita senza effetti dannosi sulla salute.
Ma forse le madri giapponesi non si sentono così tranquille, dopo mesi di continuo stillicidio di notizie contraddittorie su alimenti considerati prima sicuri, poi ritirati perché più o meno gravemente contaminati. E probabilmente nessuna madre, non solo giapponese, darebbe consapevolmente latte al cesio al proprio bambino.
Per evitare un danno di immagine di proporzioni incalcolabili la Meiji – leader assoluta di mercato e quotata in borsa – ha quindi deciso di muoversi con tempestività, di anticipare eventuali azioni governative e anche di rendere pubblica la sua ipotesi sulla contaminazione.
Il latte in polvere Step con scadenza a ottobre 2012 – chiarisce l’azienda – è composto in prevalenza da latte importato dall’Australia e da altri paesi, e solo in piccola parte da latte giapponese. Nel caso specifico, il latte usato proverrebbe da una fattoria della Prefettura di Saitama, a circa 200 chilometri dal luogo del disastro, e sarebbe stato lavorato tra il 12 e il 14 marzo, cioè anche nei giorni immediatamente successivi all’incidente alla centrale di Fukushima (11 marzo) e, in parte, in aprile. Altro latte proveniente dalla stessa azienda, ma munto qualche giorno prima, non presenterebbe alcuna traccia di radioattività.
L’ipotesi più plausibile è che la contaminazione sia derivata da nubi radioattive che hanno scaricato sul terreno, e quindi sui foraggi e sull’acqua usata per la lavorazione del latte isotopi di vario tipo (tra quelli identificati in molte zone del Giappone vi sono, oltre al cesio, il bario, lo iodio e il tellurio) derivanti dalle esplosioni che sono andate avanti per molti giorni.
Si estende dunque l’elenco delle zone che hanno subito una contaminazione e verso le quali cresce la diffidenza dei consumatori: molti negozi e supermercati dichiarano ormai apertamente la zona di provenienza delle merci, nel tentativo di rallentare la fuga dei clienti dalle merci nazionali.
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Giornalista scientifica