I fast food, si sa, sono amatissimi da bambini e ragazzi, nonostante sia ormai chiaro che gli alimenti di questi ristoranti hanno grandi responsabilità nell’aumento di peso che sta minando la salute dei più giovani, soprattutto in alcuni paesi. L’abitudine a frequentare i fast food, d’altro canto, è trasmessa ai figli da genitori che, non di rado, sono soliti mangiare cibo spazzatura su base più o meno regolare; per questo, nessuna azione preventiva può prescindere da un rigoroso programma di educazione di tutta la famiglia, che responsabilizzi in primo luogo i genitori per poi arrivare ai figli. Queste le conclusioni cui è giunta Kerri Boutelle, direttore della Weight and Wellness Clinic dell’Università di San Diego, in California, che è andata a verificare sul campo che cosa scelgono le famiglie che frequentano fast food e perché.

Boutelle e i suoi collaboratori hanno selezionato alcuni ristoranti “fast” al cui interno hanno preso contatto, nell’arco di sei settimane, con ben 544 famiglie: a ciascuna hanno chiesto di consegnare lo scontrino degli acquisti e di rispondere ad alcune domande sul tipo di alimento scelto, le porzioni, la consultazione delle etichette nutrizionali e la motivazione che li aveva spinti a compiere quella determinata scelta.

In generale – hanno riferito gli autori su Childood Obesity – il motivo per cui si decide di mangiare in un fast food è sempre lo stesso: il cibo viene servito velocemente, senza complicazioni, ed è a buon mercato. Tra le ragioni per cui i genitori portano i figli in questi ristoranti le più comuni sono: “A loro piace” e “Costa poco”, mentre solo una minoranza afferma di aver fatto questa scelta perché il bambino aveva fame e non c’erano alternative accettabili nei paraggi. Nessun peso sembrano avere i gadget: pochissimi intervistati hanno ammesso di tenerne conto. Del resto, talvolta fare un piacere ai più piccoli può sembrare un alibi, se è vero che la maggior parte degli intervistati afferma di apprezzare a sua volta il cibo servito.

Quando poi si va a verificare la qualità delle scelte, si capisce perché i fast food siano sotto accusa: sono proprio i bambini di età compresa tra i due e i cinque anni quelli cui vengono date più calorie, e cioè tra il 36 e il 51% di quelle quotidiane, raggiunte tramite patatine fritte, cheeseburger, hamburger, crocchette di pollo e bevande zuccherate. Situazione analoga anche per i più grandicelli, tra i sei e gli 11 anni, ai quali viene proposto anche il dolce (spesso torta di mele) e per i ragazzi tra i 12 e i 18 anni, più orientati sui dessert al cioccolato. Inoltre, tra il 35 e il 29% delle calorie assunte dai più giovani derivano da grassi e i pasti nel loro complesso forniscono tutto il sodio consigliato per i bambini in età prescolare e la metà di quello consigliato ai ragazzi. Infine, non sorprende che le bevande gassate e zuccherate siano acquistate molto più spesso del latte o del succo di frutta e che neppure quando il fast food propone succhi di frutta senza zucchero le famiglie optino comunque per bevande più nocive.

Certo, hanno ricordato gli autori, è vero che nella scelta degli alimenti contano anche fattori psicologici, come il fatto che quando si mangia fuori casa si tende a concedersi qualche alimento proibito in più: non è detto che a casa l’alimentazione sia altrettanto sbagliata. Altro limite dello studio è il fatto che i dati sono stati dedotti dagli scontrini, ma non è stato valutato quanto effettivamente è stato consumato da chi ha acquistato i pasti. Pur con tutte le cautele del caso, tuttavia, il messaggio finale è chiaro: “Se si vuole ottenere un reale cambiamento” scrive Boutelle “bisogna iniziare dall’educazione di tutta la famiglia e intervenire su tutti i membri, di tutte le età, per far capire loro che bisogna diminuire la quantità di junk food in generale, e modificare le scelte quando si mangia fuori casa”.

Agnese Codignola

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