Dalla scorsa primavera il bisfenolo A (BPA) non viene più usato nei biberon venduti nell’Unione Europea, ma non è scomparso dalla tavola dei cittadini. Se ne produce ancora moltissimo, buona parte del quale finisce in resine e plastiche impiegate in imballaggi e stoviglie. Uno studio pubblicato su JAMA, prende in esame il Bisfenolo A presente nelle lattine a banda stagnata impiegate per le minestre pronte.

Il BPA  si usa nelle lattine per prevenire la corrosione e rendere il metallo resistente alle alte temperature applicate nelle fasi di sterilizzazione. Per capire quanto BPA viene effettivamente rilasciato nel contenuto della lattina e poi assorbito dall’organismo, un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard ha chiesto a 75 tra studenti e membri dello staff di seguire una dieta  per due settimane. I partecipanti, suddivisi in due gruppi, dovevano infatti assumere per cinque giorni una porzione di minestra vegetale in scatola oppure la stessa quantità di una minestra preparata al momento e, dopo un intervallo di due giorni, invertire. Alla fine di ogni ciclo di cinque giorni sono state raccolte le urine, per verificare la concentrazione di BPA.

I risultati sono inquietanti: dopo l’assunzione di cinque (piccole) porzioni di zuppa in scatola, la concentrazione di BPA nelle urine era aumentata di dieci volte (da 2 microgrami per litro a 20 microgrammi), con una crescita percentuale del 1.221%. Secondo gli autori, l’aumento è temporaneo e tende a scomparire dopo pochi giorni, ma il dato è preoccupante perché non si sa quanto e se l’incremento transiente di BPA abbia effetti sulla salute . Non solo. Scrive infatti la coordinatrice dello studio Karin Michels, epidemiologa: “E’ probabile che risultati simili si otterrebbero con altri alimenti in scatola e con succhi e bibite gassate, consumate molto più spesso rispetto alle minestre. E’ necessario approfondire questo aspetto e, nel frattempo, cercare di utilizzare altri materiali per le lattine, adottando il principio di precauzione”.

Quello della lattine per bevande, del resto, è un grande punto interrogativo.

La  stessa Coca Cola si è sentita in dovere di chiarire le molte domande che arrivavano in merito dai consumatori. Si legge nel comunicato : “(…) tutti i processi industriali per la produzione su larga scala delle lattine prevedono il BPA, utilizzato da più di 50 anni; il BPA conferisce resistenza contro le contaminazioni e allunga la vita media degli alimenti; (…) tutti i processi produttivi sono sottoposti ai normali standard di sicurezza. (…) Il BPA è utilizzato per questi scopi da 50 anni senza che siano emersi danni per la salute.  (…) Le nostre bevande in bottiglie di plastica sono confezionate in polietilentereftalato (PET), che non contiene BPA” e così via.  

Segue tradizionale lista delle agenzie regolatorie che hanno dato il via libera al BPA nelle lattine, e (breve) l’elenco dei lavori scientifici che scagionano il BPA,  nessun cenno agli altri.  

Il BPA è presente anche in alcuni polimeri usati in odontoiatria (sigillanti dentali, otturazioni, eccetera); due studi hanno mostrato che dopo l’applicazione di questi materiali ci può essere un effetto estrogenizzante; nel primo il rilascio di monomeri dai materiali compositi è stato rilevato a livelli “significativi”, mentre nel secondo basse dosi di BPA eluite durante la masticazione aumentano la proliferazione delle cellule ipofisarie.

Negli ultimi mesi, nonostante ciò che sottolinea il colosso di Atlanta, molti paesi hanno intrapreso la propria guerra contro il BPA, accusato  di essere un interferente endocrino (cioè di alterare i cicli ormonali grazie alla sua azione estrogeno-simile), di favorire il cancro, il diabete …. È  probabile che, prima o poi, si giunga a un bando globale anche se – come spesso accade – ci si chiederà come è stato possibile utilizzarlo per tanti anni senza preoccuparsi. Al momento questo traguardo è ancora piuttosto lontano: secondo l’Agence Nationale de Sécurité Sanitaire de l’Alimentation francese, nel 2006 la produzione annuale mondiale era di circa 3,8 milioni di tonnellate, mentre in Europa, nel 2005, se ne producevano circa 1,6 milioni di tonnellate. Tra il 2003 e il 2006 il consumo è cresciuto ogni anno di circa il 10%, alimentato soprattutto dal mercato del policarbonato. Al momento  non è chiaro se, in seguito all’entrata in vigore dei divieti e normative restrittive in tutto il mondo, ci sono stati cambiamenti s Ricordiamo che tra i produttori ci sono i principali colossi della chimica come Bayer e Dow Chemicals.

Agnese Codignola

 

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