Lo zucchero semplice – se consumato in eccesso – è uno dei macronutrienti responsabili dell’aumento di peso con inevitabili conseguenze sulla salute (disturbi cardiovascolari, diabete, malattie metaboliche…). Secondo l’OMS un aumento nella quantità di zuccheri all’interno dell’alimentazione provoca un incremento del peso e della carie dentale. Le linee guida dicono che la quantità nella dieta non deve superare il 10% dell’apporto complessivo di calorie giornaliero, ma consigliano di mantenere un livello intorno al 5%. Non esistono invece limiti inferiori, quindi si può tranquillamente scendere al di sotto della soglia del 5% di calorie. In questo computo non è considerato il fruttosio, presente naturalmente nella frutta, e il lattosio del latte (mentre sono compresi succhi di frutta, centrifugati, spremute). Il Fatto Alimentare ha intervistato Francesco Branca, direttore del Dipartimento della nutrizione dell’OMS su questo tema e sulle politiche di educazione alimentare.
Perché avete focalizzato l’attenzione sulle bevande?
Per prima cosa è necessario stabilire di quali bevande si sta parlando. I nostri discorsi interessano soprattutto le bibite gasate, i succhi di frutta e le spremute. L’obiettivo è ridurre la quantità di zuccheri semplici introdotti con la dieta e disincentivare il consumo di bevande zuccherate. Si stima infatti che 1/3 o addirittura la metà dei consumi di zucchero provengano da queste bevande. Esistono ovviamente differenze per età e Paese considerato. Il resto dello zucchero viene assunto attraverso alimenti preparati in casa o cibi industriali. Lo zucchero può essere naturalmente presente – come nel miele – oppure aggiunto.
Il sistema di tassazione delle bevande zuccherate adottato in alcuni paesi è efficace?
Il Messico è stato uno dei primi stati a introdurre la tassazione. In questo caso un aumento dei prezzi del 10% ha provocato una riduzione dei consumi dal 6 al 12%. La diminuzione si è registrata di più nei gruppi con reddito inferiore (fino al 17%) dove si riscontrano problemi di obesità e di consumo di junk food. In altri Paesi, come in Ungheria, i provvedimenti hanno riguardato anche altri elementi della dieta, come sale e grassi. Per funzionare al meglio, secondo gli studi, la tassazione dovrebbe arrivare al 20-50% del costo del prodotto salvo poi essere adattata all’inflazione.
Quali sono le principali resistenze verso questo tipo di provvedimenti ?
Gli ostacoli non provengono dai consumatori, che sono invece concordi verso questo tipo di provvedimenti, ma dall’industria alimentare. Lo strumento della tassazione viene considerato regressivo, quasi paternalistico: eppure è un sistema che funziona, in sinergia con altri approcci più educativi.
Esistono quindi altre soluzioni da abbinare alla tassazione?
Sì, certo. L’etichettatura, per esempio, è un ottimo strumento, ma deve essere semplice e immediata e trasmettere un messaggio chiaro. Il sistema a semaforo rende alcuni concetti più accessibili, permettendo di identificare a colpo d’occhio quando un alimento contiene molto zucchero o molto sale. Questo ha un effetto importante sulle scelte dei consumatori. Esistono altre soluzioni interessanti collegate all’accesso dei prodotti. Per esempio si potrebbe limitare la vendita di cibi ricchi di zuccheri, grassi e sale nei distributori automatici localizzati nelle strutture pubbliche, oppure proporre alternative valide. Per esempio – nel caso delle bevande zuccherate – la sola alternativa possibile è l’acqua. In Messico il gettito fiscale ottenuto con la tassazione delle bevande zuccherate verrà stato utilizzato per mettere distributori di acqua nelle scuole.
Come si incentiva il consumo di alimenti sani?
I metodi per incentivare il consumo di cibi sani come frutta, verdura, legumi, carne e pesce possono essere suddivisi in quattro categorie. Il primo comprende provvedimenti in grado aumentare la sensibilità migliorando l’educazione alimentare e il livello di informazione. La conoscenza delle basi teoriche della nutrizione attraverso la scuola è fondamentale per scegliere cosa mettere nel carrello e in tavola quando si diventa adulti. In seconda battuta è bene che gli alimenti “sani” siano anche disponibili, ossia che vi sia un sistema di distribuzione adatto a soddisfare le necessità dei cittadini. In tutti i punti vendita deve esserci la possibilità di scegliere alimenti a ridotto contenuto di sale, grassi e zuccheri. Al terzo posto, tra le modalità per incentivare il consumo di questi alimenti, vi è la facilità di accesso. Mi spiego meglio. Pensiamo alle scuole, agli ospedali, alle mense dell’esercito e ai luoghi pubblici: offrire in questi ambiti cibi sani (le classiche 5 porzioni di frutta e verdura al giorno) è un modo per educare il cittadino a un certo tipo di alimenti. Si deve anche agire sui prezzi, abbassando quelli di frutta e verdura, attivando filiere produttive più corte e una continua relazione del territorio con i consumatori. Infine le aziende alimentari possono studiare le ricette in modo da proporre prodotti con meno sale, meno zuccheri, meno grassi saturi e senza acidi grassi trans.
Le campagne di educazione alimentare danno risultati positivi?
Le campagne sono importanti ma da sole non bastano. Sono un rinforzo e un supporto ad altri interventi e servono per aumentare la consapevolezza dei consumatori. Se vengono portate avanti in maniera isolata e saltuaria sono poco efficaci. Negli Stati Uniti i risultati della campagna delle cinque porzioni al giorno di frutta e verdura sono stati deludenti, mentre in UK ha avuto successo la campagna di riduzione del sale. Nelle scuole ha senso educare bambini e i ragazzi se l’obiettivo è quello di aumentare la cultura alimentare e culinaria, con un approccio non solo teorico, ma anche pratico. È importante che i bambini a scuola consumino frutta e verdura cercando di abbinare queste scelte alimentari a giochi educativi. In Francia nelle pubblicità degli alimenti compare obbligatoriamente un banner con un messaggio di educazione alimentare, ma ancora non si conoscono i risultati di questo provvedimento.
L’OMS ha un modello o regole di comportamento per quanto riguarda il conflitto di interessi nell’ambito alimentare?
Esistono regole chiare sulle interazioni con l’industria e le scelte politiche e normative sono protette dall’influenza dell’industria. Ad esempio, le raccomandazioni nutrizionali devono essere date da istituzioni pubbliche che non ricevono finanziamenti dall’industria. Esistono tuttavia delle situazioni in cui il pubblico e il privato devono comunicare tra di loro per l’interesse dei cittadini e la salvaguardia della salute, per esempio quando si devono studiare le riformulazioni degli alimenti. In questi casi la collaborazione è necessaria. È importante anche dare ai cittadini la certezza che le raccomandazioni nutrizionali siano fatte nell’interesse della salute pubblica. Per questa ragione è meglio che l’industria non si occupi di educazione alimentare.
Ha seguito la campagna sull’olio di palma in Italia? Si è fatto un’idea?
Sì, ne ho sentito parlare e ho visto che molte aziende lo stanno togliendo. Penso che sia un fattore positivo, qualora sia sostituito con oli vegetali con un minore apporto di saturi. La nuova edizione delle raccomandazioni dell’OMS sui grassi, che saranno disponibili per la consultazione pubblica all’inizio del 2017, confermeranno la necessità di ridurre i grassi saturi nella dieta, e dunque limitarne l’uso nelle preparazioni industriali.
redazione Il Fatto Alimentare
Perchè le spremute sono accostate a succhi e bevande gasate: due arance spremute ogni mattina rappresentano una dose eccessiva di zuccheri?
Prr spremute si intendono quelle che compri in cartone al supermercsto che contengono anche il 60% di zuccheri e pochissima frutta…….
Affermazione di Branca:…….. il consumo di cibi sani come frutta, verdura, legumi, carne e pesce …..
Davvero questi alimenti meritano lo stesso valore di ” cibo sano”di cui va incentivato il consumo ?
Carla
Buongiorno,
purtroppo le linee guida, anche OMS, sull’introduzione di zuccheri non sembrano basate su dati scientifici “inattaccabili”: segnalo questo lavoro, appena uscito sull’autorevole Annals of Internal Medicine, http://annals.org/aim/article/2593601/scientific-basis-guideline-recommendations-sugar-intake-systematic-review.
Uno dei problemi principali della ricerca l’ha individuato il Sig. Andrea: accomunare gli zuccheri derivanti da una spremuta fresca, con il corollario di sostanze benefiche, a quelli di succhi e bevande gassate. La ricerca (riduzionista) si concentra sul nutriente e non sull’alimento: purtroppo questo modo di ragionare su ciò che fa bene e cosa no può portare a queste incongruenze.
saluti
Come dicevano Andrea e Iacopo non si possono accomunare gli zuccheri di una spremuta d’arancia a quelli aggiunti di una bibita gassate.