Per il baccalà non valgono le regole europee sull’igiene degli alimenti. La commercializzazione di prodotti come il merluzzo sotto sale non è infatti coperta dalle norme comunitarie e per gestire igiene e sicurezza è sufficiente il “buon senso”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, chiamata a esprimersi sul caso di un commerciante che era stato accusato (e poi già assolto in primo e secondo grado) per aver conservato il baccalà in acqua a 6°C, invece che in frigorifero a una temperatura compresa tra 0°C e 4°C, come indicato dal produttore.
Secondo la Procura di Asti, che aveva fatto ricorso contro l’assoluzione del pescivendolo, nonostante non siano state fissate regole specifiche per la conservazione del baccalà, le norme del “Pacchetto Igiene” (*) stabiliscono che la sicurezza di un alimento è responsabilità dell’operatore del settore alimentare (Osa), dalla produzione alla commercializzazione. Quindi se “il produttore ha indicato in etichetta la temperature di conservazione tra zero e quattro gradi è perché ha già valutato il rischio, in relazione alle caratteristiche organolettiche del prodotto ed alla quantità di sale impiegato” e quindi, secondo l’accusa, il commerciante avrebbe dovuto rispettare tali indicazioni.
Di diverso avviso invece i giudici della Suprema Corte, che non hanno ritenuto il comportamento del pescivendolo in violazione delle norme europee, perché le indicazioni sulla conservazione degli alimenti riportate in etichetta non hanno valore prescrittivo, “valendo queste solo come consigli o indicazioni di massima”. Inoltre, proseguono i giudici, “Il pericolo dell’alterazione non può essere ipotizzato in via automatica per effetto del solo scostamento delle temperature indicate dal produttore sulla confezione”.
La Cassazione ha anche ricordato che, da una parte, le norme sull’igiene dei prodotti di origine animale (Regolamento UE 853/2004) non si applicano al commercio al dettaglio (salvo indicazione espressamente contraria) e, dall’altra, che tra i prodotti della pesca freschi (**) contemplati dalla normativa europea per la conservazione “ad una temperatura vicina a quella del ghiaccio di fusione non può essere compreso il baccalà che configura un prodotto ittico lavorato in quanto sottoposto a salagione, tecnica di per sé volta alla conservazione del prodotto.” In definitiva, in assenza di una normativa specifica, per conservare il baccalà durante le fasi della vendita è sufficiente affidarsi “alle regole di comune esperienza, secondo cui è solo oltre il superamento della soglia di 15°C che è profilabile il rischio di deterioramento.”
“Il dettagliante ha vinto il ricorso poiché non ha, appunto, disatteso la normativa relativamente alla gestione termica del baccalà. – conferma Valentina Tepedino di Eurofishmarket, veterinaria specializzata in ispezione degli alimenti – In effetti non era obbligato a mantenere il prodotto alla temperatura di refrigerazione e neppure a quella indicata dal produttore.” Ma anche se il pescivendolo deve avere la libertà di gestire il prodotto come ritiene più opportuno, ciò non può prescindere a una corretta analisi del rischio e al rispetto del proprio piano di autocontrollo.
“È evidente che per fare una analisi del rischio corretta e dunque una gestione corretta del prodotto è necessario conoscerne le caratteristiche specie specifiche e la sua produzione – prosegue Tepedino – Senza questa conoscenza è praticamente impossibile gestire un prodotto in modo corretto dal punto di vista igienico-sanitario. Possono essere difatti numerose le variabili sia specie specifiche, che a livello produttivo. Tanto per fare un esempio, una differente percentuale di acqua o di sale tra diversi baccalà potrebbe portare a una diversa gestione.” Insomma, quando si parla di sicurezza alimentare, non sempre basta il buon senso…
(*) Il “Pacchetto Igiene” è costituito da quattro Regolamenti UE, i numeri 852, 853, 854 e 882 del 2004
(**) I prodotti della pesca non trasformati, interi o preparati, compresi i prodotti imballati sotto vuoto o in atmosfera modificata che, ai fini della conservazione, non hanno subito alcun trattamento diverso dalla refrigerazione, inteso a garantirne la conservazione.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
E se uno il buon senso non ce l’ha?
Risponderà in sede civile e penale al pari di un automobilista distratto
Buongiorno, mi chiedevo se analogo discorso si possa applicare ai prosciutti crudi interi che molti esercenti appendono presso i banchi di macelleria o gastronomia, mantenendoli ad una temperatura diversa da quella indicata in etichetta dal produttore (per es. tra 0 e 10 gradi).Saluti!