Negli Stati Uniti, il National Institute of Allergy and Infectious Diseases ha pubblicato le nuove linee guida, per aiutare i medici a introdurre precocemente gli alimenti contenenti arachidi nella dieta dei bambini. Lo scopo è prevenire le allergie alle noccioline che risulta essere in crescita anche se fino ad ora non esistono trattamenti per la cura. Recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’introduzione delle arachidi nell’alimentazione sin dalla prima infanzia può prevenire lo sviluppo dell’allergia. Uno studio clinico controllato condotto da ricercatori del King’s College di Londra e pubblicato dal New England Journal of Medicine nel marzo 2015 ha coinvolto 640 bambini di età compresa tra i quattro e gli undici mesi e ha rilevato una notevole differenza nell’allergia tra i piccoli nati in Israele e quelli della comunità ebraica di Londra. I primi abituati a mangiare prodotti con arachidi nel primo anno di vita, hanno un tasso di allergia dieci volte minore rispetto a quelli di Londra, che non hanno questa abitudine.
Le nuove linee guida degli Stati Uniti suggeriscono di far mangiare alimenti con arachidi ai bambini sin dai 4-6 mesi di vita. Questo tipo di allergisa è in aumento in tutto il mondo, specialmente in Occidente. Negli Usa, la percentuale è più che quadruplicata tra il 1997 e il 2010, passando dallo 0,4% a oltre il 2%. Nel 2000, l’American Academy of Pediatrics raccomandò di non introdurre le arachidi nella dieta dei bambini a rischio di allergia fino ai tre anni. Tuttavia, di fronte alla continua crescita del fenomeno e a una revisione degli studi scientifici disponibili, nel 2008 i pediatri americani ritirarono questa raccomandazione.
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Ordini e contrordini dimostrano che spesso si naviga a vista anche nei principi intangibili della ricerca nutrizionale.
Siamo abbastanza lontani dall’aver compreso come funzionano allergie ed intolleranze e questo ne è un esempio importante.
Se questo nuovo orientamento fosse corretto, cosa ci vieta ad estenderlo a tutti i potenziali allergeni, con inserimenti anticipati e graduali di tutti gli alimenti, come facevano le nostre mamme in tempi meno scientifici?
Diffido da studi che danno raccomandazioni differenti da quelle ormai solide di OMS UNICEF (sostenute da una mole ingente di dati scientifici basati su prove di efficacia): continuare l’allattamento al seno in modo esclusivo sino a 6 mesi e continuarlo poi in aggiunta di altri cibi fino a che madre e bambino lo desiderano. Mi riserverò di controllare se tra gli autori ci sia qualcuno che ha lavorato per l’industria dei cibi dell’infanzia e se l’ha dichiarato nei conflitti di interesse.