tilap AcquacolturaC’è molto da fare, nell’ambito dei farmaci utilizzati nell’acquacoltura in Europa. La loro somministrazione è infatti figlia di normative nazionali sviluppatesi nel tempo in modo eterogeneo, senza tenere conto dei contesti, e soprattutto senza prevedere la crescita del settore, che ormai si appresta a diventare prevalente rispetto a quello del pesce pescato anche in Europa, come è già in altre aree del mondo. Per questo lo studio pubblicato dal Gruppo di lavoro per la valutazione del rischio ambientale del Comitato per i medicinali per uso veterinario, organismo dell’Ema (Agenzia Europa per i medicinali) su Environmental Sciences Europe è particolarmente utile, e dovrebbe essere utilizzato come base di partenza per le iniziative future.

Il gruppo, di cui fa parte anche Sara Villa, ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca, ha scattato una fotografia impietosa della situazione normativa attuale, per poi indicare i provvedimenti più urgenti.

I medicinali approvati specificamente per le acquacolture, infatti, si legge, sono pochissimi, e di solito gli allevatori sopperiscono con farmaci veterinari approvati per le specie terrestri. Ma si tratta di farmaci per i quali non sono disponibili valutazioni dei protocolli terapeutici iniziali né di impatto ambientale in caso di impiego per i pesci, così come analisi dettagliate degli effetti sull’ambiente circostante. Inoltre, non sembra che si tenga conto del fatto che fino a tre quarti della dose di farmaco utilizzata in acquacoltura può finire nell’ambiente, e può facilitare lo sviluppo di antibioticoresistenza.

Tra le vittime della presenza di farmaci veterinari nelle acque, ricordano poi i ricercatori, ci sono anche le specie selvatiche, comprese quelle destinate al consumo umano come pesci e crostacei, che possono essere influenzate negativamente dall’immissione di effluenti dell’acquacoltura e di acque reflue contenenti residui farmaceutici. Non va poi dimenticato che è legale impiegare i fanghi di scarto degli impianti di acquacoltura nei terreni agricoli, con conseguenze non note. Infine, va sottolineata anche un’altra grave anomalia del settore: a differenza di quanto avviene in caso di uso non corretto dei prodotti fitosanitari in agricoltura, il mancato rispetto delle prescrizioni di impiego attualmente non è sanzionato.

Big Cod fishes in huge water tank.Questo, dunque il quadro di partenza. Come migliorarlo? I ricercatori suggeriscono diversi provvedimenti sia a monte che a valle della somministrazione di farmaci. A monte, innanzitutto bisogna operare un’armonizzazione della disciplina europea e di quelle degli stati membri per la Valutazione del rischio ambientale dei farmaci veterinari utilizzati in acquacoltura, da mettere in campo contestualmente a una semplificazione dei modelli (che si avvalga di strumenti matematici avanzati). Questo, oltretutto, dovrebbe avere un effetto collaterale positivo: velocizzare l’approvazione di nuovi farmaci studiati ad hoc.

Poi, a valle, bisogna adottare misure attive di mitigazione del rischio, che tengano in considerazione sia la tipologia dell’impianto che la sua collocazione. Non è infatti sufficiente distinguere tra quelli di acqua dolce e quelli collocati in ambiente marino, ma è necessario includere nelle valutazioni fattori specifici come la temperatura e la salinità dell’acqua.

Infine, è indispensabile predisporre una formazione adeguata degli operatori degli impianti, per contenere il rischio di un utilizzo inappropriato dei medicinali. “Gli effetti dell’utilizzo dei farmaci in acquacoltura sull’ambiente” ha commentato Sara Villa ”rappresentano un serio problema. C’è bisogno di una maggiore presa di coscienza su questo aspetto, così com’è avvenuto nel recente passato per l’utilizzo di pesticidi in agricoltura”.

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