Nel sud-est asiatico è rincominciata la stagione degli incendi delle foreste, alcuni spontanei e molti altri di origine dolosa, finalizzati a far spazio alle coltivazioni agricole, innanzitutto a quella della palma da olio. Le autorità indonesiane hanno già lanciato l’allerta per via del fumo proveniente dagli incendi nelle isole di Sumatra e del Borneo, nella regione di Kalimantan. Già l’anno scorso il fumo ha raggiunto la Malesia e Singapore, con gravi danni sanitari ed economici. In agosto, nell’arcipelago indonesiano i focolai sono stati oltre tremila. Una mappa di Greenpeace documenta come molti indendi avvengano in concessioni per piantagioni industriali in corrispondenza di aree già colpite lo scorso anno.
Un caso è stato documentato dalla nuova organizzazione ambientalista Might, presieduta dall’ex-deputato statunitense Henry Waxman, utilizzando droni, sensori remoti, satelliti GPS, cineoperatori e fotografi a terra. In un dossier, viene indicato come la maggior parte degli incendi dello scorso anno nella provincia di Papua, sull’isola indonesiana di Nuova Guinea, siano avvenuti nelle terre date in concessione all’azienda coreana Korindo, che opera nel settore dell’olio di palma.
Korindo ha respinto le accuse ma, come riferisce The Guardian non ha convinto molti suoi clienti – come Wilmar, Musim Mas e IOI – che sono tra i maggiori intermediari nel settore del commercio dell’olio di palma e hanno deciso di sospendere le forniture.
Intanto, il Ministero dell’Ambiente indonesiano ha denunciato il rapimento di sette ispettori ambientali governativi, che stavano documentando gli incendi illegali. Queste persone sono state minacciate di morte da parte di un centinaio di persone che si ritiene fossero al servizio di una società impegnata nella coltivazione della palma da olio, si tratterebbe della Andika Permata Sawit Lestari (APSL), che opera nella provincia di Riau, lungo lo Stretto di Malacca.
Secondo quanto riferisce il Jakarta Post, la società APSL ha respinto le accuse, sostenendo che si è trattato di un contrasto, senza rapimento di ostaggi, tra i contadini locali e gli ispettori governativi, dopo che i primi si erano sentiti offesi dalla mancanza di rispetto dei secondi, che erano entrati senza permesso sulle loro terre e volevano sigillarne una parte.
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le abitudini alimentari possono anche cambiare, evitando l’impiego di olio di palma nei cibi, ma il grosso del problema rimane, perché la destinazione principale è l’uso come combustibile. credo che l’unico rimedio allo scempio perpetrato ai danni dell’ambiente sia da porre a livello europeo ed intercontinentale, cercando almeno di limitare la domanda da parte di chi acquista.
Sono perfettamente d’accordo, e oltre ai combustibili non bisogna sottovalutare il settore dei cosmetici. Da un breve giro al supermercato si può vedere che il 90-95% dei saponi viene prodotto con olio di pama o di pamisto (nome INCI, rispettivamente: sodium palmate, sodium palm kernelate); senza contare altri prodotti.
Non dimentichiamo che kinder e Ferrero continuano ad usare l’olio di palma per i loro interessi commerciali…….