Frutti di bosco l’epidemia di epatite A varca i confini: 700 casi stimati in Italia, decine all’estero. Interviene l’Efsa. I supermercati devono mettere un cartello e i produttori un bollino rosso sull’obbligo di cottura.
Frutti di bosco l’epidemia di epatite A varca i confini: 700 casi stimati in Italia, decine all’estero. Interviene l’Efsa. I supermercati devono mettere un cartello e i produttori un bollino rosso sull’obbligo di cottura.
Roberto La Pira 14 Novembre 2013L’epidemia di epatite A causata dai frutti di bosco surgelati è arrivata anche in Irlanda, Olanda e Francia dove si sono registrati decine di casi dovuti a un virus identico a quello italiano, in persone che non hanno soggiornato di recente nelle nostre regioni. La situazione è abbastanza critica perché le autorità nazionali non riescono a risalire all’origine del focolaio. Una settimana fa è scesa in campo anche l’Autorità per la sicurezza alimentare europea (Efsa), che si è detta disponibile ad analizzare le informazioni sui focolai infettivi nei vari Stati per cercare di definire con precisione la tracciabilità delle materie prime.
In Italia dall’inizio dell’anno si sono verificati oltre 1000 casi di epatite A, un numero decisamente superiore rispetto ai 2-300 degli anni precedenti. Le indagini condotte in laboratorio su oltre 200 casi, hanno evidenziato in circa il 70% la presenza dello stesso ceppo di virus dell’epatite A. Questo elemento suggerisce una comune fonte d’infezione. Il medesimo ceppo di virus è stato identificato in uno solo dei campioni di frutti di bosco surgelati risultati positivi per la presenza di virus dell’epatite A e questo fatto viene considerato un elemento fondamentale. Ad oggi la stima delle persone colpite è di circa 700 e il numero continua a crescere.
In Italia i casi di epatite A riconducibili all’ingestione di frutti di bosco surgelati sono oltre 700 e, dopo il picco verificatosi nei mesi di aprile e maggio 2013, l’andamento dell’epidemia non sembra essersi attenuato. D’altro canto non si è riusciti a risalire all’origine della contaminazione e quindi non si sa ancora da dove arrivino i frutti contaminati a dispetto della documentazione sulla tracciabilità obbligatoria disponibile per ogni lotto. Le evidenze sinora raccolte continuano ad indicare come ipotesi più consistente una contaminazione a livello di raccolta/produzione, anche se non sono stati raccolti elementi per individuare una fonte comune di contaminazione.
L’altra questione riguarda il ritiro di undici lotti di frutti di bosco che con tutta probabilità rappresentano solo una sola parte delle confezioni contaminate. Tutti gli addetti ai lavori sanno che molto probabilmente nel sia nel freezer di molti italiani e in quello delle aziende produttrici ci sono confezioni a rischio. Per questo motivo il Ministero della salute consiglia vivamente di consumare i frutti di bosco congelati/surgelati cotti, facendoli bollire (100°) per almeno 2 minuti. L’altro consiglio del ministero è di non impiegare i frutti di bosco crudi per guarnire i piatti (ad esempio la superficie di una crostata, semifreddi ecc.) e lavare accuratamente i contenitori e gli utensili usati. Secondo le informazioni raccolte da Il Fatto Alimentare nessuno sa dove indirizzare le ricerche per individuare il focolaio e poi ci sono difficoltà oggettive di tipo analitico.
La concentrazione del virus dell’epatite A nei frutti di bosco è molto bassa e soprattutto non è uniforme, per cui è del tutto normale analizzare due confezioni dello stesso lotto e trovare il virus sono in una. La matrice vegetale su cui si indaga è disomogenea e se un’azienda sostiene di non avere riscontrato il virus sui controcampioni può essere vero. D’altro canto i laboratori specializzati in queste ricerche sono assolutamente convinti della presenza del virus anche se la localizzazione può essere definita a macchia di leopardo.
In questa situazione sarebbe necessario sollecitare i supermercati ad esporre un cartello davanti ai freezer dove sono esposti i frutti di bosco surgelati per invitare la gente a cuocerli prima del consumo. Anche i produttori dovrebbero mettere un bollino rosso su tutte le confezione dove con caratteri tipografici ben visibili si rinnova l’invito a bollire il contenuto prima del consumo.
Roberto La Pira
Foto: Photos.com
© Riproduzione riservata
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Giusto identificare, anche con foto, i lotti sotto procedura di ritiro, ma attenzione a non ingenerare nei consumatori l’impressione che gli altri lotti e le altre marche siano sicuramente esenti dalla contaminazione randomizzata e di scarsamente sicura individuazione analitica. Meglio, oltre ad un adeguato e non scandalistico uso dei mezzi d’informazione, i cartelli nei punti vendita e l’indicazione evidente in etichetta con l’obbligo di bollitura per qualsiasi utilizzo. Fondamentale inoltre un EFFICACE avviso di responsabilizzazione a TRATTORIE, RISTORANTI e PASTICCERIE industriali ed artigianali che spesso preparano in loco dolci con guarniture estemporanee di frutti di bosco (torte, paste, panna cotta…) . In questo caso, come per il latte crudo, serve un’apposita ordinanza ministeriale che responsabilizzi alle verifiche anche tutti i soggetti di controllo istituzionale.