C’è un paese insospettabile che sta puntando in modo deciso sul cibo coltivato in laboratorio: la Svizzera. Il primo fornitore al mondo di cioccolato, l’elvetica Barry Callebaut, ha infatti rotto gli indugi e, grazie anche a una collaborazione con l’Università di Scienze applicate di Zurigo (ZHAW), ha iniziato un percorso che la porterà a svincolarsi dalle piante di cacao grazie ai tessuti vegetali coltivati. Il Politecnico di Zurigo (ETH), invece, sta la lavorando molto sulla carne coltivata, per ottimizzare le condizioni di crescita, mentre gli affinamenti delle procedure tecniche di approvazione, già più rapidi rispetto a quelli dell’Unione Europea, continuano.
Cacao in provetta
Il cacao ottenuto da tessuti vegetali coltivati in laboratorio, che richiedono procedure assai più semplici rispetto a quelli animali, è una delle risposte possibili alla crisi del settore. Da mesi i prezzi stanno salendo, e nessuno pensa che possano tornare ai livelli di qualche anno fa, anzi: tutte le stime prevedono peggioramenti continui nei prossimi anni causate dal fatto che la stragrande maggioranza dei terreni attualmente impiegati nella coltivazione di cacao entro il 2050 non saranno più nelle condizioni di produrre. Siccità, inaridimento, riscaldamento del clima, parassiti e, non ultimo, instabilità politiche hanno infatti abbassato drasticamente le rese, senza che nessuno sia riuscito a risolvere alla radice problemi come quello dello sfruttamento del lavoro e quello delle contaminazioni da metalli pesanti.

Un colosso come Barry Callebaut non può più fare affidamento solo su quel tipo di mercato che, oltretutto, è sempre meno sostenibile. Per questo, come ricorda FoodNavigator, l’azienda ha iniziato una collaborazione con la ZHAW, che ha messo a punto un protocollo per far crescere le cellule di cacao in laboratorio. Una volta ottimizzato, iI cacao coltivato in vitro potrebbe aumentare molto la resilienza della produzione e offrire nuovi aromi e sapori, nonché qualità nutrizionali specifiche, grazie alla possibilità di creare nuove miscele di sostanze.
In ogni caso, almeno per il momento, non sostituirà del tutto il cacao tradizionale, sottolineano i responsabili, anche per non lasciare senza lavoro i coltivatori delle filiere certificate. Inoltre, non è ancora chiaro che tipo di reazione avrà il pubblico, essendo stati effettuati pochissimi studi sul tema, anche se si prevede che l’accoglienza sarà buona, perché la sensibilità ambientale è ormai elevata, e un prodotto vegetale è decisamente meno problematico rispetto agli omologhi animali.
Meno difficoltà burocratiche per i tessuti vegetali
Dal punto di vista normativo, invece, non ci si sbilancia su quando le prime tavolette saranno nei supermercati. Il cacao coltivato potrebbe essere considerato come Novel Food, e quindi essere sottoposto ai test e agli iter burocratici del caso, ma anche rientrare nella categoria dei GRAS (Generally Recognized As Safe), cioè dei composti per i quali non ci sono motivi di preoccupazione, essendo già in uso.

In Svizzera le autorizzazioni potrebbero arrivare prima rispetto all’Unione Europea o agli USA, ma il mercato di Barry Callebaut è globale (fornisce cacao ai produttori di cioccolato e altri alimenti) e l’obiettivo è quindi quello di avere il via libera ovunque.
Secondo la società di analisi Stellarix, nei prossimi due anni altre start up e aziende si affacceranno nel settore, oltre a quelle che già lo hanno fatto come un’altra elvetica, la Food Brewer, e l’americana California Cultured, proponendo la loro versione del cacao coltivato. Anche per questo, si stima che tra il 2028 e il 2032 le autorizzazioni si diffonderanno, ed entro il 2035 i prezzi saranno sovrapponibili a quelli del cacao tradizionale.
Carne coltivata in 3D
Per quanto riguarda la carne, in particolare di manzo, il gruppo del Laboratory of Regenerative and Muscle Biology (RMB) dell’ETH, fondato nel 2018, ha invece raggiunto un risultato finora ottenuto solo qualche anno fa sul pollo, e cioè ha realizzato tessuti tridimensionali con una consistenza paragonabile a quella della carne, anche se finora ne hanno prodotti solo pochi grammi. La loro carne, inoltre, sarebbe più vicina a quella di bovino rispetto ad altri tipi di carne coltivata, sia dal punto di vista dell’espressione genetica sia per la presenza, preservata, di alcune proteine che prima andavano perse.
Il risultato, illustrato in un articolo pubblicato su Advanced Science, è stato possibile grazie all’aggiunta ai mezzi di coltura di tre molecole che intervengono nelle prime fasi della formazione dei tessuti, e che dopo devono essere rimosse (e quindi non sono presenti nel prodotto finito. Mentre proseguono i test, i ricercatori stanno pensando di fondare una loro start up.
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Giornalista scientifica



Sono per la salvaguardia della natura. Gli Stati devono impiegare le risorse dell’ingegno per eliminare le storture da loro stessi create per ritornare ai cicli naturali delle coltivazioni e non introdurre nei consumi prodotti artificiali. I nostri antenati hanno sempre rispettato il creato….e noi?
Ok = a meno pesticidi, meno sofferenza e gas vari in atmosfera.
Ho letto questo articolo, è concentrato sulle biotecnologie che ridurrebbero la deforestazione, la schiavitù di raccoglie il cacao cioè i ragazzini età media che varia da 10-12 anni se non meno,e credo che finalmente sia giunto il momento di finirla con questa crudeltà nei loro confronti per il nostro benessere,se pensiamo che le foreste ormai non assorbono più il CO2 emesso nell’atmosfera,per la carne non so niente e francamente l’ho sempre detto non la mangio, perciò che la facciano come vogliono, a parte che non mi fido di carne sintetica, il cacao è usato per i dolci e creme spalmabili,torte, biscotti, dolci insomma che meno si usano meglio è,che sia naturale o biotecnologico non passa molto,il prodotto da grezzo deve sempre essere lavorato, con tanta acqua, e quella è sempre di meno che piaccia o no,e si ritorna al problema più grave, l’assenza di acqua,che tutti tendono a nascondere invano.