Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), la grande famiglia di composti per lo più impermeabilizzanti (e dei loro derivati), chiamati anche contaminanti perenni, conta migliaia di membri e arrivano in grande misura dagli alimenti. Si trovano ormai nel cibo stesso, perché sono presenti nelle materie prime, e poi arrivano dai pesticidi e dal packaging. Evitarli del tutto oggi è virtualmente impossibile. Mentre si può cercare di limitarne l’assunzione. Con questo obbiettivo, un gruppo di ricercatori dell’Università di Stoccolma, in Svezia, grazie a un finanziamento dell’Unione Europea, ha dato vita a un grande database che, oltre a catalogare gli PFAS, ne indica gli impieghi più frequenti e, quando disponibili, le alternative, sottolineando anche che, in molti casi, non ci sono prove del fatto che esse siano più sicure rispetto agli PFAS o comunque prive di rischi, perché nessuno lo ha mai accertato.

Gli PFAS e il cibo

L’impiego estensivo degli PFAS nel campo alimentare è facilmente spiegabile: grazie a questi composti, i materiali diventano idrorepellenti, impermeabili, non adesivi, resistenti alla corrosione e al calore e più igienici in quanto più facili da pulire. Tali caratteristiche sono ciò che li rende a volte difficili, a volte impossibili da rimpiazzare o, semplicemente, eliminare. In altri casi, invece, cambiare è possibile, e non è neppure difficile.

Uova strapazzate in padella antiaderente con paletta accanto a cartone delle uova pfas
Un grande database sugli PFAS che ne indica gli impieghi e le alternative

Ecco una sintesi di quanto indicato nel database:

  • Nelle pentole: le possibili alternative vanno dal rame all’acciaio inossidabile, dall’alluminio ai rivestimenti chiamati superidrofobici come l’acciaio al carbonio, le ceramiche, i siliconi, la ghisa stagnata e quella smaltata.
  • Nelle attrezzature per la preparazione industriale di cibi: il database suggerisce l’acciaio inossidabile, il silicone, la ceramica, alcune gomme.
  • PFAS come additivi: in loro sostituzione, si possono impiegare il nitruro di boro, il fosforo nero, la lacca a melammina fenolica a base acquosa e altri composti organici.
  • Nei pesticidi: anche in questo caso, esistono fitofarmaci privi di PFAS, elencati nel database.
  • Nelle cantine dove si ottengono i vini e nei caseifici: gli utilizzi degli PFAS in questi ambiti sono di vario tipo, e non sempre chiari. È difficile proporre alternative, dal momento che in entrambi i settori c’è poca chiarezza sulle finalità e sui composti.
  • Nel packaging: esistono numerose alternative. Ecco le principali, sintetizzate anche in un articolo pubblicato su Food Navigator dedicato al database svedese:

Sostituti naturali:

  • Carte naturalmente dotate di caratteristiche antigrasso
  • Pergamene
  • Biopolimeri come amido, chitosano, cellulosa, alcol polivinilico, biocere e bioplastiche come l’acido polilattico (PLA)
  • Cellulosa microfibrillare (MFC)
  • Cellulosa nanofobrillare (CNF)
  • Cellulosa in nanocristalli (CFC)
  • Idrossietilcelulosa idrosolubile (HEC)
  • Carte prive di fluoro (FluoroFree)

Sostituti inorganici:

  • Argilla bianca
  • Rivestimenti argillosi
  • Alluminio in fogli

Siliconi:

  • Siliconi
  • Siloxani

Sostanze sintetiche:

  • Cere (naturali o a base di petrolio)
  • Polipropilene (PP)
  • Polietilen-tereftalato (PET)
  • Alcol polivinilico (PVOH)
  • Alcol etilen vinilico (EVOH)
  • Poliacrilato
  • Plastiche monouso
  • Polistirene
  • Acido polilattico (PLA)

Facendo attenzione è possibile, se non evitare, ridurre molto il consumi di alimenti che sono stati a contatto con gli PFAS, e cercare così di ridurne la concentrazione nell’organismo.

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