Alla fine Sarah Kavanagh ha vinto. Parliamo della studentessa quindicenne del Mississippi che aveva lanciato una petizione sulla piattaforma on line charge.org per chiedere che la Pepsi Cola americana modificasse la composizione del Gatorade, eliminando gli oli vegetali bromurati o BVO. Si tratta di composti impiegati nelle bevande aromatizzate agli agrumi come emulsionanti, essendo in grado di evitare che gli aromi oleosi si separino dal resto. Il problema è che stiamo parlando di sostanze sospettate di essere nocive per la salute.
I BVO sono vietati da anni in Europa e in Giappone, ma sono ancora presenti nel 10% delle bibite americane.
Negli ultimi tempi, Sarah aveva raccolto 200mila adesioni on line ed era stata invitata a spiegare le sue ragioni sul New York Times e presso alcune reti televisive. Forse anche per tale visibilità, la Pepsi Cola ha annunciato venerdì scorso che, dopo un anno di ricerche, ha individuato nell’isobutirrato acetato di saccarosio un degno sostituto dei BVO e di avere intenzione di sostituire le vecchie formulazioni con quelle nuove “BVO free” in due mesi su tutto il territorio USA.
Interpellata da varie associazioni di consumatori, la Food and Drug Administration, con una disparità di giudizio rispetto all’Europa, ha risposto che al momento non ci sono prove sufficienti per eliminare ufficilamente i BVO e, soprattutto, non ci sono fondi per condurre ricerche più approfondite. La decisione della Pepsi Cola è apparsa dunque tanto più positiva perché spontanea e libera da coercizioni. Nondimeno, ci sono diversi aspetti in questa vicenda che la rendono meno semplice di quanto sembri.
Innanzitutto, prendiamo in considerazione quanto dichiarato dalla Pepsi Cola a proposito della ricerca di un sostituto dei BVO, così lunga da richiedere un anno di studi. Com’è possibile visto che la stessa azienda ha trovato buone soluzioni sin dalla fine degli anni Novanta in Europa e in Giappone?
Le contraddizioni non finiscono qui. Davvero la Pepsi tiene molto alle preoccupazioni dei suoi clienti tanto da aver dato ascolto a Sarah? Se è così, non si capisce perché la società abbia deciso di non rimuovere i BVO da un’altra bibita popolarissima negli USA, la Mountain Dew (nelle versioni normale e diet), che frutta ogni anno un miliardo di dollari. La Pepsi attende forse un’emula di Sarah per risolvere il problema?
La Pepsi non è l’unica azienda protagonista in questa ennesima vicenda che sembra dimostrare il primato del profitto. Il mercato americano offre molte bibite con BVO, tra cui alcuni gusti del Powerade e una bevanda chiamata Fresca, entrambi della Coca Cola, Squirt e Sunkist Peach Soda della Dr Pepper Snapple Group.
Molte associazioni ambientaliste e di consumatori, tra le quali l’Environmental Working Group e il Center of Science in the Public Interest hanno chiesto che la FDA affronti una volta per tutte la questione dei BVO, anche facendo ricorso agli studi già compiuti su queste sostanze (di solito, vengono impiegate come ritardanti di fiamma), e che sarebbe meglio usare solo in prodotti non destinati all’alimentazione umana.
Agnese Codignola
Foto: Photos.com, Gatorade, Dr Pepper Snapple Group, Pepsy Cola Company
Giornalista scientifica