Mentre in tutto il mondo ferve la ricerca di un possibile antivirale attivo contro il nuovo coronavirus, in Europa i batteri che provocano infezioni alimentari possono contare su un aumento della propria capacità di resistere agli antibiotici, con alcune eccezioni. È questo il responso del nuovo rapporto sull’antibiotico-resistenza nelle zoonosi stilato da Efsa insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), che illustra quanto riscontrato negli uomini, negli animali da allevamento e negli alimenti nel periodo 2017-2018: e non si tratta di buone notizie, soprattutto per l’Italia, che in molte delle rilevazioni è tra i paesi peggiori.
Nell’uomo, Campylobacter e i batteri del genere Salmonella stanno diventando sempre più insensibili all’antibiotico più utilizzato, la ciprofloxacina. I microrganismi sono sempre più spesso insensibili a tre o più antibiotici diversi. Lo si vede confrontando i valori di resistenza alla ciprofloxacina ad alte concentrazioni riscontrati nell’uomo: nel 2016 erano l’1,7% dei casi, nel 2018 erano balzati al 4,6%.
Sempre nell’uomo, per quanto riguarda il Campylobacter, la situazione è simile.In 16 paesi su 19 esaminati le percentuali di resistenza allo stesso farmaco sono molto elevate. Ppurtroppo la situazione nell’uomo rispecchia quanto accade nel pollame: anche in quel caso c’è un aumento di Salmonella, Campylobacter e anche molti ceppi di Escherichia coli insensibili alla ciprofloxacina.
Il dato è preoccupante, perché la categoria cui appartiene la ciprofloxacina, quella dei fluorochinoloni, è molto importante per l’uomo: qualora dovesse perdere ancora più efficacia ci si troverebbe in difficoltà in molte patologie.
Fortunatamente, resta bassa la resistenza ai fluorochinoloni associati alle cefalosporine di terza generazione, che riescono ancora ad avere la meglio in molte infezioni da Salmonella, e quella degli stessi antibiotici associati ai macrolidi, nel caso del Campylobacyter.
Nel 2018 sono state poi segnalate anche altre resistenze preoccupanti: quella di alcuni ceppi di Salmonella agli antibiotici della categoria dei carbapemeni, cioè quelli a cui ricorrere solo quando tutti gli altri hanno fallito, e il cui uso andrebbe controllato scrupolosamente proprio per mantenerne l’efficacia.
Il rapporto contiene però qualche segnale incoraggiante. Per esempio, tra il 2014 e il 2018 alcuni ceppi presenti negli animali da allevamento hanno migliorato la sensibilità a tutti antibiotici. È il caso dell’E. coli, i cui indici sono migliorati in un quarto degli stati membri.
Nello stesso periodo sembra essere cresciuta anche la sensibilità alla categoria degli antibiotici ß-lattamici di alcuni ceppi pericolosi di E. coli negli animali, un aumento che è stato rilevato nel 40% dei paesi membri. Oltre a questo, è sempre molto bassa la resistenza dell’E. coli e della Salmonella alla colistina, un altro farmaco di ultima istanza, mentre un ceppo di E. coli in grado di annullare l’efficacia dei carbapenemi, presente in Europa, non è stato rilevato né nel pollame né nei tacchini. Infine, in molti paesi la Salmonella Typhimurium che colpisce le persone è meno resistente all’ampicillina e alle tetracicline.
“I risultati positivi negli animali di allevamento e sono incoraggianti perché indicano un miglioramento; dobbiamo tuttavia indagare ulteriormente sulle ragioni di questo cambiamento. La resistenza agli antibiotici è una grave minaccia per la salute pubblica e animale mondiale e richiede un’azione mondiale” ha affermato Marta Hugas, direttrice scientifica di Efsa.
L’Italia, come detto, non esce bene dal rapporto. Come si può facilmente vedere nella sintesi interattiva, che rappresenta ogni tipo di batterio studiato nei diversi tipi di campioni (uomo, polli, galline, tacchini e così via), viene quasi sempre collocata insieme ai paesi dove la resistenza è più alta.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista scientifica