Il doping è un fenomeno che ha gravi ricadute sulla lealtà sportiva e, ancora più sulla salute degli atleti. In questo campo, l’Italia ha adottato una delle normative più severe del mondo, vietando la vendita di tutte le sostanze ritenute dopanti dalla WADA, l’Organizzazione mondiale antidoping – salvo l’uso controllato nei farmaci. Il divieto di commercializzazione vale anche quando i prodotti – che non siano farmaci autorizzati o preparazioni galeniche – sono destinati ai non atleti. Altre nazioni europee hanno un approccio meno severo, e limitano le sostanze ritenute più pericolose (steroidi) oppure separano completamente la problematica sportiva da quella sanitaria.
Nei giorni scorsi, si è tenuto a Roma il principale evento italiano sul doping, presso l’Istituto Superiore di Sanità, organizzato con il Ministero della salute. Alla presentazione dei dati, sono seguiti articoli sensazionalistici e polemiche, che hanno preso di mira gli integratori alimentari, con la conseguente – e giustificata – reazione degli enti di categoria, tra cui Federsalus.
Il fenomeno doping ha un certo rilievo in ambito alimentare perchè un atleta può assumere involontariamente cibo contaminato (carne proveniente da animali trattati con ormoni), oppure può ingerire integratori alimentari che non rispettano le norme UE. C’è anche l’ipotesi di assunzione di integratori accidentalmente contaminati in fase di produzione. La cosa più frequente è lo spaccio sotto forma di integratori di prodotti che contengono sostanze stimolanti consentite nei paesi d’origine.
In tutti questi casi la normativa italiana è molto chiara perchè non prevede la possibilità di commercializzare, un elemento riconosciuto come dopante all’interno di un integratore o di un alimento. Secondo alcuni la presenza di questi composti trasformerebbe il prodotto in un farmaco non autorizzato, rendendo ancora più grave sotto il profilo penale la posizione del venditore (anche al dettaglio).
In passato si era registrata una certa confusione dovuta al fatto che nelle liste positive era inserita anche la caffeina. Se era logico impedire l’uso della caffeina nelle gare, risultava paradossale vietare di bere caffè espresso o Coca Cola. La dose consentita non era facilmente traducibile in un controllo sui prodotti, e quindi il divieto assoluto risultava difficile da attuare. Con la rimozione della caffeina dalla lista delle sostanze proibite il problema si è risolto evitando altre ambiguità. Resta un unico caso, quella dell’octopamina, che è naturalmente presente nella scorza di arancia amara, usata nelle marmellate e, come estratto, negli integratori alimentari. In questo caso il Ministero della salute prevede che se l’octopamina è presente in concentrazioni compatibili con quelle trovate in natura, non c’è violazione della normativa sul doping.
Questa particolare attenzione si giustifica perché secondo alcune stime accreditate, il 25% circa degli atleti dichiara di assumere integratori alimentari e/o prodotti per sportivi a base di vitamine, aminoacidi e derivati (tra cui probabilmente la creatina) e sali minerali. In relazione al tipo di sport esistono peraltro convincenti evidenze scientifiche a sostegno dell’assunzione di tali composti per colmare eventuali carenze, come il ferro per le atlete.
Il rapporto del Centro vigilanza doping (CVD) conferma l’assenza di rischio se si assumono integratori alimentari. Viene confermato invece il fenomeno delle preparazione galeniche, eseguite, su richiesta, dalle stesse farmacie. In un rilevamento effettuato nel 2011, in 363 casi si è riscontrata la presenza di efedrina, vietata anche negli Stati Uniti, considerata rischiosa per la salute. Questa sostanza risulta presente non solo nelle preparazioni galeniche, ma anche in integratori alimentari venduti in Italia ed Europa da siti come Amazon, nonostante le ripetute segnalazioni di questa pratica illegale.
Tra le sostanze vietate evidenziate nel corso dell’anno scorso, primeggiano i metaboliti del tetraidrocannabinolo (il cui consumo peraltro non sembra afferire propriamente ad obiettivi legati alla lealtà sportiva), due positività all’efedrina (nell’ambito del ciclismo) ed una alla pseudo efedrina.
Tra le notizie di stampa analizzate dal CVD compare ben quattro volte la famigerata metilexaneamina, nota anche come DMAA o come “olio di geranio” (Kendrick al Roland Garros, Perez in Italia nel baseball con sei mesi di squalifica, Rathy nello sci nautico con revoca di medaglia di argento ai giochi panamericani, due atleti ai mondiali di atletica).
Il DMAA, falsamente presentato come derivato del geranio (nessuno è mai riuscito a dimostrarne la presenza in natura, e tanto meno l’origine naturale), è stato usato legalmente negli integratori in USA fino a poco tempo fa. Come documentato anche da ilfattoalimentare, i prodotti che lo contenevano sono stati commercializzati per oltre un anno anche in Italia, con la metilexaneamina celata sotto la voce di estratto di geranio, con un grande successo dovuto al forte effetto stimolante. Purtroppo, ancora oggi alcuni prodotti con questa sostanza – a cui negli USA sono stati associati 46 eventi avversi – sono acquistabili in Italia via internet tramite siti stranieri che usano la lingua italiana.
Il controllo sul settore deve continuare e va detto chiaramente che la responsabilità ricade sia sulle aziende produttrici che sui dettaglianti (entrambi legalmente responsabili). Altrettanto importante è un comportamento responsabile dell’atleta che sulla base delle esigenze nutritive deve segliere bene i prodotti. Il ruolo di informazione e di aggiornamento è fondamentale da parte di medici, nutrizionisti ed autorità che, abbandonando un moralismo tradizionalista, si dovrebbero orientare sull’effettiva lealtà delle competizioni e sulla tutela della salute degli sportivi – che danno l’esempio anche a milioni di dilettanti.
Luca Bucchini
Foto: Photos.com
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