Su un dato, al di là di differenze di opinione (talvolta abissali), i ricercatori che si occupano di ambiente e sostenibilità sono tutti d’accordo: presto, molto presto non ci sarà più cibo per tutti. La catastrofe arriverà attorno al 2050 se allora, come prevedono i demografi, la popolazione sfiorerà i 9 miliardi, e probabilmente anche in caso di un rallentamento della crescita.
La colpa è del modello alimentare che si è sviluppato negli ultimi decenni, completamente errato, che vede una parte minoritaria del globo combattere ogni giorno con i danni alla salute derivanti da un’alimentazione eccessiva, sbagliata e troppo ricca di calorie, e una grande maggioranza lottare assai più duramente contro la fame e la malnutrizione.
Per questo ormai da diverso tempo esperti di molte discipline forniscono le loro ricette, che hanno però sovente un difetto fondamentale: analizzano solo una parte del problema, e danno di conseguenza soluzioni parziali, non sempre conciliabili con quelle che prendono in esame le altre facce della medaglia.
Per ovviare a questo limite, che può inficiare anche gli sforzi più lodevoli alla sostenibilità, ricercatori di istituzioni pubbliche e private di Canada, Stati Uniti, Germania e Svezia hanno unito le loro forze e pubblicato su Nature quello che sembra un vero e proprio manifesto della sostenibilità alimentare, articolato in cinque punti fondamentali, da portare avanti in contemporanea per salvare il pianeta.
Ecco una sintesi:
1. Fermare immediatamente l’espansione delle terre coltivate e la bonifica dei terreni a fini agricoli, soprattutto nelle foreste tropicali. Questo obiettivo può essere conseguito attraverso un sistema di incentivi economici per il turismo ecosostenibile, le certificazioni ambientali e le ricompense per la conservazione dei suoli. Un cambiamento simile può apportare grandi benefici ambientali senza stravolgere il sistema agricolo e senza diminuire l’attuale produzione.
2. Migliorare la resa agricola. Moltissime coltivazioni dell’Africa, dell’America Latina e dell’Europa dell’Est non ottengono raccolti al massimo delle loro potenzialità, dando luogo al cosiddetto “gap” delle colture. Al contrario, diversificando le sementi, ottimizzando lo sfruttamento del terreno, utilizzando al meglio alcune delle nuove possibilità offerte dalla genetica si potrebbe aumentare la produzione agricola globale del 60%.
3. Migliorare i sistemi agricoli. L’utilizzo attuale di acqua, nutrienti, prodotti chimici a livello planetario soffre di evidenti squilibri: in alcuni casi è eccessivo, in altri carente e solo raramente appropriato. Una ridistribuzione strategica delle risorse sarebbe positiva per tutti.
4. Modificare le diete. Coltivare i terreni per fornire mangimi agli animali da macello o materiali per i biocarburanti, a prescindere dalla resa, costituisce un immenso spreco di risorse, dal punto di vista della produzione di cibo per l’alimentazione umana. È quindi necessario dedicare una porzione maggiore di terreni alla produzione diretta di cibo, fatto che potrebbe aumentare le calorie disponibili per ogni abitante della terra del 50%.
5. Diminuire lo spreco. Circa un terzo del cibo prodotto dalle fattorie finisce direttamente in discarica oppure marcisce prima di poter essere consumato o, ancora, diventa cibo per parassiti di vario tipo. Eliminare o ridurre drasticamente lo spreco di alimenti potrebbe far aumentare la quantità di cibo disponibile del 50%.
Infine, gli autori sottolineano l’importanza di fornire a coloro che devono decidere tutte le informazioni necessarie affinché compiano scelte ragionate e intraprendano la strada indicata che, sia pure tra mille difficoltà, non può più essere elusa.
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Giornalista scientifica