Il vento sfiora le foglie di nocciolo e solleva i vapori che fuoriescono dall’affumicatore davanti alle arnie. Le api cominciano a danzare nella brezza. Sullo sfondo, imperiose vette fanno da confine a distese di campi coltivati, dai colori vividi. È in una campagna di Vairano Patenora (CE), nell’Alto Casertano, a circa 20 km dall’area ex Pozzi di Calvi Risorta, dove nel 2015 è stata trovata la discarica sotterranea più grande d’Europa (25 ettari per 2 milioni di metri cubi di rifiuti), che è stata posizionata una delle dieci stazioni di biomonitoraggio del progetto C.A.R.A. Terra (Caserta Apicoltura Rilevamento Ambientale). Un’iniziativa del Conaproa, consorzio degli apicoltori, con l’Università del Molise e l’Università Federico II di Napoli, per tentare di monitorare tramite le api la quantità di metalli pesanti nel territorio limitrofo a quella che è stata definita Terra dei Fuochi, zona di interramenti di rifiuti da parte della camorra, una delle più inquinate d’Italia.
Riccardo Terriaca, direttore di CoNaProA raccoglie l’affumicatore e apre delicatamente una delle arnie. “C.A.R.A. Terra nasce dall’esigenza delle persone di continuare a operare in un territorio ferito da situazioni di carattere ambientale”, dice mentre controlla che gli insetti stiano bene. Ha lo sguardo orgoglioso e parla animatamente della volontà di restituire dignità a una terra martoriata. Con un tentativo di riscatto: provare a invertire il calo di vendite di prodotti agricoli, che ha segnato il boom mediatico sulla Terra dei Fuochi e mostrare, con l’aiuto dei dati raccolti tramite le api, la possibile sicurezza alimentare delle coltivazioni. “Le api sono state scelte perché riescono a monitorare tutti i comparti ambientali: la vegetazione, intercettano le particelle sospese nell’aria, si abbeverano con l’acqua, toccano il suolo – spiega Antonio De Cristofaro, entomologo e direttore scientifico del progetto, mentre indossa la tuta da apicoltore e si avvicina all’alveare –. Attraverso esami chimici mirati, si controllano gli inquinanti che derivano, in particolare, dalla combustione di rifiuti urbani. I due elementi che possono dare una quantificazione sono soprattutto cadmio e piombo. Ma le analisi sono state estese anche altri elementi chimici”.
Il vento si fa sentire con una folata leggermente più forte, ma le api non sembrano esserne infastidite, entrano ed escono indisturbate dalle arnie. Davanti a due di queste, sono state posizionate le gabbie under basket, contenitori in cui cadono le api quando muoiono, un modo semplice per prelevarle e poi analizzarle in laboratorio. “Controlliamo che il numero degli insetti morti nelle gabbie sia naturale oppure eccessivo, per capire se ci sono fattori esterni che ne compromettono il benessere – spiega Riccardo Terriaca, intento a mani nude a sollevare un telaino -. Campioni di api adulte, pezzi di cera e di miele vengono inviati al dipartimento di agraria dell’Università del Molise, per le analisi”. In termini numerici, si tratta di famiglie di api tra le 10 e le 15mila bottinatrici che svolgono nelle loro perlustrazioni circa 10 milioni di microprelievi nell’aria, tra la vegetazione, nell’acqua e sulla terra, su una superficie di circa 7 km2. “Con le api – aggiunge il professore De Cristofaro – si ottiene in tempo reale la fotografia dell’inquinamento e si rilevano eventuali variazioni. Il progetto ha infatti senso se protratto nel tempo, perché se i livelli di alcuni inquinanti salgono, bisogna allarmarsi”. “Su un apiario, per esempio – spiega il direttore di CoNaProA, mentre ripone gli attrezzi da apicoltore nella sede del consorzio – abbiamo trovato particelle d’oro, che probabilmente provenivano da discariche di materiale informatico. In un’altra di titanio, legate ai residui bellici della seconda guerra mondiale”.
Come “Terra dei Fuochi” si indica il territorio dei 55 comuni tra la parte meridionale della Provincia di Caserta e la parte settentrionale della Provincia di Napoli dove sono stati interrati rifiuti tossici e dove i roghi di rifiuti compromettono aria, terre ed ambiente, secondo la mappatura fornita il 23 dicembre 2013 dal Ministero delle politiche agricole. Sostanze che incidono in modo preoccupante sulla salute delle persone. Gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) dal 2014 hanno documentato in quest’area “un’elevata mortalità per un insieme di patologie” come tumori e presenza alla nascita di malformazioni. Nel 2016, l’Iss ha aggiunto che “la mortalità è in eccesso rispetto alla media regionale”, in particolare per i tumori dell’apparato urinario (ma si parla anche di quelli che colpiscono polmone, fegato, stomaco, vescica, pancreas, rene), che i bambini ricoverati nel primo anno di vita sono troppi e che “le esposizioni a emissioni e rilasci dei siti di smaltimento e combustione illegale dei rifiuti possono avere svolto un ruolo causale o concausale”. Su 51 siti classificati a rischio è stata, inoltre, bloccata la vendita di prodotti ortofrutticoli con ripercussioni sull’agricoltura che sono andate oltre il territorio mappato.
“I rifiuti di tipo industriale, chimico e urbano sversati in terreni ad uso agricolo – spiega Angelo Milo, direttore di Coldiretti Caserta, all’ombra degli alberi di nocciolo – hanno portato i consumatori a stare attenti ai prodotti provenienti da quelle aree”. Non si può coltivare, per esempio, nella zona della discarica di Calvi Risorta. Per osservarla dall’alto, si viaggia su stradine sterrate costeggiate da erba altissima, con la sensazione di avere gli occhi addosso, anche se non ci sono. Si arriva su un ponte, un piccolo immondezzaio a cielo aperto, in cui è stato gettato un po’ di tutto. Sulla discarica è ricresciuta la vegetazione. Poco più in là, invece, cominciano a notarsi filari di alberi di pesche.
“La tutela ambientale è ora più forte” e i controlli sono diventati più stringenti, ha detto il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti pochi giorni fa al margine di un’operazione antinquinamento relativa alle prime due settimane di marzo 2017 nella “Terra dei Fuochi” da parte dei Carabinieri di Napoli e Caserta. Tre le persone scoperte mentre scaricavano rifiuti speciali su un rogo appiccato su un fondo agricolo e altre 134 le persone denunciate per reati relativi a gestione dei rifiuti e inquinamento. Inoltre, 19 aree agricole sono state sequestrate, così come sei discariche abusive, 800 kg di materiali ferrosi e 70 kg di alimenti scaduti. “Sul territorio tra Napoli e Caserta c’è la struttura di polizia specializzata in materia forestale, ambientale e agroalimentare più grande d’Europa”, ha detto Galletti il quale ha sottolineato che è necessario fare prevenzione, per eliminare i danni del passato.
Nelle aule accademiche dell’Università del Molise a Campobasso, le ricerche di laboratorio – in questo caso relative al biomonitoraggio nel periodo tra maggio 2014 e luglio 2015 – hanno rilevato metalli pesanti e micro polveri. “Si lavora su campioni di miele e di api incenerite”, spiega Giuseppe Palumbo, professore di chimica agraria all’Unimol, mostrando provette di vetro e macchinari, con i quali dà vita agli esperimenti. Gli esami si sono concentrati nella ricerca, tra gli altri, di livelli di cadmio, nichel, zinco, cromo, manganese, alluminio, ferro, magnesio e piombo. “Tutti i mieli analizzati non presentano valori di elementi chimici superiori a quelli ritenuti accettabili in altri prodotti alimentari” precisa il direttore scientifico De Cristofaro, il quale evidenzia che per avere un quadro più completo è necessario ripetere il biomonitoraggio per almeno tre anni “nella consapevolezza che indicazioni di maggior valore potranno scaturire solo dall’analisi delle oscillazioni delle quantità di eventuali inquinanti nel tempo”. Le ricerche sono state incentrate su 28 elementi, tra cui 14 metalli pesanti, dei quali mercurio, cromo, cadmio e piombo sono considerati tra i più pericolosi per la salute. In una relazione conclusiva il direttore scientifico afferma che “nei terreni biomonitorati dalle api non sono state rilevate presenze inquinanti biodisponibili in quantità tali da pregiudicare la sicurezza delle produzioni agroalimentari locali”. I campioni sono stati prelevati con cadenza mensile nelle 10 stazioni posizionate sui diversi terreni. E i livelli di metalli rilevati dal miele e dalle api sono stati comparati con quelli di altre aree, nel caso specifico del Basso Molise. I risultati non sono ancora stati pubblicati su riviste scientifiche, in quanto il progetto è in attesa di ulteriori finanziamenti.
Gennaro Granata, giovane coltivatore di mele annurche, passeggia tra i suoi alberi raccontando soddisfatto che questo frutto ha una storia millenaria, tanto da essere raffigurato in una delle case di Pompei. Grazie all’introduzione di api nel meleto durante le fioriture, ha notato un aumento della qualità e quantità delle coltivazioni. “Le mele sono migliori – dice – e grazie alle api abbiamo anche un’omogeneità di calibri”. Gli insetti impollinatori sono termometri dell’ambiente e alla natura portano benefici, che toccano anche produzioni non direttamente collegabili alla vegetazione, come le mozzarelle di bufala. A pochi chilometri da Vairano Patenora, Davide Letizia ha un allevamento di circa 1500 bufale, che donano 250 quintali di latte al giorno. Vivono in capannoni aperti e osservano con sguardo curioso, si avvicinano, annusano cordiali. Si trovano a Pietramelara (CE), il cui nome, si dice da queste parti, deriva dalle montagne porose che circondano il paese, tra le quali le api andavano a fare il miele. D’altronde sullo stemma del Comune sono disegnate tre api d’oro. Le bufale si nutrono di foraggi che vengono prodotti nella stessa azienda e che sono per lo più a base di erba medica, cereali e insilati di mais. “L’erba medica, che per crescere ha bisogno dell’impollinazione – spiega Davide Letizia – è usata per fornire fibre e proteine all’alimentazione dell’animale ed è indispensabile, dunque, per la produzione di latte. Grazie alle api aumentano le rese di erba medica e otteniamo un foraggio di buona qualità, che influisce sul miglioramento qualitativo delle mozzarelle, esportate in tutto il mondo”.
E se le api sono sensori di ciò che accade nell’ambiente, esperimenti sull’incidenza dell’inquinamento ambientale sulla salute emergono dal progetto di ricerca “Eco Food Fertility”, che parte dall’analisi sugli spermatozoi umani e che di recente è stato citato dall’inchiesta della trasmissione “Presa Diretta” sull’aumento dell’infertilità maschile. È nato proprio nel cuore della Terra dei Fuochi. “Una prima fase dello studio ha messo in evidenza che chi vive nella Terra dei Fuochi accumula più metalli pesanti nel sangue e nello sperma, – spiega l’ideatore del progetto, l’andrologo Luigi Montano – con una riduzione delle difese antiossidanti, che rendono l’organismo più suscettibile alle malattie”. Una seconda fase del progetto riguarderà la ricerca sull’alimentazione e su come elevati consumi di vegetali e alimenti biologici possano ridurre gli effetti negativi dell’inquinamento.
Ci sono dunque tentativi diversi di restituire sicurezza alimentare a un territorio gravato dal problema ambientale. Un problema complesso e che non tocca, seppure per origini variegate, solo la Terra dei Fuochi. Il progetto di biomonitoraggio con le api, come rilevatrici di sostanze inquinanti, è stato esteso, per esempio, anche su alcuni comuni del Molise e sul nucleo industriale di Venafro – Pozzilli, in Provincia di Isernia, al confine con l’Alto Casertano. Il 14 gennaio 2017, a Venafro, considerata la città più inquinata del Molise per le polveri sottili, circa 5mila persone sono scese in piazza per manifestare i problemi di inquinamento e chiedere soluzioni. In prima linea anche le Mamme per la salute e l’ambiente Onlus, che da circa 10 anni chiedono alle istituzioni un monitoraggio approfondito di tutte le matrici ambientali e di capire, con dati scientifici alla mano, l’incidenza sulla salute delle persone. “Fino ad oggi abbiamo ottenuto solo documenti stringati – commenta l’associazione delle Mamme per la salute – chiediamo invece analisi più approfondite”.
I metodi per monitorare l’ambiente sono diversi, ma le api, silenziose sentinelle, possono essere valide alleate, anche per mettere luce sulla necessità di risanamento delle zone avvelenate del nostro Paese e sulla consapevolezza che salubrità del territorio, alimentazione e benessere delle persone sono legate in modo indissolubile.
Adelina Zarlenga, Monica Pelliccia
Questo reportage fa parte del progetto giornalistico #Hunger4Bees realizzato grazie al supporto del programma Journalism Grant Innovation in Development Reporting Grant Programme (IDR) del Centro Europeo di Giornalismo.
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La Campania non è la regione più inquinata d’Italia.Tutta l’Italia è tristemente inquinata, legga il rapporto di legambiente sulle discariche abusive in Lombardia che hanno una portata ben superiore a quella della Campania , per non parlare degli effetti devastanti degli inceneritori. Basta parlar male solo della Campania,il problema è il sistema Italia:ci stanno sbrindellando devastando e noi popolo imbelle lasciamo fare.